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Il Sud-Est Asiatico è il “Nuovo Mondo” dell’Italia

Lo scacchiere geopolitico del sud-est asiatico, da teatro delle ostilità dei blocchi sovietico e atlantico durante la guerra fredda, è divenuto il nucleo focale degli interessi strategici delle grandi e medie potenze globali e regionali. È infatti in Asia sud-orientale, che la Cina considera da sempre una propria zona di influenza, che si gioca la competizione con i Paesi più forti dell’area, Giappone e India, ed è proprio nel “cortile di casa” di Pechino ora che la crisi del debito ha investito le economie degli Stati Uniti e dell’Europa, che si concentrano gli sforzi sulla crescita e sullo sviluppo di mercati regionali alternativi a quelli storicamente di riferimento

Articolo pubblicato in occasione della Conferenza/Dibattito "L'Italia e il mondo nuovo", @LiquidLab – Firenze, Novoli 10 maggio ore 10-13 – http://www.liquidlab.it/eventi/litalia-e-il-mondo-nuovo/

 

IL MERCATO ASIATICO FA GOLA UN PO’ A TUTTI – …ed è conteso in una sorta di tiro alla fune da due titani come Stati Uniti e Cina. Durante il Summit dell’Asia-Pacific Economic Cooperation, tenutosi lo scorso novembre ad Honolulu, il Presidente Obama aveva dichiarato che il futuro dell’America sarà completamente dentro lo scenario dell’Asia-Pacifico nel XXI secolo: “we are here to stay”, gli Stati Uniti sono in Asia per rimanerci. Altri indizi, come la presa di posizione del Segretario di Stato Hillary Clinton rispetto alla stabilità nel Mar Cinese Meridionale definito “un interesse nazionale statunitense” e il nuovo accordo militare con l’Australia (2500 nuove truppe americane di stanza a Darwin, nella costa settentrionale australiana a 500 miglia dall’Indonesia) lasciavano presagire negli ultimi mesi che il baricentro della politica estera americana stesse traslando verso oriente. Allo stesso modo, più accresce il “South-East Asian-Consensus” nell’arena internazionale, più la politica estera della Cina tende a regionalizzarsi e a focalizzarsi in una counter-dominance e balancing strategy, allo scopo di frenare le mire espansionistiche degli altri competitor players e rinsaldare i meccanismi di confidence-building e di diplomazia multilaterale con i Paesi vicini. E anche l’Italia senza timidezza e come una grande potenza globale volge lo sguardo ad est, stretta tra le ambiziose proiezioni cinesi e quelle statunitensi, perché “il grande interesse dimostrato dalle istituzioni italiane e la comunità imprenditoriale dimostra che il Sud-Est asiatico è ai primi posti nell’agenda italiana.Il Ministro degli Esteri Giulio Terzi nel suo intervento pronunciato in occasione dell'ASEAN Awareness Forum, ospitato lo scorso marzo dalla Farnesina a Roma, ha sottolineato che l’Asia ha oggi una priorità tangibile nell’azione del governo italiano, focalizzata ad innescare un processo virtuoso di internazionalizzazione del sistema produttivo nazionale e ad accrescere le opportunità di investimento nella regione orientale. Il prestigioso consesso, che ha riunito i ministri dei Paesi membri dell’ASEAN e i rappresentanti della Banca di Sviluppo Asiatica, è stato plaudito come un “evento di grande portata”, imprescindibile per il nostro Paese per aumentare la consapevolezza e colmare l’asimmetria informativa dei nostri imprenditori rispetto ai mercati emergenti, agevolando la promozione delle aziende italiane e i contatti con gli interlocutori regionali asiatici.

