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Le relazioni internazionali secondo Napolitano

Il testo proposto è un estratto da La geopolitica di Giorgio Napolitano, l’instant book realizzato dal Caffè Geopolitico a pochi giorni dalle dimissioni del Presidente e liberamente scaricabile dal nostro sito

Nell’arco dei nove anni al Quirinale, Napolitano ha rafforzato il proprio prestigio internazionale, spesso rappresentando un punto di riferimento all’estero in periodi di grave crisi politica interna. Il dibattito italiano sulla politica globale, già ridotto al minimo, ha subìto infatti un’ulteriore ridimensionamento sotto le spinte dell’emergenza economica. Allo stesso tempo, tuttavia, fuori dai confini si alternavano nei confronti dell’Italia dubbi sulla tenuta dell’ordinamento e pressioni per imboccare strade talvolta predeterminate. Ampliando il proprio ruolo Napolitano ha cercato di porsi quale interlocutore sicuro, sia per la stabilità e la lunghezza del mandato presidenziale, sia grazie al riconoscimento internazionale già acquisito nell’arco del tempo, al netto di una classe politica che non riusciva a fornire garanzie all’immagine dell’Italia.

La riflessione di “Re Giorgio” prende sempre le mosse dall’esperienza storica dell’Italia – che è anche il percorso biografico del Presidente, – un’esperienza sorta dalle ceneri della Seconda guerra mondiale e proseguita all’interno del tracciato europeo e atlantico-occidentale. La sconfitta del nazifascismo, i lavori per la Costituzione, la contrapposizione politica della cosiddetta Prima Repubblica, il rapporto complesso con la NATO e il posizionamento all’interno del blocco filostatunitense, la fiducia nell’Europa e la maratona del ventennio post-1989 sono dinamiche imprescindibili per elaborare ancora oggi la politica estera italiana, soprattutto sulla base degli esempi che la Storia ci fornisce. Pensiamo ai rapporti tra Italia e Germania, sui quali Napolitano ha molto insistito, anche in prospettiva economica: gli eventi hanno accomunato Roma e Berlino nel sangue, ma proprio per questo l’amicizia tra i due Paesi deve essere sempre maggiore, oltre e nonostante ogni diffidenza, perché si tratta di uno dei perni senza i quali l’Europa non esisterebbe.

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Napolitano con il presidente tedesco Gauck a Sant’Anna di Stazzema

In ogni discorso Napolitano ha sempre richiamato la Storia, quella dei grandi fatti e quella degli episodi dimenticati, e da essa ha tratto i princìpi della sua azione politica, impiegandola per rafforzare l’idea di un’Italia europea, atlantica e mediterranea. Per il capo dello Stato il percorso di accettazione del blocco occidentale e della NATO, insieme con l’affermazione della cultura europeistica, sono due grandi conquiste realizzate nel tempo e maturate nella consapevolezza della dimensione occidentale storica dell’Italia, pur con le peculiarità che il nostro Paese deve conservare.

Tuttavia il tempo è cambiato rispetto all’era del bipolarismo e delle grandi formazioni partitiche. In questo Napolitano si sente molto vicino a Brzezinski (che il Presidente conosce dagli anni Settanta) e Kupchan, ma anche a Hobsbawm, con il quale condivise il volume del 1976 Intervista sul PCI. Il Presidente non si limita a riflettere su un mondo in cui i centri di potere si moltiplicano, con l’ascesa di attori globali militarmente, socialmente ed economicamente più veloci dell’Occidente: le sole dinamiche generiche non sono sufficienti per comprendere il presente. Parallelamente ai nuovi protagonisti si assiste a una riduzione della forza statunitense da un punto di vista innanzitutto morale e politico, risultato di quasi vent’anni di misure controverse, dalla gestione degli anni unipolari, fino alla convulsa reazione all’11 settembre (l’Afghanistan, però, per il capo dello Stato è una «giusta immediata risposta militare») e alla responsabilità per la crisi economica del 2008. In sostanza, il grande leader del mondo occidentale non ha saputo gestire la propria supremazia in ogni àmbito, compreso quello morale, perdendo un’occasione storica. E Napolitano se ne rammarica, così come si lamenta per l’incapacità europea di affrontare con unità politica e ideale le difficoltà economiche e il contesto internazionale. A subirne le conseguenze è tutto l’Occidente, che si sta presentando impreparato al nuovo ordine mondiale, proprio mentre le opportunità di multilateralismo crescono, al di là di sostanziali difficoltà quali la scarsa affermazione della democrazia e del rispetto dei diritti umani in Paesi chiave della scena globale (Cina e Russia su tutti).

