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It’s not (just) the economy, stupid

Il Giro del Mondo in 30 Caffè – A tutta Cina: Pechino è sempre più protagonista della scena internazionale, in ogni parte del mondo. Analizziamo assieme l'evoluzione  2010-2011 dei rapporti in Europa e Asia, senza dimenticare lo scenario G2 Usa-Cina. L'importante, però, è la chiave di lettura: non possiamo utilizzare solo i nostri criteri di giudizio e interpretativi. E soprattutto, la frase-slogan della campagna elettorale di Clinton va qui aggiornata: non si può più parlare di Pechino solo come di un gigante economico. A suo modo, è anche questa la lezione del caso Nobel a Liu Xiaobo

AL DI LA' DEL PROPRIO NASO OCCIDENTALE – Il ruolo economicamente ingombrante all’interno del G20, la posizione di assoluta forza nell’ASEAN e l’equilibrio perseguito e difficile del moderno G2 non rappresentano l’unico terreno d’analisi dei rapporti politico economici tra la Cina ed il resto del mondo. Una delle scommesse più difficili, quando si analizza il complesso sistema delle relazioni bilaterali instaurate dal governo di Beijing in questi anni di “denghismo” militante, nodo insolubile di elementi di realpolitik e liberismo a fondante supporto dei sopracitati rapporti stato-stato, consiste nel tentativo spesso fallimentare di comprendere dinamiche culturalmente lontane dal nostro europeissimo modo di intendere le relazioni internazionali. Come vedremo, è proprio l’interpretazione strettissima di queste caratteristiche acquisite dal linguaggio del capitalismo occidentale a permettere alla Cina di negare qualsiasi dovere di political correctness. In una retrospettiva sull’anno che è stato – quel 2010 che nei bilanci degli uffici statistici della capitale cinese è stato archiviato alla voce “chenggong”, successo, mentre il nuovo mondo e molte potenze europee vacillavano sotto il peso di una crisi economica che non aveva uguali dal tragico "black friday" del 1929 – l’economia non rappresenta la sola, classica chiave di lettura per capire la Cina contemporanea.

COSA CI INSEGNA IL CASO NOBEL – La politica percorre strade che spesso si allontanano dal solco sicuro tracciato dal potere di uno yuan immutabile e da un volume di commesse che non accenna minimamente a diminuire. Certo, tra il 2009 e 2010 la China Development Bank e la Export Import Bank of China hanno prestato almeno 110 miliardi di dollari a governi e aziende di paesi in via di sviluppo, superando i crediti erogati dalla Banca Mondiale e confermando che, nell’ottica di assicurarsi l’accesso a nuove fonti di materie prime, investimenti economici e politiche bilaterali con paesi africani e  dell’America Latina rappresentano le due facce della stessa medaglia.

Nonostante ciò il caso Liu Xiaobo dimostra come il gigante, di fronte di un piccolo Paese come la Norvegia, con i suoi 4 milioni di abitanti, possa permettersi di sovvertire nell’arco di una rapida conferenza stampa un rapporto bilaterale che era addirittura in procinto di essere potenziato attraverso una serie di negoziati volti alla sigla di un accordo di libero scambio ed ora rinviati sine die.

Questo dato da solo aiuta a comprendere come può accadere che all'improvviso qualsiasi stima diventi imprevedibile, azzardata, e ci si ritrovi senza un partner commerciale che prometteva un trattamento simile a quello riservato alla sorella Svezia (3,8 miliardi di dollari nel 2010).  

IL DEBITO? TE LO PRENDO IO – Ma, rimanendo in Europa, se la Cina rompe con i Paesi del nord è impossibile d’altro canto ignorare il nascente versante di collaborazione varato con Grecia e, soprattutto, Portogallo. Quest’ultimo ad un passo dal diventare un ponte dorato verso il ricco sottosuolo di Angola e Mozambico, partner commerciali privilegiati del paese iberico sin dall’epoca coloniale. Il governo di Hu Jintao si è detto disposto a rilevare buona parte dei titoli del debito pubblico portoghese, in continuità con una strategia di ampliamento degli interessi nazionali oltre confine che ormai raggiunge quote vertiginose.

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USA-CINA: AVANTI COSI' – Nel proseguire il disegno di questa mappa dei rapporti di forza tra il gigante asiatico e i suoi interlocutori occidentali emerge la linea di continuità di un G2 che, in particolare in occasione dell’ultima visita del presidente Hu a Washington il 19 gennaio scorso, ha evidenziato lo stato di salute degli accordi commerciali USA-Cina, nonostante i richiami del presidente Obama al rispetto dei diritti umani da parte del popoloso competitor costituiscano ormai un corollario usuale all’incontro dei due leader.

MOLTO DI NUOVO SUL FRONTE ORIENTALE – E’ spostando il focus dell’analisi ad oriente che emergono le maggiori criticità del sistema. L’epicentro della discordia sembra essersi spostato da Taiwan, che storicamente detiene il ruolo di anello debole nella catena dei rapporti di forza sullo scacchiere asiatico, all’area delle due Coree. Nella già complessa situazione susseguita all’incidente della corvetta Cheonan, con l’aggravarsi delle tensioni nella regione, sembra che Pechino cominci a non considerare più Pyongyang nel suo ruolo di paese cuscinetto. Come osservava il Global Times, appendice in inglese del Renmin Ribao, il Quotidiano del popolo, già all’indomani del secondo test nucleare nordcoreano del 2009, i cinesi si sono progressivamente allontanati dagli eccessi del regime di Kim Jong-il e preferirebbero oggi condividere 1.400 km di confine con un’economia capitalistica. Nell’ottica di una riunificazione territoriale tra i due stati coreani, così come auspicata sia dalla popolazione del nord che da quella del sud, il ruolo chiave dell’amicizia di Seoul con gli Stati Uniti da un lato e di Pechino con Pyongyang dall’altro ha sino ad ora sicuramente costituito un ulteriore elemento di tensione nella composizione dello scontro. Tuttavia la posizione cinese è in rapida evoluzione e, come insegna il caso norvegese, nessuna garanzia è in grado oggi di preservare intatto il rapporto istituzionale con Pechino se non supportato solidamente da fruttuosi accordi economici e dalla rinuncia a qualsiasi forma di ingerenza nelle questioni nazionali cinesi. Tantomeno può essere d’aiuto la garanzia derivante da una prossimità ideologica che si avvia ad essere obsoleta ed astorica. Anche agli occhi di Pechino. Se si aggiunge che al vertice di giugno sulla sicurezza in Asia il presidente della ricca Corea del Sud Lee Myung-bak si è permesso di sollevare la questione coreana di fronte alle Nazioni Unite ottenendo l’appoggio completo degli USA senza minimamente interpellare la Cina, si comprende facilmente la complessità dello scenario asiatico. 

DALL'AFRICA ALL'AMERICA – Questo dato, in ultima analisi, conferma la difficoltà di leggere in proiezione l’evoluzione dei rapporti bilaterali che si andranno a rafforzare o indebolire nell’arco di questo 2011, anno cinese del coniglio. Un fatto è certo: come dimostra l’ambizioso piano di costruire una connessione ferroviaria di 1.920 chilometri tra la capitale della provincia cinese dello Yunnan, Kunming, e la capitale commerciale birmana di Rangoon, il grande progetto cinese consiste nel collegare il Paese a doppio filo con i principali protagonisti del sudest asiatico, dell’Africa subsahariana e della regione del Cono sur in America Latina. E questo piano non ammette interferenze.  

Francesco Boggio Ferraris redazione@ilcaffegeopolitico.net

 

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