REGIONALIZZARE LA POLITICA ESTERA ITALIANA PER RISPONDERE ALLA CRISI GLOBALE – I rapporti bilaterali e multilaterali con l’Asia sud-orientale, la regione più dinamica al mondo, un mercato in via di integrazione di 600 milioni di persone con un inestimabile potenziale di sviluppo e una crescita economica galoppante, rappresentano oggi per l’Italia la risposta più incisiva ed efficace alle sfide poste dalla crisi finanziaria mondiale e dalla globalizzazione. Regionalizzare la politica estera italiana e accrescere la partecipazione nelle organizzazioni asiatiche per rinforzare la fiducia e la partnership strategica con i dieci Paesi dell’ASEAN sono gli imperativi della nuova vocazione asiatista italiana. I legami con l’Asia, come ha ricordato Terzi, hanno segnato le migliori ore della prosperità dell’Italia e sono atavici, già molto prima di Marco Polo l’Oceano Indiano era utilizzato dall’antica Roma per il commercio, e oggi più che mai il nostro Paese riconosce che “gli investimenti sono fondamentali al fine di assicurare la crescita e la prosperità” e pertanto “mentre le aziende italiane manterranno una forte presenza nei mercati più vicini, vogliono anche giocare un ruolo più forte nei mercati emergenti, dove crescono le opportunità di business.” Il mercato del Sud-Est Asiatico sta creando un ambiente “pro-business”, nel quale le imprese italiane potrebbero stabilirsi favorendo relazioni commerciali che siano reciprocamente vantaggiose. Il processo di internazionalizzazione del sistema produttivo italiano e l’espansione significativa delle relazioni economiche tra l’Italia e la regione, richiede grande attivismo sia a livello bilaterale, con il rafforzamento delle relazioni Paese-Paese, sia a livello multilaterale, con il potenziamento della diplomazia pubblica e l’acquisizione di un ruolo di influenza e di partner privilegiato nelle organizzazioni regionali (ad esempio, la recente partecipazione del Ministro Terzi all’ASEAN Awareness Forum e all’UE-ASEAN). La crisi trasforma gli equilibri del sistema in squilibrio sistemico, ma talvolta tale disordine può diventare un’opportunità. Le esperienze pregresse delle economie asiatiche sono forse servite da lezione e dimostrano “all'Europa che le crisi non vanno sprecate”, come ha sostenuto recentemente il sottosegretario agli Affari esteri del governo italiano Dassù. Dalle macerie del primo grande terremoto finanziario del 1997 con epicentro in Thailandia, che ha squassato le economie delle Tigri del miracolo asiatico (Thailandia, Corea del Sud, Malaysia e Indonesia), è emersa la Cina, con il suo ritmo di crescita vertiginoso e la sua moneta stabile. Per ironia della sorte, dalla seconda grave crisi finanziaria iniziata nel 2008, che ha scosso gli Stati Uniti e l’Europa e ha inciso anche sulle relazioni commerciali con la Cina, ridotto il flusso delle importazioni dall’estremo oriente e prospettato la necessità della creazione di un mercato alternativo regionale (capace di coprire la domanda interna cinese), affiorano le economie emergenti del Sud-Est Asiatico, il cui processo di integrazione politica ed economica su modello europeo rappresenta una concreta opportunità di sviluppo per l’area.

