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Napolitano e la crisi economica: l’europeismo come bussola

Ecco un secondo estratto da La geopolitica di Giorgio Napolitano, l’instant book realizzato dal Caffè Geopolitico a pochi giorni dalle dimissioni del Presidente e liberamente scaricabile dal nostro sito.

Analizzando il ruolo avuto dal presidente Napolitano durante la crisi economica che ha colpito l’UE e l’Italia si scopre il mantenimento di un atteggiamento coerente, in linea con un approccio fortemente europeista e con la convinzione, maturata in tempi non sospetti, che l’Europa deve cambiare passo se vuole sopravvivere.

È stato un Presidente della Repubblica troppo interventista? Sicuramente il ruolo di Giorgio Napolitano è stato preminente nei momenti più acuti della crisi economico-finanziaria che ha scosso l’Italia nella seconda metà del 2011, portando alle dimissioni di Silvio Berlusconi e al Governo tecnico guidato da Mario Monti. In questa sede, tuttavia, non ci interessa analizzare le dinamiche istituzionali e politiche interne che hanno portato all’avvicendamento al potere a Palazzo Chigi, quanto l’interesse e la proiezione esterna avuta dal Colle per le questioni economiche e la postura adottata nei confronti dell’economia globale e soprattutto dell’Unione europea in un periodo così complesso come gli ultimi quattro anni della storia italiana.

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Napolitano e Draghi

Al di là delle polemiche che lo hanno spesso investito, in ragione del suo passato all’interno del Partito comunista italiano che lo aveva visto sostenitore dell’Unione Sovietica, la svolta di Giorgio Napolitano in senso europeista è di vecchia data e il supporto al progetto di integrazione economica è stata una delle direttrici della politica estera del Quirinale durante il “novennato”. Lo testimonia già chiaramente uno dei suoi primi discorsi, tenuto alla London School of Economics – “tempio” dello studio delle scienze sociali – il 12 ottobre 2006, appena pochi mesi dopo la sua elezione. Nell’intervento intitolato “Is there a future for European integration?”, Napolitano dimostra una lungimiranza e una lucidità notevoli. Sottolineando come le prospettive di crescita per i dieci anni successivi per l’UE fossero nettamente più basse non solo rispetto alla Cina, ma anche agli Stati Uniti, il Presidente ammonisce sull’importanza per gli Stati europei di adottare riforme strutturali importanti, che conducano a un «governo dell’economia» oltre che «della moneta». Napolitano parla quindi della necessità di giungere all’Unione economica, la cui assenza è stata anche una delle ragioni per cui l’UE si è trovata più vulnerabile e debole di fronte alla crisi che sarebbe scoppiata due anni più tardi. È in tempi dunque non sospetti che il Quirinale detta la propria linea, che sarebbe rimasta coerente: sostegno pieno all’Europa, che però deve cambiare se vuole continuare ad affrontare con successo le sempre più impegnative sfide nell’economia globale.

La Presidenza di Napolitano ha avuto come stella polare un sostegno convinto al progetto di integrazione europea: non nello specifico alla struttura troppo “burocratica” e poco “politica” che ha assunto l’UE negli ultimi anni, ma nell’obiettivo ultimo di una compiuta Unione economica e politica.

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Napolitano e Monti

Va letto dunque in quest’ottica il comportamento di Napolitano durante la crisi economico-finanziaria che si era abbattuta sull’Italia nella seconda metà del 2011. Preservare la permanenza dell’Italia nell’Unione europea, onde evitare il collasso finanziario del nostro Paese, è stata la priorità in quei mesi concitati. Per questo, assecondare la formazione del Governo Monti, e le politiche di austerità da esso varate, è stato necessario in ragione del fine ultimo, la conservazione del progetto di integrazione europea. «È importante che l’Italia possa contare su una fase di serenità e di stabilità politica», dice Napolitano nel messaggio di fine anno del 31 dicembre 2011, preoccupandosi che, come condizione preliminare per il miglioramento della situazione economica, l’Italia riacquistasse credibilità internazionale. «In quanto all’Italia, è tempo che da parte di tutti in Europa si prendano sul serio e si apprezzino le dimostrazioni che il nostro Paese ha dato e si appresta a dare, pagando prezzi non lievi, della sua adesione a principi di stabilità finanziaria e disciplina di bilancio, nonché del suo impegno per riforme strutturali volte a suscitare una più libera e intensa crescita economica».

Il recente sostegno di Napolitano al Governo Renzi non va perciò letto come un semplice appoggio all’esecutivo di turno, in un certo modo “dovuto” dal ruolo di garante dell’ordine istituzionale, ma si inscrive in un approccio che il Presidente ha mantenuto sin dall’inizio del suo primo mandato, basato sulla necessità che l’Europa modifichi il metodo per garantire la sua stessa sopravvivenza. Il cambio di narrativa con il quale Matteo Renzi ha contraddistinto il semestre europeo a guida italiana, appena concluso, pone l’accento sulla crescita e sulla flessibilità ed è stato condiviso e sostenuto dal Presidente proprio in virtù di una coerenza alla quale Napolitano non è venuto meno. Ed ecco dunque il senso ultimo di un’iniziativa guidata in prima persona dal Quirinale, il già citato Italian-German High Level Dialogue che si è svolto a Torino a dicembre 2014 e nel quale Napolitano ha sottolineato l’importanza per l’Italia e la Germania di rinsaldare una visione comune di Europa, «reagendo al clima di immeschinimento» che si è registrato in anni recenti nel rapporto tra i due Paesi e prendendo atto della «inadeguatezza» con cui la crisi dell’euro è stata gestita.

Mantenendosi nell’ambito dell’europeismo, che è una linea distintiva e obbligata della politica estera nazionale, il presidente Napolitano ha ripetuto con linearità il messaggio di un’Unione europea più “politica”, dove l’integrazione economica è una condizione essenziale per assicurare la sopravvivenza dell’euro e del progetto stesso di Europa. Per questo il duro passaggio di risanamento finanziario è stato una necessità condivisa e sostenuta dal Quirinale: una fase vista però come un momento di “transizione” verso un nuovo periodo di crescita e stabilità, basato su rapporti più saldi e amichevoli con un partner fondamentale come la Germania.

Davide Tentori

Da La geopolitica di Giorgio Napolitano
Marco Giulio Barone – Beniamino Franceschini – Davide Tentori

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Davide Tentori
Davide Tentori

Sono nato a Varese nel 1984 e sono Dottore di Ricerca in Istituzioni e Politiche presso l’Università “Cattolica” di Milano con una tesi sullo sviluppo economico dell’Argentina dopo la crisi del 2001. Il Sudamerica rimane il mio primo amore, ma ragioni professionali mi hanno portato ad occuparmi di altre faccende: ho lavorato a Roma presso l’Ambasciata Britannica in qualità di Esperto di Politiche Commerciali ed ora sono Ricercatore presso l’Osservatorio Geoconomia di ISPI. In precedenza ho lavorato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri dove mi sono occupato di G7 e G20, e a Londra come Research Associate presso il dipartimento di Economia Internazionale a Chatham House – The Royal Institute of International Affairs. Sono il Presidente del Caffè Geopolitico e coordinatore del Desk Europa

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