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Il canale del Nicaragua, nuovo standard nelle relazioni Usa – Cina

Occhi (a mandorla) puntati sull’America centrale. E’ ormai nota l’intenzione della Cina di costruire un canale, alternativo a quello di Panama, in Nicaragua. Non possiamo non chiederci qual è l’interesse che spinge Pechino a compiere quest’opera titanica ed altrettanto importante è il posizionamento dell’infrastruttura nelle relazioni sino – americane

LE RELAZIONI BILATERALI – Sin dai tempi della “diplomazia del ping pong” del 1972 i due giganti mondiali hanno intrattenuto relazioni complicate; il punto piĂą basso, in epoca recente, è stato il mancato accordo sulle emissioni di CO2 del 2009, al vertice di Copenhagen. Lungi dall’aver mai provveduto ad una “normalizzazione” delle relazioni bilaterali, Stati Uniti e Cina sembrano oggi aver trovato la via giusta nella gestione della geopolitica, una coesistenza di compromesso, simboleggiata dal recente accordo (novembre 2014) circa la gestione delle emissioni di anidride carbonica (insieme i due paesi sommano il 45% del totale mondiale), accordo che viene visto come una road map in vista della conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico, in programma a settembre  a Parigi.

Ma allora perché la Cina è andata a cercarsi un affare rischioso da 40 miliardi di dollari in Nicaragua, uno dei Paesi più poveri al mondo? In primo luogo perché ha trovato spazio. L’amministrazione Obama ha rivoluzionato quella che era stata la politica estera precedente. Virata decisa verso il soft power in luogo del costoso (e fallimentare) interventismo per mano militare o dei servizi segreti. E cambio degli assi strategici; rinunciando al “Giardino di casa” dell’America latina, abbandonando nei fatti la dottrina Monroe che dal 1823 era stata il dogma nelle cose inter-americane, Obama ha semplicemente puntato su altro.

Il continente non è a rischio di “deriva”socialista; i regimi “nemici” non se la passano affatto bene. Il Venezuela di Maduro è in grave crisi interna, Morales in Bolivia è stato rieletto ma è molto concentrato sul proprio Paese. Sta decollando l’Alleanza del Pacifico, di stampo decisamente più liberista, guidata dal Perù e benedetta da Barack fin dal discorso di Canberra; in un certo senso potremmo dire che il Washington Consensus è riuscito dove l’esercito ha fallito. Anche Cuba comincia davvero a preoccupare di meno e l’Ecuador di Correa è davvero troppo piccolo per rappresentare un problema. Oggi gli USA sono concentrati sull’economia. Il Presidente ha parlato di “voltare pagina” in materia economica e monetaria durante il discorso sullo Stato dell’Unione di due giorni fa. L’America ha ormai lasciato la crisi abbondantemente alle spalle ed è tutta proiettata verso la crescita.

IL CANALE DEL NICARAGUA – Può Washington tollerare che i cinesi si costruiscano un nuovo canale tra Atlantico e Pacifico con Ortega, presidente sandinista? Da un lato deve, considerando la stretta relazione di interdipendenza delle due economie. Se migliorano i conti del dragone, grazie al risparmio assicurato dal fatto che il nuovo canale sarĂ  agibile per porta-container dal piĂą ampio tonnellaggio, è possibile che anche la partita corrente del biglietto verde cresca. Ma se gli americani hanno bisogno di slancio per lasciarsi la stagnazione alle spalle, la Cina, per la prima volta dopo tanti anni, nel 2014 è cresciuta meno del previsto (anche se il suo +7% farebbe invidia a tutti). Da qui la consapevolezza reciproca della necessitĂ  di tollerarsi, per una crescita comune. Dall’altro lato Washington non può opporsi piĂą di tanto perchĂ© l’impero di mezzo possiede ben 1200 miliardi di dollari di debito pubblico a stelle e strisce oltre che un bell’avanzo primario nella bilancia dei pagamenti. E se davvero questo canale si farĂ  la distanza tra San Francisco e New York calerĂ  di 800 km, che in ottica di navi porta container vuol dire qualche giorno in meno.

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Pechino ha bisogno di mettere qualche bandierina nei Caraibi. E’ quello un mercato ancora non saturo ed in grande espansione per i manufatti asiatici. In più, è ricco di materie prime il cui prezzo è in picchiata come quello del petrolio, materie prime che all’industria cinese servono e che altrove, Medio Oriente o Sud-est asiatico, cominciano a costare parecchio e a risentire delle tensioni geopolitiche. Sostanzialmente gli stessi argomenti che stanno spingendo la Cina a garantirsi food security nell’area, mettendo in pratica un’altra invenzione occidentale, il land grabbing. La Cina ha bisogno dell’America Latina per continuare a crescere. Washington lo sa; la presenza asiatica è dovuta alla ricerca di opportunità economiche  e non è una sfida a singolar tenzone.

LA REAZIONE AMERICANA – Hillary Clinton, probabile candidata dei democrats per il post Obama, sulle colonne di Foreign Policy ammoniva giĂ  un po’ di tempo fa che gli Usa sono “potenza Pacifica”, rilanciando l’interesse per l’estremo oriente anche in chiave finanziaria. Nel corso del tempo ha poi provveduto a rafforzare legami con gli alleati asiatici (in primis la Corea del Sud ma anche con paesi storicamente ostili come il Myanmar) ed al rilancio della cooperazione economica, evidenziato dall’adesione alla TPP, la Trans Pacific Partnership, la piĂą grande area di libero scambio mondiale.

Accordo economico ma che mira al raggiungimento anche di standard comuni in materia di qualità (tendente all’alto, in chiave anti-cinese), proprietà intellettuale, concorrenza e tutela ambientale, lo stesso schema che è alla base dell’attuale TTIP. In questo senso il re-engagement dell’area pacifica acquisisce una funzione difensiva ma anche di sviluppo per i futuri assetti geo-strategici e non è più solo containment della potenza cinese.

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Andrea Martire

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Un chicco in piĂą

Vi proponiamo un video della BBC che descrive come funzionerĂ  il Canale del Nicaragua. [/box]

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Andrea Martire
Andrea Martire

Appassionato di America Latina, background in scienze politiche ed economia. Studio le connessioni tra politica e sociale. Per lavoro mi occupo di politiche agrarie e accesso al cibo, di acqua e diritti, di made in Italy e relazioni sindacali. Ho trovato riparo presso Il Caffè Geopolitico, luogo virtuoso che non si accontenta di esistere; vuole eccellere. Ho accettato la sfida e le dedico tutta l’energia che posso, coordinando un gruppo di lavoro che vuole aiutare ad emergere la “cultura degli esteri”. Da cui non possiamo escludere il macro-tema Ambiente, inteso come espressione del godimento dei diritti del singolo e driver delle politiche internazionali, basti pensare all’accesso al cibo o al water-grabbing.

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