Tra le aree critiche – e a ragione – Napolitano ha spesso posto l’attenzione sul Medio Oriente, auspicando per l’Italia un ritorno alla dimensione mediterranea e alla capacità di essere ponte verso il mondo nordafricano e arabo, senza porre in secondo piano l’amicizia con Israele. Il capo dello Stato, per esempio, ha salutato con favore il fenomeno delle Primavere arabe, nonostante qualche dubbio circa l’eventualità che in alcuni Paesi (come in Egitto) si procedesse all’azzeramento di classi dirigenti che avevano lavorato positivamente in campo internazionale. Napolitano assunse una precisa posizione nel 2011 in occasione della guerra in Libia, prima con le parole («non lasciamo calpestare il Risorgimento arabo»), poi operando politicamente per sollecitare le forze parlamentari ad accettare l’intervento militare guidato da Francia e Regno Unito. In quell’occasione il Presidente fu spinto non tanto da un intimo desiderio di allontanare Gheddafi, quanto dalla realpolitik: il rischio per l’Italia era perdere gli interessi affermati nell’arco degli anni, restando oltretutto fuori da una coalizione occidentale ed europea.

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Napolitano e Obama

Uno dei punti di riferimento per Napolitano, nonché ottimo amico, è stato comunque Obama, che l’inquilino del Quirinale ha salutato come il leader capace di imprimere una svolta agli Stati Uniti, garantendo nuovamente la capacità d’attrazione politica e morale che avevano perso nel tempo. Nei quasi sei anni condivisi, Napolitano e Obama si sono visti sette volte, stringendo un rapporto di stima reciproca e fiducia. Secondo il capo dello Stato italiano – ma in molti potrebbero essere scettici – l’omologo statunitense ha intrapreso i passi giusti per donare una nuova leadership a Washington e risollevare un’immagine deterioratasi dopo la lotta al terrorismo e la crisi economica. Questo aspetto per Napolitano è assolutamente prioritario, perché rappresenta uno dei punti d’incontro tra l’atlantismo e l’europeismo, i maggiori pilastri della sua linea politica.

Il Presidente della Repubblica, pur ammettendo che il contesto socio-economico non sia positivo in prospettiva, ha sempre rifiutato l’idea che l’Occidente abbia terminato il proprio apporto allo sviluppo della civiltà. La demografia e la dinamicità produttiva, per sua stessa ammissione, non garantiscono da sole alcuna sicurezza: a rappresentare l’àncora di salvezza sono la Storia e la progettualità politica, ossia il destino comune tra le due sponde dell’Atlantico e la volontà di raggiungere un’unità di vedute e azioni, all’interno di un mondo che volge verso un multipolarismo a base regionale. L’Occidente è innanzitutto il luogo dell’esperienza democratica e del rispetto dei diritti umani: tra Europa e Stati Uniti esiste un legame indissolubile basato sul passato e proiettato verso il futuro. Per i Paesi del Vecchio continente è fondamentale osservare Washington, soprattutto per trarre esempio dalla capacità di recupero degli americani e per accedere alle sue grandi energie economiche e scientifiche – ecco il motivo del pieno sostegno da parte del Colle al Trattato transatlantico per il commercio e gli investimenti (TTIP). Napolitano ha posto l’attenzione sull’urgenza di sviluppare una politica di Difesa e sicurezza dell’Unione europea per garantire a Bruxelles maggiore margine d’azione e la possibilità di individuare strategie di ottica comunitaria, a discapito dei nazionalismi conflittuali che De Gasperi, Adenauer e Schuman volevano estirpare, condividendo le risorse nel settore militare in modo più efficiente.

È necessario assorbire gli errori di questi anni e renderli punti di partenza verso una sempre maggiore Unione politica che sappia affrontare le sfide del futuro, a cominciare dall’allargamento verso i Balcani e l’Est europeo (Napolitano ha definito «illegale» l’annessione russa della Crimea), senza dimenticare il dialogo con la Turchia.

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Napolitano all’Europarlamento

Per il Presidente è essenziale che l’Occidente si rigeneri e torni a svolgere il ruolo di guida nella transizione verso il nuovo ordine mondiale. Europa e USA devono essere uniti, al di là delle reciproche differenze, perché altrimenti il comune rischio è l’inevitabile declino. Bruxelles, però, non deve nascondersi dietro la leadership di Washington, ma anzi deve assumersi le proprie responsabilità ed elevarsi ad attore (anche di sicurezza) globale, lavorando all’interno per il successo del proprio modello e operando all’esterno per contribuire attivamente alla risoluzione delle crisi internazionali.

Questa, in sostanza, è la geopolitica di Napolitano. In un mondo che si muove a velocità crescente verso un nuovo assetto multipolare e regionale, l’Occidente – che è condannato solo se resta fermo – deve rafforzare la propria coesione, riducendo le distanze tra le due sponde dell’Atlantico e costituendo una comunità d’intenti e valori che sia in prima fila in questa fase di transizione. Spetta però all’Europa il dovere di portare a compimento il percorso avviato alla fine della Seconda guerra mondiale, procedendo decisamente verso una completa Unione politica che la renda attore convinto nelle dinamiche internazionali.

In tutto questo l’Italia resta centrale: un ponte storico tra Europa e Stati Uniti che ha saputo rappresentare sia lo spirito europeistico, sia quello atlantista, con una proiezione centrale nel Mediterraneo. Ma per riportare il nostro Paese sulla scena principale della politica mondiale è necessario trovare nuova fiducia nelle Istituzioni nazionali, nell’Europa e nell’Occidente.

Beniamino Franceschini

Da La geopolitica di Giorgio Napolitano
Marco Giulio Barone – Beniamino Franceschini – Davide Tentori

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