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Dove non arriva l’economia…

Il Giro del Mondo in 30 Caffè – … può arrivare il diritto? Il colosso cinese sembra pronto a prendere in mano le redini dell’economia mondiale, ma a che punto è il suo impegno sul fronte dei diritti fondamentali? Al di là di aspettative e timori, la lunga e tortuosa strada del rispetto dei diritti umani appare come una delle più grandi sfide per la Cina del XXI secolo.

LA LUNGA MARCIA DEI RENQUAN –  Il conferimento del premio Nobel per la Pace a Liu Xiaobo, promotore del movimento “Charta 08”, ha riacceso i riflettori sul dibattito dei diritti umani in Cina, e lo ha fatto in un momento storico cruciale. Oggi la Cina è protagonista indiscussa della scena politica ed economica mondiale, grazie alla sua crescita strabiliante e al suo sempre maggiore coinvolgimento nei forum internazionali, dalle Nazioni Unite alla World Trade Organization. Pechino e la sua policy sono ormai sotto gli occhi del mondo, ed è diventato impossibile per i leader cinesi nascondere le tensioni tra un’economia robusta e una struttura giuridica di tutela dei diritti piuttosto debole. Proprio da questa debolezza nasce Charta 08, un grande appello alla libertà d’espressione, al rispetto dei diritti fondamentali e alla democrazia, tutti temi scottanti che da anni compaiono nell’agenda degli attivisti cinesi.

Eppure nella Cina di oggi i cittadini godono di un’autonomia individuale che non ha precedenti nella storia millenaria del paese e la nozione di ‘diritto’, base insostituibile per parlare di inviolabilità dei diritti umani, sta iniziando ad entrare a far parte della prassi delle leggi e dei tribunali dello stato. Se fino agli anni Settanta la legge era il libretto rosso di Mao e i processi erano condotti in modo totalmente arbitrario dalle Guardie Rosse, oggi l’ideologia è tramontata per lasciare posto alla legalità.

La rivoluzione silenziosa di Deng Xiaoping ha contribuito ad avviare una revisione totale del significato del diritto e del suo rapporto con le istituzioni dello Stato. Certamente non si può ancora parlare di incorporazione dei diritti fondamentali nell’ordinamento cinese, ma è opportuno ricordare che una Lunga Marcia simbolica verso la conquista dei renquan (termine corrispondente al nostro ‘diritti umani’) non nasce con Charta 08, ma è in corso da almeno vent’anni.

Nel 1979 Amnesty International pubblicava un report durissimo nei confronti delle autorità cinesi. La situazione descritta era drammatica, sia sul fronte dei diritti civili e politici che su quello dei diritti economici, sociali e culturali. Ovviamente lo standard peggiorava nel caso di diritti più specifici e circoscritti, quali la protezione delle minoranze etniche e religiose delle Regioni Autonome di Xinjiang, Tibet e Yunnan. D’altra parte non ci si sarebbe potuti aspettare nulla di diverso, in quanto nel 1979 (e poi per tutti gli anni Ottanta, fino ai fatti di Tiananmen) la classe dirigente cinese utilizzava il termine renquan in senso dispregiativo, identificando con esso una creazione retorica occidentale, formulata per proteggere la classe borghese.

Poi arrivarono gli anni Novanta e la prima Conferenza Mondiale sui Diritti Umani, organizzata sotto l’egida delle Nazioni Unite con lo scopo di fornire agli stati una piattaforma comune per discutere e confrontarsi su questo tema delicatissimo e centrale. Proprio in quest’occasione molti paesi asiatici sembrarono cedere all’universalismo dei diritti umani, abbandonando quel relativismo culturale che li aveva portati a tenersi alla larga dai renquan.

Da Singapore all’Indonesia, qualcosa iniziò a muoversi anche in Asia, quel continente lontano, immenso e misterioso che resta l’unico al mondo a non avere un meccanismo regionale di tutela dei diritti umani. Quel continente che, almeno nella sua parte estremo-orientale, è dominato dall’ascesa cinese.

