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Mangia, prega…paga

Dal "nuovo cigno nero" egiziano allarghiamo il cerchio. Vediamo nel complesso la questione della crisi dei prezzi alimentari, che incorpora in sè una forte componente finanziaria. Avviso ai naviganti: non sarà un'analisi semplicissima da leggere e comprendere (cerchiamo di aiutarvi con un piccolo glossario nel chicco in più), ma siamo convinti che sia fondamentale cogliere le dinamiche sottese a questo fenomeno, che hanno ricadute non solo a livello finanziario, ma anche geopolitico, fino alla vita quotidiana dei consumatori.

Questa analisi è preceduta da “Un nuovo cigno nero”, che lega il tema della crisi dei prezzi alimentari con quanto accade in Egitto.  

Troverete alcune parole in grassetto “color caffè”: sono quelle per le quali abbiamo preparato un piccolo glossario nel chicco in più, in fondo all'analisi.

CIBO E FINANZA – All’inizio di novembre, subito dopo le elezioni di mid term, la Federal Reserve vara la seconda fase di quantitative easing (allentamento quantitativo, QE2), operazioni di mercato aperto con cui la banca centrale acquista titoli e immette ampia liquidità nel sistema finanziario, 6-700 mld di dollari. L’allentamento porterebbe di per sé a un deprezzamento del dollaro, ma di fatto questo avviene più che altro sui mercati delle commodities (dove il biglietto verde domina incontrastato, come mezzo di pagamento), perché molte economie – soprattutto le emergenti ed export driven, come la stessa Cina – mantengono per scelta l’ancoraggio al dollaro, preferendo immettere a loro volta vaste quantità delle rispettive valute sui mercati (e così generando un focolaio di inflazione), anziché lasciare fluttuare liberamente il cambio. L’effetto netto è dunque, per questi paesi, un aumento di prezzo reale nell’import di beni fungibili.

Paesi che non adottano questa politica si trovano a subire un drastico apprezzamento del cambio, e un duro colpo alla competitività dell’export (è il caso del Brasile). Alcune economie, come la Cina, si proteggono dall’influsso di hot money dagli Usa e relativa pressione inflazionista, grazie a un solido controllo dei movimenti di capitale, ma la muraglia regge fino a un certo punto: anche nell’impero di mezzo si manifestano forti aumenti dei prezzi, soprattutto nel nevralgico settore alimentare, e nell’immobiliare. 

All’inflazione (alimentare) interna ai singoli paesi, si accoppia il rialzo sui mercati globali delle commodities. Questo è ancora più forte, perché, se negli strumenti finanziari classici e più complessi (azioni, hedge fund), sui mercati immobiliari e sui sistemi bancari si è cominciata a introdurre qualche forma di regolamentazione (con la riforma dei mercati voluta dal presidente Obama nel 2010, e con il passaggio delle banche ai parametri di Basilea 3), futures  ed hedge fund su petrolio, metalli e agroalimentari, rimangono in gran parte terreno vergine e particolarmente ospitale per la speculazione, per accogliere la nuova liquidità generata dalla Fed. Nel corso dell’autunno le quotazioni al mercato di Chicago (la Wall Street delle commodities) macinano record su record.

A questo punto le economie più dipendenti dall’estero per il fabbisogno alimentare si trovano tra due fuochi: alla corsa dei prezzi interni sostenuti da dinamiche strutturali – dal rialzo del petrolio e dalle scelte di politica espansiva della Fed – corrisponde un mercato internazionale in parte razionato dai blocchi all’export, e in forte tensione per gli acquisti preventivi di alcuni paesi e il flusso di hot money speculativo – una valvola di sfogo difettosa o bloccata.

RIALZI IN VISTA – La situazione sembra destinata addirittura a peggiorare, il Food Price Index della Fao (relativo ai prezzi internazionali di cinquantacinque beni alimentari) ha toccato questa settimana i massimi di sempre, superando di slancio il picco del giugno 2008, l’anno nero dei prezzi alimentari (e delle crisi sociali e rivolte del pane). Se il 2010 è stato un anno pessimo per l’agricoltura – tra incendi russi, torrenziali monsoni indiani, gelate in Sudamerica e Usa – il 2011 non si annuncia migliore, con inondazioni e cicloni nel Queensland (Australia), raccolti devastati in Indonesia, fenomeni che rientrano nel sistema della Niña. Le quotazioni petrolifere hanno accelerato la corsa al rialzo, in un feedback perverso ma inevitabile con i timori di una destabilizzazione geopolitica, e sul versante finanziario non accenna a placarsi la tempesta perfetta della liquidità. Un segnale ancora più inquietante viene dalle stime del Grain Council americano, che vede un import di cereali da parte cinese in crescita esponenziale per il 2011-12, acquisti pari a 9 milioni di tonnellate (rispetto agli 1.3 del 2010-11) – un dato senza precedenti per quel paese, ma soprattutto il possibile inizio di un trend rialzista destinato a portare le importazioni cinesi a livelli ben superiori (si parla di 25 milioni di tonnellate per il 2015) nel giro di pochi anni.