COSTRUIRE UN PONTE TRA I NOSTRI SISTEMI ECONOMICIL’equilibrio fiscale, lo sviluppo infrastrutturale una good governance sono i tre nodi sostanziali per la crescita dei nuovi mercati emergenti del Sud-Est asiatico. Nel 2011 l’economia dell’Indonesia è cresciuta con un PIL reale del 6,3% e secondo le stime svetterà al 6,9% nel 2016, scalzando il primato a Singapore, città-stato con il reddito-pro capite più alto dell’intera regione e fornitrice di infrastrutture e servizi ad alta tecnologia che nel 2010 cresceva con un PIL reale del 14,5%. Se la disponibilità di manodopera a basso costo è il fiore all’occhiello dell’attrazione degli investimenti in Vietnam e nelle Filippine, favorendo la crescita media del PIL reale tra il 2012 e il 2016 al 6,3% per il primo e al 4,9% per il secondo, la Thailandia e la Malaysia sono competitive piattaforme di produzione di materiali elettrici e di componenti meccaniche e si sviluppano a ritmo del 4-5%. Le priorità nell’agenda politica della Farnesina sono tre: creare un ponte economico tra l’Italia e il Sud-Est Asiatico, capace di rafforzare la partnership commerciale tra il settore produttivo del nostro Paese e i mercati dell’ASEAN, promuovere le eccellenze italiane nell’ambito infrastrutturale e stimolare le esportazioni delle merci con marchio “Made in Italy”, il terzo più conosciuto al mondo dopo Coca-Cola e Visa. Le esportazioni italiane nei mercati dell’Asia Sud-Orientale hanno raggiunto nell’ultimo decennio una media annua del 4,5%, per un valore complessivo di 5,6 miliardi di euro nel 2011, mentre le importazioni in forte aumento hanno raggiunto nello stesso periodo una media annua del 9% e un valore di 6,9 miliardi di euro. “Il nostro modello di produzione organizzativa, in gran parte basata su piccole e medie imprese raggruppate in distretti industriali, si è dimostrato estremamente flessibile anche nelle circostanze più critiche. Stile e innovazione costante sono i risultati tangibili che le nostre imprese possono offrire ai loro partner commerciali ed investitori in tutto il mondo.” L’Italia, definita dal Ministro Terzi un “campione di commercio”, può e deve fare molto di più per espandere la propria influenza commerciale nei mercati delle economie emergenti asiatiche che nel 2015 con probabilità si integreranno in un mercato unico, una Comunità Economica Asiatica nella quale potrebbero eccellere i prodotti italiani ad alto livello competitivo, come quelli che provengono dai settori delle “tre F” (Food, Fashion, Furniture), i tessili, il cuoio e l’abbigliamento, la piccola manifattura e l’hi-tech.

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LE RELAZIONI ECONOMICHE BILATERALI – Le maggiori economie emergenti asiatiche:

Indonesia

In Indonesia c'è spazio per l'investimento delle aziende italiane e per una crescita dell'interscambio commerciale, passando da 4,5 miliardi di dollari a 25 miliardi di dollari, pari all'1% del Pil combinato tra i nostri due Paesi.” Così, ha dichiarato il Ministro del Commercio Gita Wirijawan dopo l’incontro con il Ministro Giulio Terzi a Giakarta lo scorso 24 aprile, in missione in Asia per partecipare al vertice UE-ASEAN nel Brunei. L’obiettivo dell’Indonesia è approfondire i legami commerciali con l’Italia, così come già fatto con la Cina, e riuscire a passare dai “4,5 miliardi di dollari a 25 miliardi, pari cioé all'1% dei rispettivi Pil combinati (2,5 trilioni di dollari)”.

La possibilità di investimento in partenariati tra italiani e indonesiani, secondo il Ministro Terzi, è il nucleo focale di attrazione dell’Indonesia, Paese sempre più leader del Sud-Est asiatico (la sua economia ha raggiunto il trilione di dollari), ed è oggi una grande opportunità per le imprese italiane, sostenuta dalla “collaborazione bilaterale nella governance politica ed economica globale.”

L’Indonesia, prima democrazia islamica e prima economia nella sub-regione dell’Asia Sud-Orientale, è il volano della crescita regionale e ha guadagnato la fiducia degli investitori internazionali, grazie ad un virtuoso consolidamento e stabilizzazione del quadro macroeconomico, all’efficace controllo dell’inflazione e ad una good governance che ha assicurato la stabilità politica del Paese e la ripresa dello sviluppo (il PIL è incrementato del +6,5%).

Un mercato irrinunciabile per l’Italia, al 22° posto tra i maggiori investitori stranieri e al 16° posto tra i maggiori fornitori, che può già contare su 17 progetti in attivo nel Paese per un valore di 10,4 milioni di dollari e sulla presenza nel territorio di alcune grandi aziende come l’ENI e Finmeccanica.

L’interscambio bilaterale ha raggiunto i 4,5 miliardi di euro, le importazioni italiane sono aumentate del +33,69%, passando da 2.369,98 milioni di dollari nel 2010 a 3.168,31 milioni nel 2011, mentre nel 2011 le esportazioni italiane sono aumentate del +34,42% rispetto al 2010, per un volume di 1.222,84 milioni di dollari. Prodotti chimici, macchinari per l’edilizia e macchine elettriche per uso industriale rappresentano le voci delle esportazioni più importanti per l’Italia, ma per potenziare maggiormente il valore degli scambi bilaterali occorre incentivare gli investimenti in infrastrutture e nel settore energetico.