PROMESSE INFRANTE? – Negli anni Novanta e Duemila, seppur lentamente, un solco sembrò aprirsi anche in Cina, tanto che dal 14 marzo 2004 nella Costituzione della Repubblica Popolare Cinese si può leggere la frase “Lo Stato rispetta e protegge i diritti umani”. Parole di fuoco, parole rivoluzionarie, parole di speranza per milioni di cittadini cinesi. Parole che, purtroppo, sembrano essere rimaste tali e che piuttosto che accendere un fuoco sembrano essere già cenere. Solo gli addetti ai lavori (professionisti e studiosi del diritto) si sono accorti di questo emendamento e se ne ricordano ancora a distanza di quasi sette anni.

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QUALI PROSPETTIVE? – Nell’aprile 2009 il governo ha pubblicato il “Piano d'azione statale sui diritti umani 2009-2010”, dove si afferma che dalla fondazione della Repubblica popolare, sotto la guida del Partito Comunista  Cinese, la Cina si e' impegnata indefessamente per promuovere e tutelare i diritti umani. Amnesty International ha apprezzato il Piano, riservandosi però di giudicarlo solo al termine del 2010, sulla base della sua effettiva attuazione. Purtroppo, il 2010 ha rappresentato un punto di minimo storico nella battaglia per i renquan. Dopo l’annuncio dell’assegnazione del Nobel per la Pace a Liu Xiaobo, l’intolleranza nei confronti di tutti coloro che esulano dal mainstream governativo è pericolosamente aumentata. Human Rights Watch ha denunciato la scomparsa, l’incarcerazione e le intimidazioni subite da numerosi attivisti della società civile impegnati in campagne di advocacy.

Molti dei firmatari di Charta 08 vengono periodicamente sottoposti a lunghi interrogatori, con l’accusa di “incitamento alla sovversione contro il potere dello Stato”, crimine adottato nel 1997 e usato sistematicamente contro chi cerca soltanto di esercitare il proprio diritto alla libertà di espressione. Sono decine i dissidenti imprigionati per questo motivo, e tra loro c’è anche Hu Jia, vincitore del premio Sakharov 2008, colpevole di aver auspicato nel suo blog la progressiva democratizzazione del regime cinese.

Recentemente sono stati minacciati anche diversi avvocati e ad almeno a 18 di loro non e' stata rinnovata la licenza per esercitare la professione. Il crimine? Patrocinare cause che riguardavano tibetani coinvolti nelle proteste del marzo 2008, praticanti del movimento Falun Gong, difensori dei diritti umani, familiari delle vittime del terremoto in Sichuan e di quelle legate allo scandalo del latte in polvere avvelenato.

Insomma, coloro che dovrebbero fungere da coscienza critica della Cina contemporanea sono spesso costretti a tacere. I diritti e le aspirazioni individuali devono sempre e comunque cedere il passo all’interesse collettivo, alla tutela dello Stato e del “sistema”, sia che si tratti di libertà d’opinione che di accesso ad un rimedio giurisdizionale che di diritti personalissimi come quello alla riproduzione (come non includere la “politica del figlio unico” nella lista delle violazioni dei diritti umani?)

Al di là delle promesse e delle modifiche costituzionali, la via del rispetto dei diritti fondamentali resta lunga, tortuosa, piena di ostacoli e in salita.  Lo Stato di diritto (per dirlo alla maniera europea), o fazhi, come dicono le fonti cinesi, sembra un miraggio, un approdo lontanissimo. Ma ciò non deve spaventarci, né farci indignare o farci  detestare la Cina per quello che è oggi. Deve piuttosto incoraggiarci al dialogo, al confronto costante e costruttivo tra due tradizioni giuridiche profondamente diverse, che potranno avvicinarsi solo quando saranno pronte a comprendersi a vicenda.

Anna Bulzomi

redazione@ilcaffegeopolitico.net

 

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