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"L'imparzialità è un sogno, la probità è un dovere"

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Giorni di neve giorni di sole

Le recensioni del Caffè – C’era una volta un paese chiamato Argentina, la terra del sole, del sogno e della speranza. La nuova frontiera e l’orizzonte per milioni di migranti. Sfollati e fuggiaschi travagliati e frettolosi che correvano disperatamente incontro a un’agognata libertĂ . Una storia vera, in un intimo racconto di Fabrizio e Nicola Valsecchi

Negli occhi aperti, gli orrori della guerra. E nel cuore acceso, l’auspicio intramontabile e la volontà di riuscire irreversibilmente a costruirsi un futuro migliore.

Tragitti infausti, ardui e dolorosi per tutti gli Italiani che, con la classica valigia di cartone tra le mani, lasciavano velocemente gli affetti d’un’esistenza, andando coraggiosamente a scrivere all’altro capo del mondo nuove importanti pagine della loro storia privata e personale.

Esistenze precarie e sofferte. Da estranei imprescindibilmente costretti ad incrociarsi e da stranieri forzati a sfiorarsi. Percorsi umani pieni di stenti inenarrabili, di privazioni ineffabili e di sacrifici indescrivibili. Per trovare piano piano uno spazio degno e adeguato in una realtà quasi ignota, estrema e insensibile. Cercando d’adattarsi e di confrontarsi animosamente con un’altra lingua, con una cultura diversa, con una mentalità differente e con uno stile di vita del tutto alieno, inesplorato e sconosciuto. Viaggi esistenziali impervi e formativi. Come quello che è toccato in sorte al cernobbiese Alfonso Dell’Orto, un bambino di sette anni come tanti quando, in un’incantata mattinata del 1935, si trascinava celermente via dalla durezza del regime di Mussolini.

Il luogo dove suo padre Augusto, già da un anno, era emigrato. Ed ecco che, pertanto, per quell’ingenuo bambino di sette anni comincia un duro viaggio in terza classe perché la quarta non c’era. La splendida festa per il passaggio dell’Equatore e il perentorio sospiro di sollievo per aver oltrepassato indenni il periglioso Golfo di Santa Caterina sono gli unici momenti di rilievo in un viaggio da poveri e da sfortunati, in un percorso che per sei mesi, si protrae estremamente umile e disagevole, sino al tanto atteso sbarco in Argentina.

Il sogno imprenditoriale di suo padre s’infrange mestamente di bicchiere in bicchiere, di bar in bar, di fallimento in fallimento, costringendo di fatto quel bambino a crescere prima del dovuto. E passando, di lavoro in lavoro, tra sforzi enormi, rinunce notevoli e sacrifici costosi. Per vincere, come un vero e proprio esempio di perfetta e dignitosa integrazione, tutte le naturali diffidenze che s’avvertono inesorabilmente nei confronti degli stranieri. E compiere, senza mai perdere e dimenticare le proprie radici e il profondo interesse che ancora lo legano all’Italia, i primi passi di vita nel suo nuovo universo. Arrivando così a costruirsi un futuro splendente e una posizione solida in una delle più importanti aziende chimiche di tutto il Sudamerica, dopo aver sposato una connazionale di nome Maria Luisa e formato una bella famiglia di quattro figli. Purtroppo, però, proprio sul più bello, il fato, imperterrito e senza scrupoli come non mai, ci si rimette. E, intransigente come il più gelido dei soldati, si frappone nuovamente con severa durezza sul cammino ben riuscito di Alfonso Dell’Orto. E’ in effetti il 1976 quando, con un colpo di stato, la Giunta militare capeggiata dal generale Jorge Rafael Videla instaura il Processo di Riorganizzazione Nazionale e, con esso, origina un feroce regime. Hanno così inizio il drammatico settenato della guerra sucia e il periodo dell’obediencia debida e del terrorismo di stato.

