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Confusione nei cieli

A pochi giorni dall’inizio delle operazioni contro il regime di Gheddafi, la coalizione presenta già divergenze di opinioni su come procedere. Al di là delle problematiche politiche, ampiamente valutate dai media, torniamo ad esaminare alcuni aspetti tecnici, spesso meno comprensibili dal pubblico. Cerchiamo dunque di capire come si svolgono queste azioni e diamo un’occhiata, più in profondità, al testo della risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza ONU

 

I NOSTRI AEREI NON SPARERANNO? – In seguito alle divergenze sorte all’interno della maggioranza sull’argomento, il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha affermato che i nostri aerei non hanno sparato e non spareranno. Tale dichiarazione ricalca un po’ la dottrina D’Alema del 1999, quando l’allora Presidente del Consiglio affermò la nostra estraneità ai bombardamenti. Come allora, le cose potrebbero però risultare differenti all’atto pratico.

 

L’Italia al momento offre un supporto modesto all’operazione aerea, fornendo solo alcuni cacciabombardieri (4-8 a seconda delle fonti) e altrettanti caccia di scorta. Le missioni in cui sono impiegati sono riferite all’implementazione della no-fly zone, che richiede necessariamente anche la soppressione delle difese antiaeree che potrebbero minacciare i voli alleati di controllo sulla Libia.

 

COME SI SVOLGONO LE AZIONI – Si tratta di missioni tipo SEAD (Suppression of Enemy Air Defence), dove i cacciabombardieri volano fino alla zona designata e controllano la presenza di apparati antiaerei attivi, ovvero con i radar accesi. In caso positivo il cacciabombardiere impiega un missile tipo HARM (Homing Anti-Radiation Missile) che si “aggancia” alla radiazione radar; quest’ultima funge quindi da faro e guida il missile su di sé, portando alla distruzione del radar. L’importanza di tali missioni è dovuta al fatto che senza radar le batterie antiaeree sono cieche e i missili terra-aria non hanno alcun segnale a cui agganciarsi per poter essere sparati. Finora sembra che i nostri cacciabombardieri non abbiano mai incontrato radar accesi (perché già distrutti o perché tenuti spenti per paura venissero eliminati), dunque non c’è stata necessità di aprire il fuoco. Tuttavia appare evidente come la decisione di sparare o meno non possa essere effettuata a priori, a meno di ridefinire l’intera partecipazione e quindi autorizzare solo missioni differenti – cosa che non appare militarmente sensata.

 

E GLI ALTRI? – Le missioni tipo SEAD sono alla base delle moderne campagne aeree di bombardamento e una delle modalità per garantire una no-fly zone (assieme alla distruzione dei caccia avversari e delle piste di atterraggio e decollo); sono state effettuate da tutte le nazionalità coinvolte proprio per guadagnare la superiorità aerea. In aggiunta i missili cruise lanciati da navi e sottomarini e le missioni dei cacciabombardieri esteri, in particolare quelli francesi, hanno colpito anche le truppe terrestri di Gheddafi (carri armati, artiglieria, concentrazioni di soldati) e le infrastrutture che ne permettono l’efficienza (posti di comando, depositi di munizioni e carburante).

 

Tali operazioni non ricadono tra quelle necessarie per garantire una no-fly zone, ma sono tra quelle possibili per la protezione della popolazione civile dalla rappresaglia del regime, altro punto espressamente autorizzato dalla risoluzione ONU 1973 del 17 Marzo scorso (paragrafo 4).

 

In effetti è stato grazie alla distruzione di questi bersagli che le offensive contro i rivoltosi sono state parzialmente fermate, tuttavia è evidente che più bersagli si cerca di colpire e maggiori sono i rischi di incidenti e vittime civili, soprattutto a causa della tendenza libica di usare scudi umani, non sempre volontari. Non trovano però conferma le accuse già mosse dal regime, poiché ai giornalisti internazionali a Tripoli e dintorni non è stato finora mostrata alcuna vittima (come invece promesso da giorni) e un reporter indonesiano ha osservato una normale attività negli ospedali.

 

Allo stesso modo non è escluso che non si tenti di eliminare gli esponenti del regime tramite attacchi mirati qualora se ne presenti l’occasione.

 

COSA FARE DOPO? – Il punto infatti non è tanto se le attivitĂ  attuali siano autorizzate o meno; la risoluzione del Consiglio di Sicurezza è abbastanza chiara su questo punto, pur lasciando spazio ad alcune interpretazioni. Il problema rimane cosa fare sul medio periodo. Una volta soppresse completamente le difese antiaeree – cosa che avverrĂ  in questi giorni – e ridotto drasticamente la capacitĂ  offensiva dei lealisti, quale linea verrĂ  seguita? Al momento non è possibile fare previsioni perchĂ© esistono notevoli divergenze di opinioni tra gli attori coinvolti. Si vuole la caduta di Gheddafi per mano occidentale? O vogliamo lo facciano i ribelli tramite armi da noi fornite? Oppure basta dividere la Libia in due parti proteggendo la metĂ  est in mano agli insorti? FinchĂ© non si avrĂ  un comando ben definito e un obiettivo finale condiviso che rispondano a tali domande, le dichiarazioni contraddittorie continueranno.

 

Lorenzo Nannetti

redazione@ilcaffegeopolitico.net

 

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Lorenzo Nannetti
Lorenzo Nannetti

Nato a Bologna nel 1979, appassionato di storia militare e wargames fin da bambino, scrivo di Medio Oriente, Migrazioni, NATO, Affari Militari e Sicurezza Energetica per il Caffè Geopolitico, dove sono Senior Analyst e Responsabile Scientifico, cercando di spiegare che non si tratta solo di giocare con i soldatini. E dire che mi interesso pure di risoluzione dei conflitti… Per questo ho collaborato per oltre 6 anni con Wikistrat, network di analisti internazionali impegnato a svolgere simulazioni di geopolitica e relazioni internazionali per governi esteri, nella speranza prima o poi imparino a gestire meglio quello che succede nel mondo. Ora lo faccio anche col Caffè dove, oltre ai miei articoli, curo attività di formazione, conferenze e workshop su questi stessi temi.

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