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Brasile, una potenza regionale riluttante

Nei prossimi trenta giorni tutti gli occhi del mondo saranno puntati sul Brasile: l’appuntamento dei Mondiali di calcio offre anche un pretesto per discutere del ruolo del Paese sudamericano non solo come potenza sportiva ma anche come geopolitica e geoeconomica, a livello regionale e globale

POTENZA ECONOMICA… ANCHE GEOPOLITICA? – Il Brasile è stato protagonista durante l’ultimo decennio di un periodo di crescita economica stabile e costante (il PIL è cresciuto in media del 3.6% annuo secondo il Fondo Monetario Internazionale). È di gran lunga la prima potenza economica e demografica di tutta l’America Latina (seguito dal Messico) e un attore di primo piano a livello mondiale grazie alla sua presenza nel G20 e al ruolo di rilievo nel forum dei BRICS. La domanda che è lecito porsi è però se il Brasile sia davvero un leader in America Latina.
Bisogna anzitutto semplificare l’analisi dividendo l’area latinoamericana in America Centrale e America del Sud. Infatti, mentre l’influenza geopolitica a nord del canale di Panama è appannaggio del Messico (che è il punto di riferimento economico e politico – nonché ‘ponte’ verso gli Stati Uniti –  per le altre piccole repubbliche centramericane, lo spazio geopolitico ‘naturale’ del Brasile è situato in America del Sud. Tuttavia, si potrebbe quasi dire che il Brasile sta al Sudamerica come la Germania di oggi sta all’Europa: due grandi potenze economiche nei rispettivi continenti che sono però riluttanti ad assumersi responsabilità da leader politici ed economici.

Il Messico potrebbe scalzare il Brasile come potenza regionale in America Latina?
Il Messico potrebbe scalzare il Brasile come potenza regionale in America Latina?

LO STALLO DEL MERCOSUR – Negli ultimi anni, soprattutto durante la guida di Lula, sembra infatti che il Brasile si sia interessato maggiormente ad intensificare le proprie relazioni con altre regioni del mondo in via di sviluppo, in particolare l’Africa. La cooperazione Sud-Sud e un’intelligente declinazione pratica del soft-power (facilitato da vincoli culturali con i Paesi lusofoni) sono state infatti funzionali alla strategia di investimenti esteri delle grandi multinazionali brasiliane nel settore dell’energia (Petrobras) e dell’acciaio (Vale). A livello commerciale, Unione Europea, Cina e Stati Uniti sono di gran lunga i principali partner, assorbendo circa il 49% delle esportazioni e oltre il 50% delle importazioni.  L’Argentina, con il 7% degli scambi commerciali, rappresenta l’unico partner di rilievo in Sudamerica. Come mai?
La principale organizzazione di integrazione regionale in cui il Brasile è coinvolto, il MERCOSUR, è in crisi ormai da anni. Quella che era nata come un’area di libero scambio e unione doganale destinata a seguire l’esempio dell’Unione Europea, si è poi trasformata in una piattaforma per la promozione dei nazionalismi di sinistra riapparsi nella regione, l’Argentina di Cristina Kirchner e dal 2012 – anno dell’ammissione nel MERCOSUR – anche il Venezuela. Il Brasile non è riuscito a promuovere ulteriori aperture in tema di commercio e investimenti rimanendo invischiato in dispute commerciali con l’Argentina che hanno portato ad una ripresa del protezionismo con effetti deleteri non solo per i rapporti bilaterali ma per l’integrazione regionale. Non è un caso se il Brasile sta pensando di dare vita a relazioni bilaterali con l’UE per un accordo di libero scambio sganciandosi dal MERCOSUR, visto che i negoziati tra l’organizzazione e Bruxelles sono ormai ad un binario morto da diversi anni. Il recente summit bilaterale UE-Brasile che si è svolto a febbraio è una prova della tendenza in corso.

C’E’ CHI NON PERDE TEMPO – Nel frattempo, le economie della regione che si affacciano sull’Oceano Pacifico non stanno perdendo tempo. Cile, Perù e Colombia hanno appoggiato con decisione politiche economiche liberali volte all’apertura commerciale e in termini di investimenti esteri. Hanno dato vita, all’interno della regione latinoamericana, dell’Alleanza del Pacifico insieme al Messico, e i primi due sono membri della futura Trans-Pacific Partnership, un accordo regionale attualmente in fase di negoziazione guidato dagli USA e che vede coinvolti tredici Paesi in America Latina e Asia (tra cui lo stesso Giappone).
In anni recenti risultati più incoraggianti sono stati raggiunti tramite le iniziative di cooperazione politica anziché economica. L’UNASUR (Unione delle Nazioni Sudamericane), la cui nascita fu promossa proprio dal Brasile nel 2004, è una piattaforma di dialogo su diverse tematiche, dalla difesa allo sviluppo umano. Tuttavia, un’agenda troppo ampia ha giocoforza ridotto l’efficacia dell’organizzazione non consentendo al Brasile di farne un vero e proprio strumento di influenza regionale.

RISCHI E SFIDE – Il Brasile rischia di perdere terreno nella sua stessa regione e di rimanere isolato sia rispetto ai partner Atlantici e Pacifici. Sembra quasi paradossale che l’unico gigante economico della regione rimanga all’esterno dei principali accordi di integrazione politica ed economica. Certamente la possibilità di contare su un mercato interno enorme (quasi duecento milioni di abitanti) e in espansione, grazie alle politiche redistributive che hanno permesso negli anni passati di ridurre le disuguaglianze, rappresenta un vantaggio consentendo di ridurre la dipendenza dai mercati stranieri, e dunque anche di attutire gli shock economici e finanziari provenienti dall’estero. Allo stesso tempo, però, una potenza economica come il Brasile deve decidere che cosa ‘vuol fare da grande’. Il disimpegno degli Stati Uniti dall’area sudamericana nel corso degli ultimi vent’anni ha aperto da alcuni anni ampi spazi che il Brasile avrebbe potuto colmare ponendosi come leader e dettando l’agenda dell’integrazione sia intra- che extra-regionale. Così invece non è avvenuto.
Una delle priorità del prossimo governo (le elezioni Presidenziali si svolgeranno ad ottobre) sarà ridefinire l’agenda di politica estera e ricalibrare la proiezione internazionale del Brasile. Ri-orientare lo sguardo verso la regione sudamericana sembra un’alternativa ragionevole, se non una necessità, viste le enormi opportunità ancora inesplorate in termini di commercio, investimenti e integrazione produttiva con il resto del Sudamerica.

Davide Tentori

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Davide Tentori
Davide Tentori

Sono nato a Varese nel 1984 e sono Dottore di Ricerca in Istituzioni e Politiche presso l’Università “Cattolica” di Milano con una tesi sullo sviluppo economico dell’Argentina dopo la crisi del 2001. Il Sudamerica rimane il mio primo amore, ma ragioni professionali mi hanno portato ad occuparmi di altre faccende: ho lavorato a Roma presso l’Ambasciata Britannica in qualità di Esperto di Politiche Commerciali ed ora sono Ricercatore presso l’Osservatorio Geoconomia di ISPI. In precedenza ho lavorato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri dove mi sono occupato di G7 e G20, e a Londra come Research Associate presso il dipartimento di Economia Internazionale a Chatham House – The Royal Institute of International Affairs. Sono il Presidente del Caffè Geopolitico e coordinatore del Desk Europa

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