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Blue on blue! Il pericolo del fuoco amico in battaglia

Miscela strategica – Il fuoco amico costituisce un pericolo costante nei teatri delle operazioni militari, soprattutto in caso di coalizioni. Quali sono le cause di questi incidenti e come possono essere evitati? Scopriamolo insieme

UN PO’ DI STORIA – Fin dall’antichitĂ  la corretta identificazione delle unitĂ  militari alleate costituisce un elemento fondamentale per il regolare svolgimento delle operazioni sul campo di battaglia. Vessilli, insegne, bandiere, uniformi del medesimo colore e della stessa fattura sono stati gli strumenti principali per consentire il riconoscimento visivo delle proprie truppe ed evitare incidenti di fuoco amico (friendly fire).
Quest’ultimo consiste nell’attaccare per sbaglio forze dello stesso esercito o coalizione e va distinto da azioni deliberate e fratricide (fragging) che non sono per niente frutto di errori, quanto piuttosto della volontà di uccidere militari alleati, molto spesso il proprio comandante.
Il termine fragging – dalla parola inglese fragmentation grenade, granata a frammentazione – è stato utilizzato per la prima volta durante il conflitto in Vietnam (1965-1975) per indicare l’assassinio di ufficiali statunitensi impopolari da parte dei propri soldati, spesso compiuto con bombe a mano per simulare una morte in azione, mentre oggi si utilizza in senso lato per indicare qualsiasi attacco fratricida volontario.
Il fenomeno del fragging è conosciuto da molto tempo prima che venisse coniato un termine per indicarlo, basti pensare all’episodio documentato durante la battaglia di Blenheim (1704) – guerra di successione spagnola (1701-1714) – quando un maggiore inglese dell’East Yorkshire Regiment venne ucciso da un proprio soldato.
Azioni fratricide erano ampiamente diffuse durante la Prima guerra mondiale a seguito degli inconcludenti assalti alle trincee nemiche che minavano il morale dei soldati e la fiducia nella catena di comando per le gravi perdite subite, inducendo alcuni militari ad atti autolesionistici o all’omicidio dei propri diretti superiori al fine di evitare la battaglia.

LE CAUSE DEL FUOCO AMICO – Gli incidenti legati al fuoco amico, invece, non sono volontari e le cause principali consistono principalmente in errori di identificazione o posizione delle unità alleate, oltre al ricorso a tattiche di battaglia spregiudicate che espongono le proprie truppe al fuoco alleato (danger close). Rientrano in quest’ultima categoria alcuni incidenti di friendly fire che si sono verificati durante la guerra dell’Iraq del 2003, quando gli USA hanno fatto ricorso alla dottrina rapid dominance (dominio rapido) nota anche come shock and awe (colpisci e terrorizza).
Elaborata dalla National Defense University of the United States nel 1996 per superare le precedenti dottrine della Guerra fredda, questa teoria si basa sull’uso di una potenza di fuoco travolgente in grado di determinare un “cortocircuito” nella percezione del campo di battaglia del nemico, il cui morale viene spezzato. Il dominio rapido si fonda su manovre militari interforze spettacolari che coinvolgono le infrastrutture civili del Paese avversario e il rischio di danger close è insito alle operazioni previste.
Un drammatico esempio di friendly fire si è verificato durante la battaglia di La Drang (1965, Vietnam) nell’ambito dell’operazione Silver bayonet, una “cerca e distruggi” in grande stile organizzata dalle forze USA per scacciare le forze nordvietnamite dalla provincia di Pleiku.
La Prima divisione di cavalleria USA venne elitrasportata nella valle circondata da colline dove erano schierate forze nemiche sottostimate dall’intelligence americana, con un rapporto sfavorevole reale di 1 a 8.
Gli statunitensi persero l’iniziativa, dovendo difendere le zone di atterraggio essenziali per l’arrivo di rinforzi e rifornimenti, e il tenente colonnello Harold Moore ricorse ad azioni danger close culminate con il codice broken arrow (unità alleata prossima alla distruzione) con il quale richiese tutto l’appoggio tattico ravvicinato possibile da parte delle forze aeree. A seguito di quell’ordine un F-100 Super Sabre sganciò per sbaglio del napalm sulle proprie linee.

