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L’Olimpiade del terrore

Road to London 2012 – Messi da parte i pugni inferti al costato dell'America razzista da Tommie Smith e John Carlos e con ancora negli occhi i morti di piazza delle Tre Culture a Città del Messico, il mondo dello Sport si proietta verso le Olimpiadi di Monaco Di Baviera. Sbarazzatosi della concorrenza di Madrid, di Montreal e di Detroit, il capoluogo bavarese si attrezza ottimamente per ospitare la XX edizione della rassegna sportiva, la seconda volta per la Germania dopo l'Olimpiade svoltasi a Berlino nel 1936. 

LA PERFEKTION TEDESCA – Sarebbe potuta passare alla storia come l'Olimpiade della Perfektion tedesca, ma parlando di Monaco '72 nessuno ricorda la magnificenza del villaggio olimpico, costato all'epoca 400 miliardi di lire. O come l'olimpiade tecnologica, ma nessuno parla più del Computer Golym, capace di dare risposta a qualsiasi domanda sul conto dei concorrenti delle edizioni di oggi e di ieri. Pari a 4.457.252 gli spettatori paganti, ma nessuno la ricorda come la prima Olimpiade veramente universale. Vi prendono parte 7000 concorrenti provenienti da 121 nazioni. Maestosa, scientifica, futuristica, impeccabile. Ma tutto ciò verrà dimenticato. Monaco 1972 sarà essenzialmente una cosa sola : Settembre nero.

DIO NETTUNO SCESO TRA NOI – 5 settembre 1972. I XX giochi dell'era moderna stanno attraversando la seconda settimana e l'intero villaggio olimpico rimane impressionato per le imprese di Mark Spitz, spavaldo nuotatore statunitense. “Il solito sbruffone”, così era riconosciuto dai suo compagni di nazionale, fu capace di inanellare vittorie su vittorie, collezionando 7 medaglie d'oro. Quella notte, però, l'attenzione, sino ad allora focalizzata sul “Dio Nettuno sceso tra noi”, si spostò verso l'edificio 31 della Connolystrasse, occupato dalla rappresentativa israeliana.

I 5CERCHI COME BERSAGLIO – Alle 4 e 25 del mattino un commando palestinese di Settembre Nero, gruppo indipendente da tutte le altre formazioni guerrigliere della Palestina, irrompe nell'edificio. Sebbene non identificati come tali, gli 8 Fedayin- in Arabo il termine significa «uomini di sacrificio»- vengono avvistati alle 4 e 05, intenti a scavalcare la recinzione metallica che divideva il mondo civile da quello olimpico. Indossano tute e reggono borse da atleti. Un addetto alla posta e una donna delle pulizie li scorgono ma li scambiano per concorrenti reduci da una scappatella notturna. Pur indossando tute sportive e borsoni d'allenamento, gli unici colpi da maestro che hanno in tasca gli 8 sono quelli dei loro kalashnikov.

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L'ASSALTO SENZA IL FIORETTO – Il piano, lungamente e meticolosamente preparato, funziona. Penetrati nella cucina dell'appartamento numero 1 dell'edificio, i Fedayin si imbattono in Yossef Gutfreund, il quale, insospettito dal vociare arabo, preannuncia il pericolo. I 125 chilogrammi di Gutfreund si scagliano a tutta forza contro la porta. Fatica sprecata. Il commando arabo fa irruzione, travolge la resistenza del colosso e, come potrebbero aver fatto i loro biblici predecessori, i Filistei, con Sansone, lo legano. La sorte intanto attende alla porta Elizer Halfin, Mark Slavin, Gad Zobari, David e Marc Berger, Zeev Friedman e Yossef Romano, tutti sistemati nell'appartamento 3. A cercare di ostacolare il commando ci prova, inutilmente, l'allenatore di lotta libera Moshe Weinberger, rimasto fuori fino a tardi. Mette fuori combattimento un terrorista, ma è costretto a cedere a causa delle raffiche di Kalashnikov. A questo punto è il sollevatore di pesi Yossef Romano ad entrare in azione: tenta inutilmente la fuga da una finestra e, non riuscendoci, agguanta un coltello dalla credenza e lo pianta nella fronte di un terrorista. Ferito troppo gravemente per utilizzare l'arma che impugnava, l'arabo indietreggia, ma un compagno che avanza alle sue spalle scarica un'intera raffica del Kalashnikov sul lanciatore di pesi. Quando gli uomini della squadra soccorso entreranno nella stanza, troveranno il corpo dilaniato dell'atleta che fu.

