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La guerra in Siria non è finita

La guerra civile siriana continua, non dimentichiamolo. Se l’attenzione internazionale si rivolge verso le crisi del momento, il conflitto siriano sembra ormai una costante del Medio Oriente, visto il fallimento della comunità internazionale nell’accordarsi su una soluzione condivisa. In 3 sorsi, vediamo gli aggiornamenti più importanti

ALEPPO – Il conflitto siriano è complesso soprattutto per la grande varietà di gruppi che si combattono tra loro. Al confronto diretto tra ribelli e regime si sovrappone la lotta intestina tra le varie anime dell’opposizione. Questo ha creato ulteriori frammentazioni che rendono ancora più difficile distinguere le parti e capire quali siano veramente interessate o capaci a sedersi al tavolo dei negoziati. Quanto succede ad Aleppo in queste settimane è emblematico. Una parte dei sunniti originari della città si è schierato a favore del regime, unendosi alle brigate della milizia Baath. Si tratta per lo più di cittadini di Aleppo delusi dalle promesse della rivoluzione. Molti condividevano le proteste, pur vigorose, del 2011 ma sono oggi scontenti per la condotta delle operazioni di guerriglia da parte degli insorti. In effetti, la città di Aleppo evidenzia il dualismo tra città e campagna. Molti ribelli provengono dalle campagne e dai piccoli villaggi e vivevano da tempo in condizioni misere. Poco o nulla da perdere, quindi, ma la speranza di cambiare le proprie condizioni di vita. La storia degli abitanti di Aleppo è invece diversa. Molti di essi facevano parte della piccola borghesia urbana che, seppure non particolarmente agiata, viveva dignitosamente e rappresentava una fetta consistente dell’attivismo economico del Paese. Si trova oggi in condizioni molto peggiori di tre anni fa, senza aver conseguito alcuna concessione politica. In seguito alla singolare chiamata alle armi di Assad, che ha eccezionalmente concesso ai coscritti di servire nel proprio luogo di provenienza e non necessariamente nelle formazioni regolari, una parte dei sunniti di Aleppo ha deciso di combattere per il Presidente Alawita. Questa dinamica, che probabilmente si ripeterà altrove, rende ancora più intricata la natura del conflitto e, di conseguenza, le possibilità di risoluzione.

Un gruppo combattente in Siria. Credit: Freedom House
Un gruppo combattente in Siria. Credit: Freedom House

FRONTE ISLAMISTA – Continua anche il confronto tra Jabat al-Nusra e l’ISIS (Islamic State of Iraq and al-Sham). I due movimenti sono ora decisamente in competizione, e si è definitivamente consumato il divorzio tra Al-Baghdadi, leader ed “emiro” di ISIS, e Al-Qaeda Central. Quest’ultima appoggia ora al-Nusra, che ha però perso mordente rispetto alle prime fasi del conflitto siriano. Inoltre, l’appoggio di Al-Qaeda, seppur indiretto, ha comportato l’abbandono del movimento islamista da parte di chi ne aveva fatto parte con posizioni moderate. ISIS per contro si rafforza. Al-Baghdadi mira alla creazione di un emirato che si estenda da Mosul, in Iraq, a tutta la Siria orientale. Il movimento, nato dall’espansione dell’Islamic State of Iraq, ha oggi una dimensione economica consolidata che lo rende appetibile per i combattenti che approvino la creazione di uno Stato di stampo islamista. La capacità di pagare i propri affiliati è un richiamo non da poco in un Paese allo stremo e privo di qualunque prospettiva economica nel breve termine.

Manifestanti espongono la bandiera del Kurdistan e quella della Repubblica Araba di Siria.
Manifestanti espongono la bandiera del Kurdistan e quella della Repubblica Araba di Siria.

I CURDI – Novità anche sul fronte curdo. I recenti attentati nella parte orientale della Siria e, appunto, l’espansione delle attività dell’ISIS, hanno spinto il partito curdo Partiya Yekitiya Demokrat (PYD) ad allargare la propria base di reclutamento della milizia locale a frange lealiste. Sebbene il PYD continui a considerarsi come parte del fronte ribelle, le visite ufficiali di esponenti del Governo di Damasco ricevute dai suoi rappresentanti nella piazzaforte di Hassakeh suggeriscono che ci sia un accordo o delle trattative tra Assad e la minoranza curda. Forse si tratta solo di un’alleanza temporanea dovuta alla contingenza, ma esistono ipotesi che il regime di Assad abbia promesso qualche forma di privilegio o autonomia ai gruppi curdi in cambio di un atteggiamento conciliatorio, anche solo neutrale. La priorità della dirigenza curda rimane infatti la tutela del proprio territorio e della propria etnia. Per questo motivo le milizie locali si stanno rafforzando in chiave anti-jihadista ma, in genere, per evitare che lo scontro aperto giunga dalla vicina Tal Hamis, caposaldo ribelle, alla provincia a maggioranza curda di Hassakeh.

Marco Giulio Barone

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Marco Giulio Barone è analista politico-militare. Dopo la laurea in Scienze Internazionali conseguita all’Università di Torino, completa la formazione negli Stati Uniti presso l’Hudson Institute’s Centre for Political-Military analysis. A vario titolo, ha esperienze di studio e lavoro anche in Gran Bretagna, Belgio, Norvegia e Israele. Lavora attualmente come analista per conto di aziende estere e contribuisce alle riviste specializzate del gruppo editoriale tedesco Monch Publishing. Collabora con Il Caffè Geopolitico dal 2013, principalmente in qualità di analista e coordinatore editoriale.

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