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Internet governance, rivoluzione in arrivo

L’accesso alla rete internet ci sembra oggi quanto di più libero e meno regolamentato ci possa essere. In realtà, è cominciato da pochi mesi un processo di cambiamento della governance globale di internet che avrà conseguenze potenzialmente molto rilevanti non solo per la libertà di comunicazione degli individui, ma anche per l’economia del futuro, che sarà sempre più basata sui servizi prodotti grazie al digitale.

Questo articolo è stato pubblicato originariamente sull’edizione cartacea di Pagina99

COME FUNZIONA? – Forse non tutti sanno che attualmente i domini della rete internet vengono assegnati e gestiti dalla National Telecommunications and Information Administration (NTIA), un’agenzia del dipartimento del Commercio statunitense. È di marzo l’annuncio della NTIA di dare inizio a un periodo di transizione, che dovrebbe terminare possibilmente entro il 30 settembre 2015 (data in cui il mandato della NTIA scadrà ufficialmente). La guida di tale processo è stata delegata all’Internet Corporation for Assigned Names and Numbers (ICANN), un ente no-profit che attualmente si occupa della gestione della governance di internet in virtù di un contratto con il dipartimento del Commercio USA. ICANN opera attraverso un approccio “multi-stakeholder”, basato cioè sul coinvolgimento di molteplici categorie di attori, dal settore pubblico a quello privato, accademico e della società civile.

VISIONI DIVERGENTI – E proprio qui sta il punto centrale della riforma che dovrà essere attuata: adottare il modello “multi-stakeholder” nella definizione delle nuove regole del gioco oppure virare verso un approccio prevalentemente governativo, dove gli Stati avranno il controllo? Nella pratica, la prima opzione prenderebbe corpo attraverso iniziative di livello più informale come la NetMundial Alliance lanciata il 28 agosto a Ginevra grazie al supporto del World Economic Forum. La seconda invece si affiderebbe a organizzazioni internazionali nelle quali i soli membri sono gli Stati sovrani, come per esempio l’International Telecommunication Union (ITU). Tra i principali fautori della prima impostazione ci sono gli USA, mentre dall’altro lato a giocare un ruolo principale ci sono Paesi come Russia e Arabia Saudita, data la preferenza di questi Stati per un controllo più rigido delle telecomunicazioni e del loro contenuto. In mezzo le questioni in gioco: la tutela alla libertà e alla segretezza della comunicazione, ma anche aspetti legali e commerciali. Come per esempio l’assegnazione di domini .wine e .vin, che, identificando produttori di vini, dovrebbero essere strettamente legati a territori di certificata qualità, come tenacemente sostenuto dalla Francia. In altre parole, una concessione troppo “flessibile” di questi domini penalizzerebbe i viticoltori di qualità e provenienza certificate. Una sorta di “Denominazione di Origine Controllata 2.0”, insomma.

Alessandra Poggiani, direttore dell'Agenzia per l'Italia Digitale
Alessandra Poggiani, direttrice dell’Agenzia per l’Italia digitale

IL RUOLO DELL’ITALIA – E l’Italia? Il nostro Paese ha deciso di aderire all’iniziativa NetMundial, insieme ad altri Paesi come Stati Uniti, Brasile, Giappone, Germania, oltre che alla stessa Unione europea, rappresentata in occasione del vertice di Ginevra da un delegato della vicepresidente e commissario per il Digitale (ormai in uscita a fine ottobre) Neelie Kroes. Per l’Italia ha partecipato Alessandra Poggiani, nuova direttrice dell’Agenzia per l’Italia digitale, fresca di nomina da parte del Governo Renzi dopo aver presieduto l’organizzazione del workshop Digital Venice, nel quale si è discusso di internet e di tutte le opportunità economiche che la digitalizzazione dell’economia può schiudere. In occasione della riunione al WEF, Poggiani ha manifestato apprezzamento verso il modello multi-stakeholder ed espresso «preoccupazione per il rischio di frammentazione che la gestione dell’internet potrebbe avere a livello globale» qualora la transizione non fosse condotta in maniera attenta e condivisa. Infatti, in assenza di un processo guidato, gli Stati potrebbero adottare standard e criteri differenti, aumentando le difficoltà delle comunicazioni con effetti particolarmente negativi (per esempio per motori di ricerca come Google) e giungendo a quella che è stata definita la «balcanizzazione di Internet». L’Italia ha intenzione di sviluppare queste tematiche anche in occasione di un evento informale che si terrà a ottobre nell’ambito del semestre di Presidenza europea, che spetta proprio al nostro Paese.

