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Se il Dalai Lama va in pensione

Il Tibet e il riconoscimento dei Diritti Umani. L'annunciato ritiro dall’attività politica del Dalai Lama, se può apparire come normale per un Leader Politico, comporta tuttavia dei mutamenti nell’assetto istituzionale del Tibet, le cui conseguenze politiche possono coinvolgere i rapporti con la Cina e soprattutto i rapporti tra questa e l’occidente. Conseguenze frutto della pervasività dei Diritti Umani

FORMAZIONE DELLE ISTITUZIONI – Per chiarire occorre considerare l’assetto istituzionale Tibetano, tenendo presente l’influenza che su di esso ha esercitato nel tempo la Cina e sottolineando fin d’ora come il Dalai lama e il Panchen Lama siano delle figure religiose che svolgono rilevanti funzioni politico – istituzionali, tanto che insieme rappresentano gli elementi chiave per il governo del Tibet.

La figura del Dalai Lama viene istituita nel 1578 per mezzo dell’investitura ad autorità temporale e religiosa ricevuta dalla Cina. L’assetto istituzionale viene completato poi dal V° Dalai Lama che attribuisce al suo maestro il titolo di Panchen Lama. Le due figure diventano quindi le più alte cariche tibetane, la prima con funzione anche di governo temporale, la seconda con autorità in ambito religioso; entrambe comunque interdipendenti nell’importantissima funzione del ”riconoscimento delle rispettive incarnazioni”.

FORME STORICHE DI INFLUENZA – La Cina ha sempre esercitato un forte controllo sul Tibet, indirizzando la sua azione in modo da incidere direttamente sui Lama. Ciò, ad esempio, attraverso “l’investitura” da parte cinese o attraverso il sistema del “Sorteggio Imperiale”. Contrapposti all’azione cinese vi sono i tentativi dei paesi occidentali di esercitare la loro influenza sul Tibet; tali tentativi, principalmente in ragione degli strumenti usati – quali la semplice apertura di uffici nella capitale, o accordi sullo status del Tibet (non coinvolgenti la Cina) – non hanno raggiunto il loro obbiettivo, ovvero affievolire l'influenza ed il controllo cinese sul Tibet.

DOPO LA RIVOLTA DI LHASA – Nel corso del 1959, tuttavia, gli eventi legati alla rivolta di Lhasa, che porteranno in breve tempo all’istituzione e all’insediamento presso Dharamsala (India) di quello che viene chiamato Governo Tibetano in Esilio, rappresentano un momento fondamentale per l'avvicinamento dei Paesi occidentali ai Tibet.

Dotati di nuovi strumenti, quali i diritti dell’uomo, in grado di penetrare profondamente nell’assetto istituzionale, questi paesi riescono a incidere sulla fonte primaria del diritto tibetano, la “Charter of The Tibetan in Exile”, che tra l'altro prevede anche il principio della separazione dei poteri.

Attualmente, quindi, coesistono istituzioni di antiche origini quali Dalai Lama e Panchen Lama basate, in senso lato, sull’investitura da parte della Cina, aventi valore principalmente religioso e istituzioni di nuovo conio, fondate su principi culturalmente appartenenti ai Diritti dell’Uomo dotate di valore politico-istituzionale anche se operano al momento al di fuori del territorio tibetano.

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DOPO IL DALAI LAMA – Proprio sul piano istituzionale sia l’eventuale “ritiro a vita privata” del Dalai Lama sia la sua eventuale “non reincarnazione”, come da lui dichiarato, possono rappresentare un ulteriore momento di svolta nella questione tibetana.

In entrambi i casi, infatti, il potere temporale verrebbe esercitato dal Governo Tibetano il quale, trovando il suo fondamento nei valori propri delle moderne democrazie comporta il venir meno di un importante e simbolico elemento del controllo della Cina, esercitato nella continuità della prassi dell’investitura.

Che questo governo, nel futuro, operi all’interno di un Tibet indipendente o dotato di maggior autonomia può solo influire sulla misura del problema creato alla Cina, ma non sulla sua esistenza.

In primo luogo tanto l’indipendenza quanto l’autonomia possono rappresentare un esempio che altre regioni Cinesi, in cui vi sono forti presenze di gruppi etnici con una loro specificità, possono voler seguire.

L’indipendenza inoltre, lasciando il Tibet libero di stringere rapporti con altri stati all’interno della Comunità Internazionale, può rappresentare motivo di preoccupazione per la Cina da molti punti di vista.

D'altro canto anche l’autonomia può rappresentare una difficoltà per la Cina, giacchè in questo caso il Tibet, restando legato alla Cina e quindi all’interno della sua struttura istituzionale, potrebbe di fatto introdurre principi e valori quali il principio di separazione dei poteri, il principio del giusto processo, e soprattutto il principio di libertà di religione. Principi che per loro natura, per il messaggio universale che esprimono, tendono a diffondersi nelle e tra le società.

DIRITTI UMANI COME FATTORE D'INFLUENZA – Il lavoro di denuncia e sensibilizzazione iniziato in seguito agli eventi del 1959, portato avanti dal Dalai Lama con il sostegno della Comunità Internazionale e svolto sottolineando il valore dei “Diritti dell’Uomo” nel contesto della questione tibetana, ha legittimato l'introduzione di istituzioni e principi attraverso i quali è possibile esercitare la propria influenza geopolitica.

Il ritiro dalla vita pubblica del Dalai Lama, la sua possibile “non reincarnazione”, il passaggio del potere temporale ad istituzioni di stampo occidentale avvenuto senza esercizio di forza, più che un semplice fatto/notizia, può rappresentare un passaggio chiave di un percorso di ricollocazione del Tibet in cui si evidenzia la capacità e la forza che i principi dei Diritti dell’Uomo sono in grado di manifestare quando considerati quali strumenti di geopolitica.

Matteo Mirti

redazione@ilcaffegeopolitico.net

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