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L’acqua alla base della democrazia mondiale

Le recensioni del Caffè – Nel lontano 2002, riguardo all’inizio dell’operazione Enduring Freedom lanciata dal presidente Bush in risposta all’attacco dell’11 settembre, Vandana Shiva scriveva: «Questa guerra non arginerà il terrorismo, perché non è rivolta alle radici del terrorismo – insicurezza economica, subordinazione culturale, espropriazione ecologica». Dodici anni e tre mandati presidenziali dopo, la storia sembra darle ragione. E l’acqua rimane elemento decisivo.

Nonostante le sempre più numerose guerre, il mondo non è migliorato. E non lo sarà fintanto che il 20% della popolazione (i ricchi occidentali) continueranno a consumare l’80% delle risorse complessive. L’Occidente si ostina a rifiutare l’idea di dover cambiare stile di vita e in questo modo continua a produrre squilibri nella democrazia e nella vita della Terra. La mancata ratifica del protocollo di Kyoto da parte degli Stati Uniti dimostra la scarsa attenzione agli altri: «Distruggere le risorse idriche e i bacini forestali e acquiferi è una forma di terrorismo», continua la filosofa di Dehradun.

L’ECONOMIA CHE ‘UCCIDE’ L’ACQUA – In Le guerre dell’acqua ci si concentra sull’elemento primario ed essenziale che determina la vita e la morte. Negli ultimi cinquanta anni l’acqua è diventata un bene meno presente e quindi ancora più prezioso. Ciò è stato determinato dall’aumento della popolazione mondiale, con l’aggravio dell’uso eccessivo e indiscriminato di acqua: la deforestazione e l’attività mineraria hanno compromesso il ciclo idrologico in diversi punti del pianeta. Per esempio, l’introduzione della monocultura dell’eucalipto in India (per favorire l’industria della carta e della pasta di legno delle multinazionali) ha provocato un uso massiccio dell’acqua e un deficit del livello di umidità del suolo, così come l’attività estrattiva di calcare nella valle del Doon ha sconvolto per sempre i bacini idrici locali.

[box type=”shadow” align=”alignleft” ] [/box]Vandana Shiva giunge così alla conclusione amara: la globalizzazione sta facendo scomparire le conquiste democratiche e sociali degli anni Ottanta. L’acqua, bene pubblico per eccellenza, diventa così paradigma delle ingiustizie del mondo e fonte di riflessione politica. Le colture industriali fanno ancora più danni, poiché richiedono molto più oro blu delle colture tradizionali (ora ritenute povere, come miglio e grano saraceno) e producono salinizzazione del terreno.

SCARSITÀ D’ACQUA E DANNI AMBIENTALI – Nel 1972 il Congresso americano approvò il Clean Water Act, che sanciva che nessuno è libero di inquinare l’acqua e che tutti hanno diritto all’acqua pulita. Quarant’anni dopo siamo costretti a misurarci con una tendenza globale opposta: il tentativo di privatizzazione del bene primario per eccellenza. È come se i Governi fossero ora passati dalla parte degli inquinatori. E con l’acqua scompaiono gli ecosistemi. Vandana Shiva fa l’esempio della coltivazione di gamberetti (richiesti dal mercato dei ricchi, ma lo stesso esempio vale per la coltura della canna da zucchero, divoratrice di grandi masse d’acqua) in Orissa: per far loro posto sono scomparse la mangrovie, barriera naturale contro le inondazioni. L’acqua che manca provoca poi siccità e aumento di calore. In una parola, il cambiamento climatico che miete vittime in primis tra i più poveri del mondo. La desertificazione che avanza, il cibo che scarseggia, intere popolazioni costrette ad abbandonare i propri territori diventando “profughi ambientali” e la perdita di preziosa biodiversità sono tutte immediate conseguenze della trasformazione in merce comune dell’acqua.

I CONFLITTI GEOPOLITICI PER L’ACQUA – Chi è coinvolto in conflitti per l’acqua di solito tende ad attribuirli ad altri fattori, e nell’ultimo cinquantennio attriti non sono mancati. Shiva ricorda la cosiddetta “idro-jihad” da parte di popolazioni seminomadi contro l’Iraq, reo di voler costruire il “canale Saddam” tra il Tigri e l’Eufrate, assetando così quelle zone. Lo stesso Iraq ha subito l’attacco della Turchia che annunciò la costruzione della diga Ataturk e il progetto Gap, che avrebbe ridotto del 60% la portata dei predetti corsi d’acqua mesopotamici. Anche i curdi sono intervenuti (1974) contro alcune deviazioni di corsi d’acqua da parte della Siria. Israele, secondo Shiva, punta al controllo del Giordano poiché pratica un’agricoltura industriale intensiva e questo non fa ben sperare per un futuro pacifico della già incandescente area.

Tensione in M.O. per il controllo del Giordano
Tensione in Medio Oriente per il controllo del Giordano

La diga di Assuan – e siamo sul Nilo – ha sì permesso all’Egitto di razionalizzare il corso d’acqua, ma ha assetato il Sudan e tagliato fuori l’Etiopia. Rimane in questo modo confermato l’assunto di Vandana Shiva: «Le grandi opere idrauliche, nella maggior parte dei casi, avvantaggiano i potenti e impoveriscono i deboli».

IL RUOLO DELLA BANCA MONDIALE – Il teorema dell’economista e filosofa indiana è forse troppo semplificativo, ma rende l’idea che vuole trasmettere: il WTO ha creato le condizioni per la scarsità d’acqua (finanziando le opere idrauliche e liberalizzando il commercio) e ora trasforma tale scarsità in un’opportunità commerciale per le aziende. In fondo, un bene primario scarso è altamente remunerativo. Dalla fine degli anni Novanta, dopo l’Uruguay Round, abbiamo assistito alla trasformazione dello Stato in impresa.

Partnership con privati (una su tutti, quella dell’India con la Monsanto) per usare capitale pubblico per procedere alla privatizzazione di beni della collettività. Programmi di privatizzazione massiccia sono così apparsi in Argentina, Cile, Messico, Malaysia e Nigeria. Banca Mondiale e FMI hanno recitato lo stesso copione ovunque: deregulation e privatizzazioni in cambio di aiuti e prestiti. Anche il più recente NAFTA ha previsto la libera commercializzazione dei servizi idrici, di solito propedeutica alla vera e propria commercializzazione dell’acqua.

Andrea Martire

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Andrea Martire
Andrea Martire

Appassionato di America Latina, background in scienze politiche ed economia. Studio le connessioni tra politica e sociale. Per lavoro mi occupo di politiche agrarie e accesso al cibo, di acqua e diritti, di made in Italy e relazioni sindacali. Ho trovato riparo presso Il Caffè Geopolitico, luogo virtuoso che non si accontenta di esistere; vuole eccellere. Ho accettato la sfida e le dedico tutta l’energia che posso, coordinando un gruppo di lavoro che vuole aiutare ad emergere la “cultura degli esteri”. Da cui non possiamo escludere il macro-tema Ambiente, inteso come espressione del godimento dei diritti del singolo e driver delle politiche internazionali, basti pensare all’accesso al cibo o al water-grabbing.

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