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Il grande ammalato

Il Giro del Mondo in 30 Caffè 2012 – Quello appena iniziato sarà un anno cruciale per il futuro dell'Unione Europea. Riuscirà l'euro a salvarsi, e con esso le economie degli Stati membri? Nel breve periodo, le misure proposte a dicembre con il “fiscal compact” dovrebbero mettere una pezza ed arginare la crisi. In una prospettiva più ampia, però, gli interessi nazionali degli Stati potrebbero prevalere e il disegno “egemone” della Germania potrebbe creare attriti. Ecco perchè è dunque necessario un profondo ripensamento del disegno politico, oltre che economico, alla base del progetto comunitario

CE LA FAREMO?– La domanda che tutti si pongono di questi tempi è: “Ce la farà l'Euro a sopravvivere?”. La crisi economica che sta colpendo l'Unione Europea e che è scaturita dall'esplosione dei debiti pubblici di alcuni dei suoi Stati ha infatti messo seriamente in discussione la sopravvivenza della moneta unica. Il vertice che si è tenuto a Bruxelles e che ha portato all'approvazione del cosiddetto “fiscal compact”, al quale tutti gli Stati hanno deciso di aderire meno che il Regno Unito, sembra aver restituito un po'di fiato ad un'UE con l'acqua alla gola. Guai, però, a pensare che i problemi siano già stati risolti. Se l'Unione monetaria riuscirà a salvarsi, questo tuttavia non basterà per allontanare ogni nube dal processo di integrazione europea. A nostro avviso andrà fatto un serio ripensamento di tale progetto, che abbia un ampio respiro e che non si limiti a fissare soltanto dei rigidi parametri macroeconomici. Tali misure servono soprattutto nel breve periodo, ma nel lungo devono essere affiancate da un progetto politico di portata più vasta. Andiamo dunque a delineare le prospettive dell'Unione Europea per questo 2012, partendo dalla situazione sul tappeto e descrivendo il ruolo dei principali attori.

FRAU MERKEL E LA “DIETA” IMPOSTA AI 26 – Qui non si tratta di smaltire i bagordi natalizi, ma di mettere in sicurezza i conti pubblici per evitare che si ripetano nuovamente crisi dei debiti sovrani come quella che sta sconquassando i mercati in questi mesi. Il Consiglio Europeo di un mese fa, dopo una notte di estenuanti negoziati, ha dato alla luce un accordo di natura essenzialmente fiscale, denominato “fiscal compact”. I principi sono essenzialmente due. Primo: è vietato per gli Stati sottoscrittori del patto (dato che Londra ha deciso di non aderire, si tratta tecnicamente di un esempio di “cooperazione rafforzata”) avere un rapporto deficit/PIL superiore allo 0,5%: sforato il “tetto”, scatterebbero dei meccanismi di sorveglianza diretta, mentre sforato il 3% si passerebbe all'applicazione di sanzioni, da decidere però a maggioranza qualificata. Secondo: il rapporto debito/PIL deve convergere al valore del 60%, per farlo gli Stati inadempienti devono abbassare il livello in eccedenza di un ventesimo all'anno. I principali media hanno strombazzato l'adozione di questi principi come se si trattasse di una novità assoluta; in realtà, non si tratta altro che della riproposizione dei cardini del Trattato di Maastricht, che fornì l'”architettura” giuridica ed economica per la costruzione dell'unione monetaria. Il problema risiede tutto nell'enforcement di questi principi, ovvero nella capacità di applicarli e di farli rispettare. In primo luogo, bisognerà verificare cosa succederà durante il processo di elaborazione e ratifica di questo nuovo trattato, che partirà a marzo. La paura di degli europei potrebbe favorire l'entrata in vigore del nuovo accordo: nel breve periodo, dunque, gli intoppi potrebbero essere ridotti. I problemi potrebbero cominciare invece quando si inizierà a fare sul serio. Non esistendo meccanismi sanzionatori prima d'ora, la maggioranza dei membri dell'UE era portata a non rispettare le regole del gioco. È anche per questo se si è arrivati agli eccessi della Grecia, con un deficit pari all'11% del PIL e un debito pubblico cresciuto fino al 165% del proprio Prodotto Interno Lordo. Tra questi Stati “disobbedienti” però vanno ricordate anche Germania e Francia, che se oggi svolgono il ruolo di “moralizzatrici” alcuni anni fa fecero spallucce nei confronti di Maastricht violando il Trattato alla pari di tutti gli altri per arginare la crisi economica. Alla luce di queste considerazioni, dunque, il problema principale delle nuove regole è ancora la capacità e la volontà da parte degli Stati di rispettarle e da parte delle istituzioni comunitarie di farle adempiere con severità. Sembra però improponibile per Paesi come Italia e Grecia imporre la riduzione del debito in queste proporzioni: è stato calcolato che Roma dovrebbe varare ogni anno una manovra di 45-50 miliardi di euro per riuscire ad adottare questi ritmi di convergenza. In realtà, l'unica chiave veramente efficace per ridurre questo rapporto è agire sul denominatore, ovvero innestando una crescita dell'economia. Il rigore fiscale adottato di recente dal Governo Monti non può essere l'unica strategia per il lungo periodo, perchè avrebbe conseguenze solamente recessive. Dopo aver messo in sicurezza i conti pubblici – e l'Italia ha dato un ottimo esempio che dovrebbe essere seguito anche dagli altri Stati a rischio – la parola d'ordine per l'UE dovrà essere nei prossimi anni crescita.