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Dispositivo IFF in mostra (anni Ottanta)

LA TECNOLOGIA AL SERVIZIO DELL’IDENTIFICAZIONE – Per evitare incidenti di friendly fire gli eserciti si affidano all’addestramento destinato ad affinare la propria disciplina del fuoco in condizioni ognitempo – potendo concedere una certa discrezionalitĂ  sull’ingaggio dei bersagli – e alle innovazioni relative alla strumentazione identification friend or foe (IFF). Questo tipo di tecnologia è stata sviluppata a partire dalla Seconda guerra mondiale e consente l’identificazione di unitĂ  terrestri, navali e aeree tramite trasmettitori e transponder, un sistema radio che permette di “interrogare” un potenziale bersaglio, identificandolo come amico, civile o nemico.
I sistemi IFF possono comunicare con criptazione per evitare l’identificazione e la simulazione da parte del nemico, oppure rispondere in chiaro nel caso di impieghi civili.
Attualmente sono in progettazione sistemi di integrazione “netcentrici” delle Forze Armate di diversi Paesi, in modo da identificare correttamente le unitĂ  alleate sul campo di battaglia e velocizzare l’assunzione delle decisioni per affrontare e sconfiggere il nemico.
In Italia, per esempio, è in sviluppo la “Forza NEC”, che prevede la formazione di una forza terrestre integrata digitalizzata, dotata di SIACCON (Sistema Informatico Automatizzato di Comunicazione e CONtrollo) e SICCONA (Sistema di Comando, Controllo e Navigazione), quest’ultimo presente sui veicoli “digitalizzati”, per facilitare la localizzazione e l’integrazione nello spazio di manovra in cui operano forze alleate. A oggi le difficoltà maggiori riguardano i sistemi per la corretta identificazione della fanteria, alcuni dei quali si basano su sensori passivi come il Remotely Monitored Battlefield Sensor System (REMBASS) a funzione essenzialmente semiacustica, in grado di segnalare intrusioni di personale e veicoli in una determinata area.

CONCLUSIONI – Malgrado l’addestramento e le tecnologie impiegate ai giorni nostri, il friendly fire costituisce un serio pericolo soprattutto per le forze di fanteria, per le quali i sistemi di identificazione non sono stati ancora affinati e spesso si basano ancora sulla osservazione diretta, in alcuni casi con il ricorso a visori specifici. I rischi aumentano esponenzialmente in caso di coalizioni internazionali, perché non è sempre facile l’integrazione tra i sistemi di comando, controllo e identificazione sviluppati in base a diverse specifiche ed esigenze, così come non vanno sottovalutati i casi di malfunzionamento.

Francesco Tucci

[box type=”shadow” align=”aligncenter” ]Un chicco in piĂą

Fra i casi recenti di rilievo di fuoco amico spicca l’incidente avvenuto nell’aprile 2002 in Afghanistan, che ha coinvolto un F-16 dell’Air National Guard che ha bombardato unitĂ  canadesi del Terzo battaglione della Princess Patricia’s Canadian Light Infantry, impegnate in un’esercitazione notturna, causando la morte di quattro soldati e il ferimento di sette. [/box]

Foto: Ryan Somma,

Foto: 3off

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Francesco Tucci
Francesco Tucci

Sono un giornalista professionista laureato in Scienze politiche. Specializzato in diritto parlamentare, ho lavorato alla Camera dei deputati dopo essere approdato ad alcune agenzie stampa. Da sempre interessato alle dinamiche geopolitiche e militari estranee “all’orticello di casa”, ho collaborato con il Centro Studi Internazionali (Ce.S.I) e con il Caffe’ Geopolitico per cercare di svelare le strategie dei principali attori internazionali.

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