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Passaggi marittimi strategici: lo stretto di Hormuz

Miscela Strategica – Lo stretto di Hormuz divide la Penisola arabica dalle coste dell’Iran e mette in comunicazione il Golfo Persico con il Mar Arabico e il Golfo di Oman. Quello di Hormuz è lo stretto più importante per i traffici commerciali mondiali e rappresenta un’arteria fondamentale per il trasporto di petrolio dal Medioriente. Lo stretto si estende tra le 60 e le 21 miglia in larghezza ed è circondato da Iran, Oman ed Emirati Arabi Uniti. A nord, lo stretto di Hormuz è chiuso dall’Iran e, a sud, dal Sultanato dell’Oman, che esercita il controllo del traffico marittimo, dal momento che la parte navigabile dello stretto si colloca all’interno delle sue acque territoriali.

UN PASSAGGIO STRATEGICO – Lo stretto di Hormuz è geograficamente un punto di collegamento molto importante tra il Golfo Persico, il Golfo di Oman e il Mar Arabico e assume, di conseguenza, un’importanza strategica notevole a livello militare e politico.
Questo passaggio marittimo ha un’importanza di primo piano anche in termini commerciali. La circolazione marittima del petrolio interessa in particolare sei punti di passaggio marittimi. Tra questi, due punti sono particolarmente significativi: lo stretto di Hormuz, appunto, e quello di Malacca, attraverso i quali transita il 60% del petrolio mondiale. Tuttavia, Hormuz assurge a passaggio strategico più importante in quanto punto di accesso al petrolio del Medioriente.
Secondo la US Energy Information Administration, esso rappresenta lo stretto strategicamente più importante al mondo, in particolare per il flusso di petrolio che lo attraversa e che ammontava a 17 milioni di barili al giorno nel 2011. I Paesi del Golfo (Bahrein, Iran, Iraq, Kuwait, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti) sono i produttori di circa il 30% del petrolio mondiale, nonché i proprietari del 57% delle riserve globali di oro nero. Inoltre, la regione del Golfo possiede vaste riserve di gas naturale, che ammontano al 45% delle riserve mondiali. Sia il petrolio che il gas naturale vengono esportati dal Golfo Persico nel resto del mondo, in particolare verso l’Asia, l’Europa occidentale e gli Stati Uniti. Ancora la US Energy Information Administration rileva che nel 2011 più dell’85% delle esportazioni di petrolio erano destinate ai mercati asiatici, per lo più a Giappone, India, Corea del Sud e Cina.
In termini geofisici, lo stretto ha una profondità tale da consentire il passaggio di moderne imbarcazioni di grandi dimensioni, ma la sua larghezza non è generosa. Per ovviare al problema, sono state predisposte misure di vario tipo al fine di evitare collisioni tra navi. Queste ultime, infatti, devono seguire uno schema di separazione del traffico (Traffic Separation Scheme) ben preciso. Per attraversare lo stretto, le imbarcazioni passano dalle acque territoriali di Iran e Oman e il loro transito è regolamentato da norme internazionali, in particolare dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Unclos).

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Fig.1 – Traffico marittimo nello stretto

