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Un calcio al sottosviluppo

Il 12 febbraio lo Zambia ha conquistato la Coppa d’Africa sconfiggendo in finale la più quotata Costa d’Avorio. La competizione è stata organizzata da Gabon e Guinea Equatoriale, Paesi tra i maggiori produttori di petrolio, ma tragicamente connotati dalle precarie condizioni dei diritti umani. Il massimo campionato africano rappresenta lo spirito di un continente più di ogni altro analogo torneo internazionale: tra il volto festoso e accogliente da un lato e la tragedia dei conflitti dall’altro, ecco che il calcio diviene allo stesso tempo spettacolo e strumento di governo

LA COPPA D’AFRICA – Poche altre competizioni al mondo hanno la forte carica politica della Coppa delle Nazioni Africane. Certo: lo sport, soprattutto a livelli internazionali, ha sempre strette connessioni con la vita di un Paese, con la sua storia, con la sua vicenda sociale. Talvolta, sui campi da gioco trovano compensazione le rivalità secolari e gli antagonismi, non necessariamente in senso negativo. Non è raro che un successo rappresenti una vera e propria rivalsa, un riscatto di un popolo nei confronti di un altro: senza scomodare realtà geografiche lontane, questo è quanto accadde con le vittorie italiane sulla Germania del 1970 (l’epico 4-3) e del 1982 (il Mondiale). In Africa, il continente dilaniato dagli scontri etnici nelle varie declinazioni, il calcio è al contempo strumento di potere e rappresentazione di unità nazionali spesso labili e artificiali, prosecuzione – parafrasando una celebre definizione – dei conflitti con altri mezzi. Nei Paesi meno democratici, nei quali lo Stato tende a essere forte e invadente, le federazioni calcistiche sono spesso presiedute da elementi che, se addirittura non sono legati da vincoli di parentela con il vertice di comando (come nella Libia di Gheddafi), sono comunque a esso strettamente connessi, poiché incaricati di perseguire attraverso lo sport tappe politicamente importanti, quali la creazione di momenti di aggregazione nazionale o la superiorità sul nemico.

L’INTERAFRICANITÀLa Coppa d’Africa ha sempre avuto un carattere peculiare sin dalla prima edizione (Sudan, 1957), ossia la connotazione volutamente marcata di competizione continentale inter-africana dalla quale i Paesi stranieri, soprattutto i colonizzatori europei, dovessero restare fuori. Se questo aspetto può apparire poco aderente alla realtà osservando, per esempio, il volume degli investimenti francesi o britannici, diversa opinione si ha seguendo il campionato tramite la stampa locale e i forum dei tifosi, vigorosi nel respingere le critiche e i commenti degli osservatori esterni.

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GABON E GUINEA EQUATORIALE 2012 – L’edizione 2012 del trofeo è stata organizzata in comune da due Stati ricchi di petrolio che, nonostante i tentativi degli ultimi anni, accusano ancora gravi criticità nel rispetto dei diritti umani: il Gabon di Ali Bongo Ondimba e la Guinea Equatoriale di Teodoro Obiang Nguema Mbasogo. Nel primo caso qualche apertura è stata concessa, a partire dal riconoscimento dei partiti di opposizione; ancora, però, il potere resta nelle salde mani della famiglia Bongo, che lo gestisce dall’indipendenza dalla Francia (1960). In Guinea Equatoriale, terzo produttore petrolifero africano, la situazione è decisamente più complessa e preoccupante, con costante repressione violenta dei dissidenti, pratiche di tortura diffuse e mancanza totale di libertà d’espressione. Il presidente Mbasogo, salito al potere nel 1979 dopo aver spodestato lo zio, a sua volta macchiatosi dell’eccidio di quasi un quarto della popolazione, è ritenuto tuttora uno dei dittatori più duri in Africa e paragonato addirittura ad Amin Dada.

SUL CAMPO – Quanto all’aspetto sportivo, la Coppa d’Africa appena conclusa ha riservato sorprese e colpi di scena, a cominciare dalla vittoria dello Zambia in finale contro la favorita Costa d’Avorio e dal quarto posto del Ghana, per arrivare all’assenza di Camerun, Egitto e Sudafrica, passando per la rapida eliminazione di Marocco e Senegal. Grande risalto è stato dato sia alla Tunisia, considerata la nazionale della Primavera araba, la compagine sorta dal rinnovamento del 2011, sia alla Libia, che si presentava per la prima volta con la nuova bandiera. Le partite si sono susseguite avendo sullo sfondo i grandi drammi dell’Africa e l’evolversi delle dinamiche contemporanee, dai disordini a Dakar, alle tensioni tra il Sudan e il Sud Sudan, mentre lo stesso al-Bashir procedeva alla repressione nel Kordofan e i Tuareg si ribellavano in Mali, Ciad e Niger. Osservando gli stadi, si percepivano tutte le profonde contraddizioni dell’Africa e tutte le potenzialità emancipatrici e aggreganti del calcio, con alcune nazionali che avevano rappresentatività del proprio Paese solo perché legittimate dal campo, spalti costantemente in festa anche nella delusione, nomi divenuti illustri nei campionati europei. Sul pallone che rotolava sotto la battente pioggia di Libreville era rivolta tutta l’attenzione di un continente che, sospeso tra la forza di dolorose radici e la spinta verso il futuro, per un mese ha trovato nello sport la speranza di una nuova indipendenza.

Beniamino Franceschini redazione@ilcaffegeopolitico.net

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Beniamino Franceschini
Beniamino Franceschini

Classe 1986, vivo sulla Costa degli Etruschi, in Toscana. Laureato in Studi Internazionali all’UniversitĂ  di Pisa, sono specializzato in geopolitica e marketing elettorale. Mi occupo come libero professionista di analisi politica (con focus sull’Africa subsahariana), formazione e consulenza aziendale. Sono vicepresidente del Caffè Geopolitico e coordinatore del desk Africa. Ho un gatto bianco e rosso chiamato Garibaldi.

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