COSA DIAVOLO SUCCEDE?” – Sono passati solo 25 minuti dall'effrazione. Nel buio e nel silenzio del villaggio olimpico, un agente dei servizi di sicurezza tedeschi, solo e disarmato, si avvicina all'ingresso numero 31 di Connollystrasse, forse insospettito da rumori. Un terrorista incappucciato vigila all'entrata. «Was soil das heissen?» borbotta il tedesco al Fedayin il quale, senza verbo proferire, sparisce oltre la porta. Ma ormai la voce si è sparsa. Due atleti israeliani, scampati all'attentato, lanciano l'allarme e nella mezz'ora che segue, le autorità ricevono chiare le richieste dei terroristi in un comunicato ufficiale diffuso al Cairo: scaraventando in strada l'esanime corpo di Moshe Weinberger, richiedono l'immediato rilascio di 234 persone detenute in carcere dal«regime militare d'Israele», i cui nomi sono elencati su fogli dattiloscritti. Nell'elenco figurano i nomi di Ulirike Meinhof e Andreas Baader, capi della famigerata banda Baader-Meinhof, arrestati dalla polizia della Germania Federale nel giugno dello stesso anno. Tre aerei per essere portati in una destinazione sicura e procedere alla liberazione degli ostaggi, questa la seconda richiesta di Settembre Nero. Come scadenza dell'ultimatum, le 9 del mattino, dopodiché i terroristi uccideranno gli ostaggi «tutti assieme o uno alla volta».

IL “NEIN” DI GOLDA – La disputa si sposta sul tavolo diplomatico. Mentre le autorità tedesche non riescono a nascondere l'imbarazzo per quanto accaduto, intervengono il Ministro degli Interni del governo di Bonn, Hans Dieter Genscner, il suo collega bavareseBruno Merk e il capo della polizia di Monaco. Febbrili trattative si intrecciano tra Monaco, Bonn e Tel Aviv, dove il governo è riunito in seduta permanente. Dalla capitale Israeliana tuonano le parole di Golda Meir, primo ministro d'Israele: nessuna concessione ai terroristi, non un solo dei 234 prigionieri verrà liberato. Anche il Mossad decide di schierare i propri assi:Moshe Dayan, leggendario protagonista della guerra dei sei giorni, invia a Monaco Zwicka Zamir, capo dei servizi segreti. « Le nostre teste di cuoio sono pronte ad intervenire», ma Bonn rifiuta l'aiuto. Si mobilita anche il cancelliere Willy Brandt, che definirà, a posteriori, l'accaduto uno « sconcertante documento di incapacità ».

TOLLERANZA ZERO – I tedeschi non approvano la politica israeliana anche se, quantomeno a livello ufficiale, non tentano di esercitare alcuna pressione. È chiaro che l'Olimpiade sia stata presa a pretesto: lo spettacolo non può continuare. A 18 ore dall'irruzione del commando, il CIO annuncia la sospensione dei giochi, la prima nella storia dell'olimpismo. Intanto i terroristi palestinesi respingono qualsivoglia offerta: a loro, “uomini di sacrificio”, non interessa il denaro, non interessa la libertà. Alle 22 i membri di Settembre Nero, in compagnia di nove ostaggi israeliani, abbandonano il villaggio olimpico a bordo di due elicotteri i quali, 25 minuti più tardi, si poseranno sulla pista dell'aeroporto militare di Fuerstenfeldbruck, a sessanta chilometri da Monaco. Ad attenderli, oltre un Boeing 727, c'è un gruppo di tiratori scelti composto da 5 elementi, tanti quanti alle autorità tedesche risultano essere i componenti del commando. L'errore risulterà decisivo. L'aeroporto circondato da quattrocento agenti, pronti ad intervenire. La trattativa sembra avviata a proseguire altrove quando risuonano i primi colpi sparati dai tiratori scelti. Lo scontro a fuoco dura circa un'ora. I 400 uomini sono pronti all'intervento quando un Fedayin scaglia una granata contro il Boeing 727, ospitante i 9 ostaggi.