IL CONTESTO REGIONALE – I Paesi più vicini allo stretto di Hormuz sono Iran e Oman, che ne dividono i diritti territoriali sulle acque. Lo stretto comprende anche importanti isole sul controllo delle quali è nato un contenzioso tra Iran ed Emirati Arabi Uniti (EAU): Abu Musa, Grande Tunb, Piccola Tunb, Bani Furur, Furur, Sirri. Diverse le ragioni strategiche all’origine degli attriti tra EAU e Iran. In primo luogo, la posizione geografica delle isole le rende strategicamente cruciali per il controllo militare dell’intero Golfo Persico. Le isole, infatti, si collocano all’imboccatura del Golfo, appena oltre lo Stretto di Hormuz, al centro delle rotte marittime seguite dalle navi che trasportano merci e petrolio.
In secondo luogo, la contesa su alcune isole è legata alla scoperta di giacimenti di petrolio nelle loro vicinanze che, dagli anni Settanta in poi, le hanno rese ancora più appetibili a entrambi i contendenti.
In ultimo, ragioni di dominio culturale sono alla base di una disputa che si sviluppa sullo sfondo ben più ampio delle storiche tensioni tra l’Iran a maggioranza sciita e di cultura persiana e le Monarchie sunnite del Golfo di cultura araba.
Il traffico marittimo che passa Hormuz è quindi controllato e in parte gestito dall’Iran, che schiera nello stretto sia la Marina militare regolare che le forze paramilitari (marittime) della Guardia rivoluzionaria. Per ragioni geografiche, l’Iran condivide con l’Oman il monitoraggio e controllo del traffico navale. Infatti, la quasi totalità del traffico in ingresso nel Golfo Persico deve giocoforza attraversare le acque territoriali iraniane, mentre per uscire transita in quelle omanite.
Il trattato UNCLOS, universalmente riconosciuto, dispone che le navi siano lasciate libere di navigare attraverso i passaggi marittimi senza limitazioni di sorta (salvo casi particolari) e che possano raggiungere l’alto mare rapidamente una volta lasciato il porto. L’Iran ha firmato la Convenzione, ma – come gli Stati Uniti – non l’ha ancora ratificata. In ogni caso, a oggi Teheran si è attenuta ai dettami del diritto del mare universalmente riconosciuti. Non essendo tuttavia vincolato a essi in maniera definitiva, l’Iran ha più volte minacciato di negare il diritto di passaggio e di chiudere lo stretto alla navigazione commerciale. Se ne fosse veramente capace, non esisterebbero molte vie alternative per la navigazione. Ampia parte delle opzioni percorribili al posto di Hormuz non sono operative al momento. Solo Iraq, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti posseggono oleodotti in grado di permettere il trasporto di petrolio al di fuori del Golfo e solo Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti avrebbero oleodotti di una capienza tale da permettere di non passare per Hormuz.
L’Iraq possiede un oleodotto, il Kirkuk-Ceyhan (Iraq-Turchia) Pipeline, per il trasporto del petrolio dal Nord del Paese al porto mediterraneo di Ceyhan. Non solo questo punto di passaggio non ha la capacità di contenere le quantità di petrolio che passano per Hormuz, ma addirittura alcuni suoi punti sono chiusi e i lavori di rinnovamento potrebbero richiedere molti anni.
L’Arabia Saudita dispone di un oleodotto noto come East-West Pipeline che si estende fino al Mar Rosso: è stato usato negli ultimi anni per il trasporto di gas, per poi essere riconvertito al trasporto di petrolio. Gli Emirati Arabi Uniti hanno aperto recentemente la Abu Dhabi Crude Oil Pipeline, che permetterebbe di esportare fino a 1,5 milioni di barili al giorno se raggiungesse piena capacità operativa nel futuro prossimo. Altri oleodotti come, per esempio, la Trans-Arabian Pipeline (TAPLINE) che si estende tra l’Arabia Saudita e il Libano, sono rimasti fuori servizio per anni a causa di danni subiti a seguito di conflitti, divergenze politiche o altre ragioni e avrebbero bisogno di una completa opera di rinnovamento prima di essere utilizzate.

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Fig.2 – Esercitazione aeronavale iraniana nello stretto

