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"L'imparzialità è un sogno, la probità è un dovere"

Associazione di Promozione Sociale | Rivista di politica internazionale

Da soli non si può, uniti sì (2)

Ecco la seconda parte della nostra analisi dedicata alla realtà centramericana, fatta di Paesi potenzialmente ricchi ma che instabilità politica, violenza e criminalità stanno condannando a una realtà ancora sottosviluppata. Che fare allora? La soluzione ai problemi della regione va ricercata in un approccio condiviso dagli Stati e nell'aiuto efficace da parte di soggetti terzi. Ecco perchè le iniziative del SICA (Sistema di Integrazione Centro Americana) e dell'accordo con l'Unione Europea possono essere un primo passo in avanti

Seconda parte L’APPOGGIO INTERNAZIONALE A UN APPROCCIO REGIONALE – Sembra inevitabile che s'imponga nella regione un nuovo approccio al problema, più coordinato e multifattoriale: recentemente, i paesi centroamericani hanno finalmente deciso di lanciare un'iniziativa comune (Estrategia de Seguridad para Centroamérica), presentata in Guatemala nel giugno di quest'anno, al fine di coordinare i propri sforzi con l'aiuto della comunità internazionale, superando inerzie e difficoltà che favoriscono solo i delinquenti. Il nuovo piano, cui hanno aderito un gruppo di amici, cui appartengono gli Usa, l'Unione Europea, vari dei suoi stati membri, il Messico, la Colombia, il Canada, il Giappone, la Corea e l'Australia (tutti i principali partner per lo sviluppo della regione), oltre agli organismi finanziari internazionali (BID, FMI, Banca Mondiale), ha elaborato un piano d'azione fondato su quattro assi: lotta contro il crimine, prevenzione della violenza, riabilitazione, reinserimento e sicurezza penitenziaria e rafforzamento istituzionale. In tutte queste aree sono stati identificati dei progetti comuni, finalmente centroamericani e non meramente nazionali, attorno a cui si dovrà strutturare l'azione dei governi, coordinati dal segretariato del SICA (Sistema de Integración Centroamericano) e con il contributo finanziario dei partner internazionali, che potranno scegliere in questo meno i progetti che preferiscono appoggiare. Di un totale di ventidue progetti ne sono già stati identificati otto, che dovrebbero iniziare nel 2012: le aree riguardano la cooperazione tecnologica per lo scambio di informazioni in tempo reale, la sicurezza transfrontaliera (area in cui è particolarmente attiva l'UE, che ha molta esperienza in materia a seguito del processo di Schengen); la prevenzione sociale della violenza tra i giovani, il rafforzamento della capacità dei municipi per affrontare i problemi della violenza e della sua prevenzione sui loro territori (altro settore in cui è attiva l'UE, ad esempio mediante il progetto Projóvenes in El Salvador); la modernizzazione dei sistemi penitenziari nella regione (un punto nero, poiché è dalle prigioni che si controllano le bande delinquenziali e si ordinano i delitti da eseguire); la professionalizzazione delle polizie e dei corpi di sicurezza (non solo il loro armamento). Per questi otto progetti iniziali sono stati identificati dei bisogni finanziari di circa 350 milioni di dollari, cui dovrebbero contribuire in larga misura i "paesi amici".