IL TERRORISMO SUL PODIO OLIMPICO – Tutti morti: i nove ostaggi, un agente tedesco, cinque degli otto terroristi, le Olimpiadi, lo Sport. I tre sopravvissuti, catturati sul momento, verranno poi liberati due mesi più tardi in seguito ad un atto di pirateria aerea. A conclusione delle ore più devastanti dell'olimpismo moderno, l'opinione più condivisa mira alla sospensione dei giochi. Spingono in questo senso Golda Meir e la comunità sportiva tutta, ma il CIO non è dello stesso avviso: mentre un aereo israeliano imbarca undici bare, il Comitato commemora mestamente le vittime con una triste cerimonia. Le Olimpiadi riprenderanno, in un clima surreale, il giorno dopo: «Il terrorismo non può bloccare le Olimpiadi, non si può permettere che questo accada» proclama Brundage, veterano del Comitato.

OPERAZIONE COLLERA DI DIO – “Non posso promettere che i terroristi ci lasceranno vivere in pace. Però posso promettere, e lo faccio, che ogni governo d'Israele taglierà le mani di coloro i quali intendono stroncare le vite dei nostri figli”. A parlare è Golda Meir. In Israele, sull'onda dell'emozione, il primo minIstro e i più alti funzionari decidono una missione senza precedenti: una vendetta di proporzione biblica si scaglierà contro gli inafferrabili responsabili della strage, risuonando come una sentenza di condanna a morte per i capi del terrorismo palestinese. La missione viene affidata ad Avner, ventiduenne figlio di un agente del Mossad, e ad altri 4 uomini che compongono la sua squadra. Una lista di undici capi del terrorismo palestinese e una quantità inesauribile di denaro sono gli unici strumenti a disposizione del giovane. «Tra noi e i terroristi -spiega lo stesso Avner- ci sono autentiche differenze. Nei loro attacchi, i terroristi spargono sangue indiscriminatamente. Al lato opposto, quando Israele si vendica per gli attacchi terroristici- che lo faccia mandando una squadra come la mia dopo i fatti di Monaco o lanciando un missile aria-terra nei territori occupati-cerca di agire con precisione chirurgica, prendendo di mira esclusivamente i responsabili dell'episodio che ha fatto scattare la missione». Occhio per occhio è stata la strategia guida di Israele sino a diventare, sotto il governo dell'ex primo Ministro Ariel Sharon, il motto dell'esercito israeliano. Sarà mai la giustizia punitiva l'adeguata risposta al terrorismo? «Occhio per occhio, e tutto il mondo resta cieco». È Gandhi a suggerirci la risposta.

Simone Grassi redazione@ilcaffegeopolitico.net

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Simone Grassi
Simone Grassi

Fiero membro della cosiddetta generazione Erasmus, ho studiato in  Italia e in Francia. Laureato magistrale in Relazioni Internazionali (UniversitĂ  degli Studi di Milano),  frequento  ora un Master di ricerca in Economia Politica all’UniversitĂ  di Bristol. Convinto europeista, sono stato stagista alla Rappresentanza in Italia della Commissione europea. Oltre all’economia e alla politica internazionale, mi affascina il mondo della cooperazione allo sviluppo, un mondo che ho maggiormente scoperto durante un tirocinio in UNICEF.

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