GEOSTRATEGIA E SICUREZZA – Trovandosi in una posizione strategica fondamentale, lo stretto di Hormuz è inevitabilmente fonte di numerose dispute regionali e internazionali. L’Iran, come altri Paesi dell’area, è stato coinvolto in varie dispute territoriali e per il controllo delle risorse energetiche e dei traffici nell’area di Hormuz.  Al riguardo, si possono citare episodi di una certa rilevanza.
Negli anni Ottanta, durante la guerra contro l’Iraq, Teheran minacciò la chiusura dello stretto dopo il tentativo di interruzione dei traffici da parte di Baghdad. A seguire, lo stretto fu teatro di battaglia tra Stati Uniti e Iran durante lo stesso conflitto, dopo un attacco statunitense all’Iran nel 1988.
Nel decennio successivo una serie di contenziosi tra Iran ed Emirati Arabi Uniti riguardo al controllo di varie isole nello stretto hanno animato il dibattito, fino a indurre l’Iran a minacciare di chiudere lo stretto. Anche se nel 1992 l’Iran ha preso il controllo di alcune isole, le tensioni non sembrano essersi placate del tutto.
Tra il dicembre 2007 e il gennaio 2008 una disputa tra Stati Uniti e Iran si accese in seguito ad alcuni avvenimenti nello stretto. Nel giugno 2008 l’Iran minacciò di isolarlo dai traffici commerciali se gli Stati Uniti avessero sferrato un attacco. A sua volta, il Governo statunitense rispose che ogni chiusura dello stretto sarebbe stata considerata come un atto di guerra.
Più recentemente l’Iran ha minacciato di nuovo la chiusura dello stretto, soprattutto a causa della crescente pressione internazionale per l’interruzione del programma nucleare del Paese e l’embargo sul petrolio iraniano approvato dall’Unione europea nel gennaio 2012.  Il 27 dicembre 2011 il vicepresidente iraniano Mohammad Reza Rahimi aveva minacciato di impedire il passaggio di petrolio nello stretto di Hormuz se le sanzioni economiche contro l’Iran avessero limitato o interrotto l’esportazione di petrolio. Nonostante un iniziale aumento dei prezzi del petrolio del 2%, in quell’occasione i mercati internazionali non hanno avuto ulteriori reazioni alla minaccia iraniana. Il 3 gennaio 2012, il Governo di Teheran ha dichiarato che avrebbe intrapreso azioni militari nel caso in cui gli Stati Uniti avessero dispiegato una portaerei nel Golfo Persico, sottolineando che Washington ne aveva collocata una nella regione a seguito dell’inizio di alcune esercitazioni navali iraniane.

Traffico di petrolio attraverso Hormuz nel 2011-http://environment.nationalgeographic.com/environment/energy/great-energy-challenge/strait-of-hormuz/
Traffico di petrolio attraverso Hormuz nel 2011 | National Geographic

Le conseguenze economiche della chiusura dello stretto di Hormuz sarebbero notevoli in termini economici e non solo. Infatti il trasporto di risorse passerebbe per vie molto più lunghe e richiederebbe costose alternative. Tuttavia, nonostante le minacce, lo stretto non è mai stato veramente bloccato. Molti esperti del settore sostengono che l’Iran non chiuderebbe lo stretto sostanzialmente perché la propria economia dipende dal passaggio del petrolio da quelle acque, oltre che per evitare una guerra con gli Stati Uniti e tensioni con Paesi quali l’India e la Cina. È opinione comune tra gli osservatori che l’Iran, piuttosto, renderebbe difficile e pericoloso il passaggio delle imbarcazioni attraverso Hormuz. Nell’ipotesi peggiore di escalation l’Iran potrebbe decidere di utilizzare diversi mezzi e tecniche – mine, sottomarini o missili, per esempio. Uno degli scenari possibili è l’utilizzo di mine nei canali di passaggio e un attacco sferrato dalle coste o per via aerea nel caso di tentativi di sminamento da parte nemica. Tuttavia nuovi studi prospettano anche scenari differenti, rivelando che la minaccia Iraniana sullo stretto potrebbe rafforzarsi nel giro di uno o due decenni. Gli Stati Uniti hanno di solito confidato nell’aiuto dei propri alleati nella regione del Golfo Persico per ottenere la disponibilità di basi da cui dispiegare truppe e ottenere rifornimenti. Al momento, però, l’Iran sta lavorando per mettere a punto sistemi d’arma che costituiscano una minaccia più seria per gli Stati della regione, dissuadendoli dal fornire ogni tipo di appoggio a Washington.

Annalisa De Vitis

[box type=”shadow” align=”aligncenter” ]Un chicco in più

Per ulteriori letture riguardo ai possibili attacchi da parte iraniana e ai traffici commerciali nello stretto di Hormuz, si consigliano le pagine del Robert S. Strauss Center for International security and law.
Per una mappa interattiva delle risorse petrolifere nel Golfo Persico, è possibile consultare l’apposita applicazione di National Geographic. [/box]

 

 

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Annalisa De Vitis
Annalisa De Vitis

Appassionata di geopolitica, strategia militare e cinema. Il mio background va dagli studi di relazioni internazionali a quelli di comunicazione politica. Ho studiato in Italia, Belgio e Stati Uniti. Dopo aver concluso un dottorato di ricerca in politica estera e comunicazione, svolgo studi a e analisi per organizzazioni e università statunitensi ed europee che si occupano di politica estera. Il mio focus  è  il Medioriente e ho un particolare interesse per gli studi sul terrorismo.

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