È ancora incerto l'esito di tale nuova strategia regionale, che sarà difficile da mettere in esecuzione e cui i paesi amici potrebbero avere difficoltà ad aderire con fondi freschi in un momento di gravi difficoltà finanziarie, ma la sua mera esistenza evidenzia due progressi importanti, entrambi piuttosto recenti: la presa di coscienza della dimensione regionale del problema da parte dei paesi implicati, e l'interessamento da parte dei partner fondamentali della regione (Usa, UE, paesi asiatici) dell'importanza d'aiutare l'America centrale in difficoltà in un momento di grande bisogno. Tra l'altro, la regione centroamericana è quella che più ha risentito della crisi globale, legata com'è a filo doppio agli Usa tramite il commercio (CAFTA) e i flussi migratori (le rimesse degli emigranti negli Usa ammontano al 16% del PIB salvadoregno): crisi negli Usa significa drammatico aggravamento della precarietà nell'istmo, con tutte le conseguenze negative legate ai fattori elencati a inizio articolo. IL QUADRO POLITICO NELLA REGIONE – In questo quadro, si sono inseriti la crisi politica dell'Honduras, che ha emarginato il paese dalla comunità internazionale tra il 2009 e il 2010, e i recenti processi elettorali in Guatemala e Nicaragua. In Guatemala, confermando la regola nazionale secondo cui sempre s'impone il candidato sconfitto nelle elezioni precedenti, il generale in pensione Otto Pérez Molina, leader del Partido Patriota, si è imposto sul candidato – sorpresa Manuel Baldizón, emerso inaspettatamente dopo l'eliminazione da parte delle autorità elettorali della moglie del presidente uscente, Álvaro Colom. Durante il mandato di quest'ultimo, il paese è scivolato verso una sempre maggiore violenza e impunità, vanificando anche gli sforzi della CICIG (Commissione Internazionale contro l'Impunità in Guatemala), commissione internazionale avente per obiettivo di aiutare il sistema giudiziario guatemalteco a superare le sue inefficienze e distorsioni, quasi endemiche. La dimissione del giudice spagnolo Carlos Castresana nel 2010 è venuta a dimostrare un certo fallimento dell'esperimento CICIG, che non è riuscita a intaccare i meccanismi perversi del sistema giudiziario guatemalteco nonostante abbia raccolto qualche successo significativo, quale la soluzione del caso Rosenberg. La presidenza Colom è stata attiva nel campo sociale, ma non ha scalfito il problema dell'impunità e l'escalation del narcotraffico, che non ha fatto che aumentare negli ultimi anni. Il generale Pérez Molina, che ha un passato questionato in materia di rispetto dei diritti umani durante la guerra civile, è stato eletto per l'aspettativa degli elettori che il suo approccio di mano dura avrà successo (quando non l'ha avuto altrove): augurabile che tale fermezza dia risultati, ma altrettanto importante che non si perda di vista la strategia regionale, l'integrazione degli sforzi con i vicini e gli insegnamenti di altri casi di "mano dura" (vedi Messico). La repressione da sola non basta per far diminuire la violenza. In Nicaragua, il presidente uscente Daniel Ortega è stato appena rieletto in un'elezione criticata dagli osservatori internazionali (missioni OEA e UE) per le molte irregolarità e arbitrarietà commesse dal governo uscente e dalle autorità elettorali: la principale anomalia è stata l'accettazione da parte della Corte Suprema della possibilità del presidente uscente di farsi rieleggere quando la costituzione lo proibisce espressamente (sulla base del dubbiosissimo argomento che tale clausola violerebbe ingiustamente il principio d'uguaglianza tra i cittadini a sfavore del cittadino Daniel Ortega…) Se la vittoria di Ortega non è di per sé in dubbio, l'ammissibilità della sua candidatura certamente lo era: Ortega deve buona parte della sua popolarità ai consistenti aiuti economici fornitigli dal Venezuela nell'ambito dell'ALBA, che potrebbero sparire in caso di sconfitta di Chávez nelle prossime elezioni presidenziali venezuelane. Se lo scenario politico – istituzionale nicaraguense è quindi migliorabile, almeno questo paese ottiene buoni risultati quando la sua situazione in termini di criminalità viene paragonata ai vicini del Nord: sembra importante in questo dato l'impatto relativamente più modesto del narcotraffico, il cui transito sembra evitare il paese, probabilmente a causa dell'attenzione delle forze di sicurezza. El Salvador è stato recentemente scelto dagli Stati Uniti come partner strategico nel quadro dell' Associazione per la Crescita, un nuovo programma americano avente per obiettivo stimolare la crescita in paesi con attenzione alla problematiche sociali (il centro dell'azione del governo dell'indipendente di sinistra Mauricio Funes) ma difficoltà economiche strutturali. Gli altri paesi partner degli Usa sono Filippine, Ghana e Tanzania. Il programma, inteso come un gemellaggio teso a creare sinergie pubblico – private tra i due paesi, e non un tradizionale programma di cooperazione Nord – Sud, vuole aiutare El Salvador a sciogliere i nodi strutturali che bloccano la  crescita economica, la più bassa in America centrale e America latina: la violenza, la bassa produttività, le insufficienze del sistema educativo. Problemi di fondo che richiedono risposte a medio – lungo termine. Uno degli assi di tale nuovo programma strategico è il supporto al sistema giudiziario e alla polizia, che si spera dia risultati in un paese disperato per l'alta criminalità. Il resto della comunità internazionale impegnata nella regione, a cominciare dall'UE, primo partner assieme agli Usa anche grazie al peso della cooperazione spagnola, oltre che di quella comunitaria, centra la propria azione su obiettivi simili: prevenzione della violenza, educazione, coesione sociale, sviluppo economico nel quadro regionale. È chiaro che l'Accordo d'Associazione tra l'Unione Europea, l'America e Panama, firmato a Madrid nel 2010, che entrerà in vigore nel 2012, potrà contribuire a tale sforzo solo nella misura in cui si ridurrà il clima di violenza e potrà ripartire significativamente l'attività economica.

UNA REGIONE CHE NON VA LASCIATA SOLA – Al di là di questi sforzi, è importante rendersi conto che i paesi centroamericani non possono fronteggiare da soli l'effetto combinato di crisi economica globale, cambio climatico e vulnerabilità territoriale (altro tallone d'Achille della regione) e violenza. La cooperazione serve, ma ancor di più il rafforzamento di strumenti regionali d'approccio a problemi comuni e alcuni cambiamenti fondamentali al di fuori della regione: se negli Usa non si modifica in qualche modo l'atteggiamento permissivo verso il consumo di droga, magari proprio mediante una legalizzazione delle droghe leggere che potrebbe tagliare le gambe ai traffici, così come lo fece l'abolizione del proibizionismo negli anni venti, e non si controlla con più rigore il traffico di armi, difficilmente l'America centrale potrà risollevarsi. D'altro canto, l'esodo attuale dell'emigrazione priva i paesi centroamericani delle loro risorse umane, provocando problemi sociali gravissimi (vedi l'emergenza delle maras, nate negli Usa e alimentate dalle costanti espulsioni di illegali dal territorio statunitense, quadruplicatesi durante la presidenza Obama). Sono quindi necessarie decisioni strategiche anche internazionali affinché l'America centrale possa uscire dalla delicata situazione in cui si trova. Risposte parziali (repressione di polizia, criminalizzazione dell'emigrazione) e poco lungimiranti non bastano. Si può pensare che di fronte alla crisi globale, poco importi la situazione di una regione per certi versi marginale negli equilibri globali: la storia insegna però che i problemi cui non si presta attenzione solo quelli che poi moltiplicano i loro effetti negativi qualche anno più tardi. Importante che la comunità internazionale sostenga l'America centrale nel suo sforzo per un futuro migliore. Stefano Gatto redazione@ilcaffegeopolitico.net

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