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QUI BERLINO – La Germania sembra essere il vero ago della bilancia di quello che potrà accadere nel prossimo futuro. La valenza di Berlino, per il suo peso decisamente superiore anche rispetto alla Francia, non è solamente economica ma anche geopolitica in senso stretto, perchè la sopravvivenza dell'Unione Europea è dipesa e dipenderà in larga parte dal disegno tedesco. La Germania è stata uno dei maggiori beneficiari dell'integrazione europea in questi ultimi anni: il valore dell'euro, modellato sul marco tedesco, ha consentito alle merci locali di non subire una valuta troppo forte e, annullando la possibilità di svalutazioni competitive, ha garantito alla Germania la capacità di esportare. Dall'altra parte, però, i tedeschi hanno anche avuto parte della responsabilità nel causare il disastro greco, la “miccia” della crisi continentale. La maggior parte delle banche operanti in Grecia sono infatti tedesche, e hanno concesso credito anche per consentire ai greci di vivere al di sopra delle proprie possibilità e acquistare le merci in arrivo dalla Germania. Per citare la definizione data da Robin Niblett, direttore del think-tank inglese Chatham House, è come se si fosse riproposto in piccolo il meccanismo dei “subprime” statunitensi. Angela Merkel ha dunque ogni interesse a difendere la sopravvivenza dell'Euro: per fare ciò, tuttavia, non può scegliere la strada dell'intransigenza e dell'imposizione agli altri Stati, dato che la stessa Germania non è immune da peccati. Un arroccamento sulle proprie posizioni potrebbe portare ad un indebolimento, più che a un ulteriore rafforzamento del potere tedesco in Europa, e ad uno spostamento verso la dimensione conflittuale più che cooperativa.

QUI PARIGI – Più critica appare invece la situazione della Francia e in particolare del suo Presidente, Nicolas Sarkozy. Con le elezioni alle porte e una situazione economica non virtuosa come quella tedesca, l'Eliseo si trova in una posizione quantomai delicata. Da una parte vi sono le esigenze di rigore per garantire la sopravvivenza dell'UE; dall'altra, il bisogno di difendere il proprio interesse nazionale per ottenere consensi di breve termine in chiave elettorale e anche per consentire alla Francia di rimanere l'unico vero contraltare al potere tedesco sul continente. Una conciliazione di interessi difficile che potrebbe far aumentare il peso delle ali estreme dello schieramento politico francese.

QUI LONDRA – Qual è il guadagno di David Cameron dopo essersi chiamato fuori dall'accordo fiscale ormai solo “a ventisei”? Difficile dirlo: il premier Tory voleva senz'altro tutelare gli interessi della City. Questa decisione potrebbe avere innescato un processo di allontanamento irreversibile della Gran Bretagna dall'integrazione europea. Facciamo un'ipotesi: se si dovesse davvero arrivare all'adozione di una “Tobin tax” nell'UE (un'imposta su tutte le transazioni finanziarie), è molto probabile che Londra decida di starne fuori anche in un caso simile. Il canale della Manica potrebbe diventare dunque molto più ampio: ma con una situazione economica nient'affatto positiva, il declino politico, oltre che economico, del Regno Unito potrebbe subire un'accelerazione.

CONCLUSIONI – Nel 2012 l'euro sopravviverà e l'Unione Europea dovrebbe riuscire a barcamenarsi e ad arginare la crisi grazie ad una maggiore disciplina fiscale che gli Stati membri, spinti dal timore di sprofondare nel baratro, dovrebbero seguire. Non ci sentiamo di escludere del tutto un'uscita della Grecia dall'euro, anche se fino all'ultimo ogni strada verrà tentata: una simile eventualità, seppur dal peso ridotto in termini relativi, potrebbe avere un significato politico molto forte e causare un effetto “domino” dagli esiti imprevedibili. Il problema sarà garantire una sostenibilità al progetto di integrazione europea negli anni a venire, dunque nel medio-lungo periodo. Quale Europa vogliamo? Quante porzioni della sovranità nazionale possono ancora essere cedute dagli Stati membri? Si tratta di due quesiti che non potranno essere elusi ancora a lungo. La rinuncia al potere di battere moneta è stata una cessione enorme della sovranità: rimangono soltanto la gestione della politica economica e della Difesa. Il fiscal compact, se approvato, comporterebbe la cessione di buona parte della prima: difficile che tutti possano essere d'accordo. Servirà dunque anche una profonda azione di ripensamento politico, per dare all'Unione un futuro stabile e duraturo che non potrà sostenersi solamente sul burocratismo fiscale. Davide Tentori redazione@ilcaffegeopolitico.net

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Davide Tentori
Davide Tentori

Sono nato a Varese nel 1984 e sono Dottore di Ricerca in Istituzioni e Politiche presso l’UniversitĂ  “Cattolica” di Milano con una tesi sullo sviluppo economico dell’Argentina dopo la crisi del 2001. Il Sudamerica rimane il mio primo amore, ma ragioni professionali mi hanno portato ad occuparmi di altre faccende: ho lavorato a Roma presso l’Ambasciata Britannica in qualitĂ  di Esperto di Politiche Commerciali ed ora sono Ricercatore presso l’Osservatorio Geoconomia di ISPI. In precedenza ho lavorato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri dove mi sono occupato di G7 e G20, e a Londra come Research Associate presso il dipartimento di Economia Internazionale a Chatham House – The Royal Institute of International Affairs. Sono il Presidente del Caffè Geopolitico e coordinatore del Desk Europa

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