 

Thailandia

Le ripercussioni della crisi economica mondiale e il conseguente rallentamento della ripresa, lo squilibrio inflazionistico, l’apprezzamento del Bath rispetto al dollaro e l’incidenza di calamità naturali, come le inondazioni, hanno influito sulla crescita del Paese determinando un vero e proprio tracollo del PIL reale nel corso dell’ultimo anno, dal 7,8% del 2010 al 2,5% del 2011. Tracollo che inevitabilmente ha rallentato l’interscambio commerciale italo-thailandese nel 2010, anche se le importazioni sono comunque cresciute al 36,5% e le esportazioni al 28,1%.

Le importazioni dall’Italia, con un volume che sfiora i 2 miliardi di dollari, di materie prime e semilavorate crescono del 47,94% e del 24,86%, mentre le importazioni dei beni di consumo aumentano del 37,29%.

Tre categorie di beni industriali coprono le voci dei prodotti più esportati dall’Italia in Thailandia, si tratta nello specifico delle macchine per uso industriale (coprono il 22,85% delle esportazioni italiane, per un valore di 242,8 milioni di dollari), dei manufatti metallici (rappresentano il 14,92% delle esportazioni, per un valore di 158,56 milioni di dollari) e infine dei prodotti chimici (sono il 9,32% delle esportazioni italiane per un valore di 99,5 milioni di dollari).

Le riforme economiche, atte a stimolare la domanda interna e mettere in moto i settori produttivi nazionali, sono punti prioritari nell’agenda poltica del nuovo governo thailandese, guidato da Yingluck Shinawatra, e lasciano sperare in una ripresa imminente, quindi anche in un approfondimento delle relazioni commerciali con l’Italia, oggi 24° partner principale thailandese.

 

Malaysia

Il secondo partner commerciale privilegiato dell’Italia nel Sud-Est Asiatico è la Malaysia, la cui economia nel 2010 è cresciuta con un tasso del +10,1% grazie ad un robusto flusso delle esportazioni, alla mole di investimenti stranieri e all’espansione della domanda interna.

L’interscambio commerciale italo-malaysiano è cresciuto del 21,2%, capitalizzando un volume di 918,2 milioni di euro. Le esportazioni dall’Italia verso la Malaysia sono cresciute del 16,9% nel 2011 (441 milioni di euro), mentre le importazioni dalla Malaysia sono incrementate di oltre il 25% (478 milioni di euro).

Beni industriali, come macchine motrici e apparecchi elettrici, prodotti in acciaio e i tessili impinguano il flusso delle esportazioni italiane, mentre la componentistica elettrica è il settore principale di riferimento per le importazioni malaysiane verso l’Italia.

 

Singapore

La modernizzazione del sistema creditizio e bancario, l’elevato livello dei servizi e la competitività nel settore infrastrutturale, hanno reso la città-stato di Singapore, con un reddito pro-capite di 44mila dollari, un faro per lo sviluppo e un modello di innovazione per tutta l’Asia.

La partnership commerciale italo-singaporeana è dinamica e la presenza di aziende e imprenditori italiani sul campo è consolidata (200 imprese in loco), tanto che Singapore detiene oggi il primato di maggiore destinatario delle esportazioni italiane. Con 1.412,2 milioni di euro, l’Italia si posiziona al 5° posto tra i paesi dell'Unione Europea nella graduatoria dei maggiori Paesi fornitori, mentre occupa il 12° posto in quella dei Paesi clienti, registrando un volume di 231,4 milioni di euro di importazioni nel 2010.

La Microelectronics, nata da una joint venture italo-francese e attuale primo produttore europeo di circuiti integrati, è il più importante investimento italiano a Singapore.

I comparti industriali (macchinari industriali, componentistica elettronica e auto) e quelli del lusso (abbigliamento, gioielleria, pelletteria) sono quelli più produttivi e stimolano le esportazioni italiane nel Paese.

Maria Dolores Cabras redazione@ilcaffegeopolitico.net

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