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Israele: tematiche chiave all’indomani delle elezioni

In tre sorsi – Alcuni giorni dopo la vittoria di Netanyahu alle elezioni analizziamo qui le principali dinamiche che vedono protagonista lo stato Israeliano all’indomani del voto soffermandoci innanzitutto sui risultati elettorali.

1. RISULTATI – Nell’analisi dei risultati sembra in primo luogo opportuno sottolineare l’affluenza alle urne: i valori del 2014 hanno superato di quattro punti quelli delle precedenti elezioni attestandosi quindi al 71%.  Il partito del Likud (in ebraico “consolidamento”) è risultato essere, all’indomani delle consultazioni, la principale forza nazionale, dal momento che ha ottenuto ben 30 seggi dei 120 a disposizione nella Knesset (per maggiori informazioni si veda Un Chicco in piĂą), il Parlamento Israeliano. Per ciò che riguarda le restanti forze politiche troviamo l’Alleanza di Centro, Unione Sionista, composta dal partito laburista (Miflèghet ha-‘AvodĂ  ha-Yisraelit in ebraico) e da Hatnua ( “il Movimento”) dell’ ex Ministro della Giustizia Tzipi Livni, con 24 seggi. L’elemento di maggiore rilevanza sembra essere però il risultato conseguito dalla lista Unita; una realtĂ  politica derivante dall’alleanza tra partiti arabi ed arabo- israeliani, e che ha ottenuto 13 seggi. Quarta e quinta forza della Knesset si sono attestati rispettivamente: il partito Yesh Atid (in ebraico “C’è un futuro”) dell’ ex Ministro delle Finanze Lapid  con 11 seggi, e il partito Kulanu (“Tutti noi”), formazione dell’ex Ministro del Likud Moshe Kahlon che ha ottenuto 10 seggi. I restanti 32 seggi della Knesset verranno ripartiti tra realtĂ  ultra-ortodosse, nazional-religiose e della sinistra marxista. Nonostante i risultati ufficiali si avranno soltanto mercoledì 25 Marzo, domenica 21 Marzo il Presidente israeliano Rivlin ha avviato le consultazioni che porteranno il primo partito nazionale a formare un governo di coalizione; una realtĂ  alla quale, secondo quanto dichiarato dai propri leader, non prenderĂ  certamente parte la lista Unita.

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“Bibi” Netanyahu festeggia la riconferma alla guida di Israele

2. ECONOMIA – Osservando le dinamiche pre e post-elettorali risulta chiaro come uno dei principali temi su cui si è focalizzata l’opinione pubblica sia la difficile situazione economica in cui versa lo Stato israeliano; una situazione, che senza dubbio dovrĂ  essere tra le prioritĂ  della coalizione in fase di formazione. La decisione del 23 Febbraio per un abbassamento dei tassi di interesse, sommata all’aumento del prezzo degli immobili nell’ultimo periodo, non ha  fatto altro che peggiorare una situazione giĂ  di per sĂ© complessa.
Attraverso tanto i dati OECD quanto l’analisi di alcuni esperti, intervistati da media locali, è possibile notare la debole dinamica dei salari medi, aumentati del 4% nel periodo tra 2014 e 2005 rispetto a valori registrati nei dieci anni precedenti il 2005. Complessa, sempre sulla base dei dati di cui sopra, la situazione delle esportazioni di beni e servizi, in calo del 4,4%. A preoccupare maggiormente è comunque il valore del PIL, in calo (ultimi dati 2014) dello 0,4%.
La coalizione di governo dovrĂ  dunque occuparsi nella propria agenda politica di interventi per ridare slancio all’economia israeliana in generale.

3. LINEA POLITICA – Per ciò che riguarda le scelte politiche del neo eletto Premier occorre porre l’attenzione sulle dichiarazioni pre-elettorali, ad urne aperte e una volta pubblicati i risultati. Seguendo l’ordine cronologico, risulta quindi utile porre l’attenzione sulla vigilia del voto. A meno di ventiquattr’ore dall’apertura delle urne, Netanyahu aveva dichiarato senza mezze misure che un voto per lui avrebbe rappresentato un voto contro la creazione di uno Stato palestinese: situazione questa che, secondo lo stesso Netanyahu, avrebbe spalancato le porte all’estremismo islamico. La dichiarazione del leader del Likud si configura in modo evidente come un tentativo di sollecitare il voto dei propri simpatizzanti ed allo stesso tempo sottolinea una presa di posizione ancor piĂą netta rispetto a quanto lo stesso Netanyahu aveva affermato nell’Ottobre 2014 (dichiarando che sarebbe proseguita la costruzione di insediamenti a Gerusalemme Est).
Non solo: alla vigilia del voto, a urne aperte, il Premier in attesa di riconferma, con un’ulteriore dichiarazione, ha sottolineato la pericolosità dei voti della minoranza araba in Israele; un nuovo tentativo di incentivare i propri sostenitori a prendere parte alle consultazioni.
Sebbene una volta resi pubblici i risultati elettorali il leader del Likud sia corso ai ripari chiarendo quanto dichiarato alla vigilia, le reazioni della ComunitĂ  Internazionale non hanno tardato a farsi sentire.  Secondo quanto affermano i media locali (tra cui Al Manar) Obama stesso, nella telefonata di rito per congratularsi con Netanhyau, ha espresso dissenso con i propositi del neo eletto Ppremier; divergenze che la Presidenza statunitense aveva giĂ  reso pubbliche affermando che la propria linea politica sul cosiddetto processo di pace in Medio Oriente sarebbe stata rivista alla luce delle dichiarazioni pre-elettorali di Netanyahu. Nonostante, in conclusione, sembri difficile un radicale cambio delle politiche statunitensi nei confronti di Israele (soprattutto per ciò che riguarda aiuti economici e militari), le dichiarazioni di Netanyahu non potranno non incidere sull’approccio diplomatico statunitense al processo di pace.

Al di là delle dinamiche internazionali, sono l’economia e la crescente forza dell’alleanza tra partiti arabi ed arabo- israeliani (dalla cui presenza il Governo di Tel Aviv non potrà più prescindere visto il notevole risultato elettorale) le tematiche che rivestiranno un’importanza chiave nelle prime mosse politiche della coalizione in fase di formazione.

Camilla Filighera

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Un chicco in piĂą

Knesset, in ebraico assemblea, è il nome del Parlamento israeliano. Riunitosi per la prima volta nel 1949 ha sede a Gerusalemme. Si tratta di un organo monocamerale, con  potere legislativo e con la facoltà di approvare leggi in conflitto con la Costituzione (Basic law) e di eleggere il presidente della Repubblica: è costituito da 120 membri eletti ogni quattro anni, in base al sistema proporzionale.

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