Uccidere tutti i sovversivi. Poi tutti i collaboratori. E i loro simpatizzanti. Quindi gli indifferenti. Infine gli indecisi”, viene infatti ordinato improrogabilmente dal generale Iberico Saint-Jean, governatore militare della provincia di Buenos Aires, nel rispetto più completo del terribile protocollo imposto al paese dal generale Videla. Pertanto, per molti, a Buenos Aires, dopo quelle parole secche e inappellabili, comincia un vero e proprio Inferno, imputazioni infamanti che portavano quasi sempre agli arresti, ai campi di rieducazione, ai lavori forzati e alle torture.
Desaparecidos. Svaniti per sempre. Come Patricia, la figlia maggiore di Alfonso, a soli ventun anni tra le prime vittime di quell’efferata dittatura insieme al marito Ambrosio De Marco (23), con cui svolgeva il lavoro d’insegnate per i poveri d’un barrio sfortunato e disadattato. Uno dei tanti gruppi non identificati di militari che agivano nell’ombra e senza clamore, su macchine senza targa, in effetti, prende anche loro, anche se, come tanti altri desaparecidos, Patricia e Ambrosio non erano militanti o attivisti politici, tanto meno sovversivi violenti e pericolosi.

Per un caso fortuito, invece, gli altri figli di Alfonso e la piccola Mariana rimangono chiusi nell’unico armadio di cui non s’erano accorti gli uomini del regime e, solo per questo, sfuggono fortunatamente a un ingiusto sequestro.

Alfonso inizia una strenua battaglia per cercare disperatamente i suoi cari in ogni dove. Dalla drammatica notte della desapareción, Alfonso, infatti, s’impone coerentemente di sperare oltre ogni limite e di credere al di là d’ogni ragione che la figlia e il genero che i militari gli avevano brutalmente strappato fossero ancora vivi. Un padre deciso e determinato, che non cede nemmeno quando nel 1983, dopo l’inevitabile sconfitta della guerra delle Falkland e la conseguente caduta della dittatura militare, comincia a diffondersi la deprimente notizia della morte di tutti i desaparecidos. Davanti ai cimiteri, un anno prima, vengono infatti state trovate fosse comuni e mucchi di cadaveri non identificati che gli aerei del regime non sono riusciti a lasciare come bombe nel mare infinito, nei cosiddetti “voli della morte”.

[box type=”shadow” align=”alignright” ][/box]“Durante i processi del 1999, ecco spuntare, sola fra tante altre nel silenzio glaciale d’un’aula di tribunale, la triste testimonianza della morte di Patricia e di Ambrosio, brutalmente uccisi a poche ore dalla loro effettiva incarcerazione. Dalla deposizione d’un compagno di prigionia, il testimone oculare Julio LĂłpez, s’apprende infatti della violenza carnale sulla figlia di Dell’Orto, velocemente stroncata dai suoi aguzzini dopo il marito. Alfonso si sente abbattuto, vinto e piagato da un destino decisamente avverso e impietoso nei suoi confronti. Ma, dentro di sĂ©, ancora vuol dar battaglia e trova di nuovo il coraggio necessario per far rivivere in qualche modo la memoria della sua adorata figlia. Tre anni dopo il tremendo colpo ricevuto, in effetti, Dell’Orto riesce definitivamente nel suo pertinace intento. Ora che un quadro la raffigura nella sua intramontabile gioventĂą, difatti, Patricia, vive ancora. In una casa che non è l’oceano blu o una fossa comune che purtroppo hanno ospitato i destini e le spoglie di molti desaparecidos come lei, ma la Cooperativa Sociale di Piazza Santo Stefano (frazione di Cernobbio dalla quale il lungo viaggio di Alfonso è partito quasi ottant’anni prima), costruita tra gli altri anche dal nonno di Alfonso. E qui Patricia riposa per sempre. Non piĂą lacrima che scorre per sempre nel cuore d’Argentina ma stella che brilla in eterno nel cielo sopra Cernobbio. Illuminandolo del suo esempio breve ma intenso di significativo impegno civico e sociale.

Testo di Fabrizio e Nicola Valsecchi

 

Questo bel libro è accompagnato dalla eccezionale prefazione del Premio Nobel per la Pace 1980, Adolfo Perez Esquivel. Pubblichiamo qui la versione olografa.

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