OPPORTUNITÀ IN ARRIVO – In gioco, tuttavia, non ci sono questioni puramente regolative e giuridiche, ma anche economiche. Garantire un accesso aperto alla rete, sulla base di regole che abbiano la più ampia condivisione a livello globale, può essere una precondizione essenziale, insieme alla modernizzazione delle infrastrutture di rete fisiche, al fine di sfruttare le opportunità economiche che si possono sfruttare in termini di servizi attraverso internet. Ecco perché diventa dunque cruciale riuscire a implementare l’Agenda digitale Europea, definita da Bruxelles come uno dei sette pilastri fondamentali per l’implementazione della strategia di sviluppo e crescita Europe 2020 e che prevede la copertura di banda larga su tutto il territorio continentale. L’Italia sembra aver recepito il messaggio e ha inserito tale punto nel proprio programma di Presidenza europea. Tuttavia il nostro Paese accusa un grave ritardo in termini di accesso a internet veloce rispetto a quasi tutti gli altri membri UE (vedi box). Serviranno importanti investimenti economici. Intanto, un primo passo sarà riuscire a giocare un ruolo attivo e non da meri “spettatori” nella definizione delle nuove regole comuni.

Davide Tentori

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Un chicco in più

Per sfruttare fino in fondo le opportunità di crescita in arrivo dall’economia digitale serve un complesso di infrastrutture. Oltre a quelle immateriali, rappresentate dalla governance la cui definizione è da poco iniziata, di uguale importanza sono quelle materiali, ovvero la rete internet a banda larga. L’Unione europea ha tra i propri obiettivi il completamento del Mercato unico digitale entro il 2020: per raggiungerlo, però, gli Stati devono fare la propria parte e aumentare la propria dotazione di network internet. L’Italia non si trova in una posizione lusinghiera: le statistiche relative al tasso di penetrazione della banda larga ci vedono (l’ultima rilevazione disponibile è del 2012) nella metà bassa della classifica dei Paesi UE, con il 22,2%. Tutti gli altri grandi Stati membri fanno meglio di noi, posizionandosi al di sopra del 30%. Il Governo Renzi ha confermato il proprio impegno a prendere provvedimenti concreti per ridurre il “gap digitale” con un primo gesto. Nel decreto Sblocca Italia, approvato a fine agosto, sono infatti inserite detrazioni fiscali per investimenti in banda larga in aree potenzialmente soggette a fallimenti di mercato. [/box]

 

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Davide Tentori
Davide Tentori

Sono nato a Varese nel 1984 e sono Dottore di Ricerca in Istituzioni e Politiche presso l’Università “Cattolica” di Milano con una tesi sullo sviluppo economico dell’Argentina dopo la crisi del 2001. Il Sudamerica rimane il mio primo amore, ma ragioni professionali mi hanno portato ad occuparmi di altre faccende: ho lavorato a Roma presso l’Ambasciata Britannica in qualità di Esperto di Politiche Commerciali ed ora sono Ricercatore presso l’Osservatorio Geoconomia di ISPI. In precedenza ho lavorato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri dove mi sono occupato di G7 e G20, e a Londra come Research Associate presso il dipartimento di Economia Internazionale a Chatham House – The Royal Institute of International Affairs. Sono il Presidente del Caffè Geopolitico e coordinatore del Desk Europa

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