PERCHE' L'EGITTO E' COINVOLTO – Torniamo a sottolineare che la crisi egiziana merita attenzione alle proprie specifiche dinamiche, sia per quanto riguarda le origini che, soprattutto, la vasta e varia portata delle sue implicazioni geopolitiche, sul teatro africano e sullo scacchiere mediorientale – nondimeno essa rientra in qualche misura nella più vasta destabilizzazione globale (della crisi) dei prezzi alimentari e dell’energia. Lo si può agevolmente dedurre dalla varietà di misure intraprese dai governi di diverse regioni del mondo per prevenire gravi deficit dell’offerta e crisi sociali, dalle misure anti-export e a favore delle importazioni di New Delhi, al Messico che ricorre agli hedge fund sul mercato di Chicago per premunirsi contro il rialzo dei cereali, alla Corea del Sud che progetta una trading company di stato per coprire parte del fabbisogno di frumento da qui al 2020.

Eppure esiste un vasto ventaglio di contromisure, di breve e medio periodo, utili a invertire la rotta sul mercato degli alimentari.

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CHI BLOCCA L’EXPORT – La questione dell’export: alcuni paesi, in particolare Russia e Ucraina, si dimostrano particolarmente inaffidabili, bloccando completamente le esportazioni nei momenti più critici, e così gettando benzina sul fuoco dei timori, degli accaparramenti preventivi e della speculazione sui futures. Eppure, secondo alcuni osservatori, il mercato stesso potrebbe incaricarsi di punire e dissuadere certi comportamenti, la Russia con questa mossa forse si è giocata i mercati strategici del Medio Oriente e dell’Africa, ora gravitanti sull’offerta Usa. Perché ciò avvenga, però, il mercato internazionale (e americano in particolare) deve produrre un surplus che offra agli importatori possibilità di scelta. Il presidente della Banca Mondiale propone, fra altro, sistemi di aiuto a esborso rapido per prevenire il pericoloso automatismo shock all’offerta/blocco dell’export.

Forse, se si realizzerà che l’agroalimentare sta diventando un mercato critico e di forte impatto geopolitico, si potrà pervenire alla fondazione di una Opec (l'organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio) del settore, in possesso di un elevato potere di controllo su flussi e prezzi, ma anche attore strategico responsabile.

L’AFRICA: QUALE FUTURO? – Il deficit alimentare è un problema in particolare per l’Africa, e sempre più lo sarà almeno nei prossimi quattro decenni.  E’ l’unica regione dove negli ultimi quaranta anni si è assistito a una caduta della produzione per abitante, mentre le importazioni aumentavano di sei volte. Il continente nero è anche quello dove però esistono i migliori margini, dove non è avvenuta la Rivoluzione Verde che a partire dagli anni’70 ha moltiplicato raccolti e produttività dell’Asia meridionale e orientale, e dove gli aiuti internazionali e i bilanci dei governi hanno praticamente dimenticato per decenni di investire nel settore agricolo. Questo può avere un potente rilancio se si concentrano risorse a favore di un utilizzo intensivo dei suoli, avvalendosi di fertilizzanti e sviluppando varietà di colture più adeguate a clima e disponibilità idriche dei territori, ma anche puntando su tecniche più intensive di lavoro, per la gestione delle acque e il trattamento di suoli e humus.  Soprattutto è strategico mettere mano a misure e risorse per sviluppare i mercati locali, attraverso la costruzione di infrastrutture, la disseminazione di know-how, il sostegno alla formazione di cooperative per la gestione post-raccolto (stoccaggio e trasporto), il ricorso al microcredito e a forme originali di copertura finanziaria/assicurativa del rischio (meteorologico, dei prezzi energetici), le riforme a favore della piccola proprietà.

Andrea Caternolo redazione@ilcaffegeopolitico.net

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