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I riflessi geopolitici della crisi ambientale mondiale

I libri del Caffè – Perché l’insostenibilità ambientale dei modelli di produzione e consumo incide su equilibri strategici e  sicurezza globali? 

di Massimo Zortea

AMBIENTE E GEOPOLITICA – È del tutto evidente che la crisi ambientale si traduce in un problema geopolitico ed economico insieme, non più meramente ecologico. Non è un caso che il nuovo orizzonte della sicurezza globale si collochi oramai sempre più nitidamente nella dimensione ambientale anziché militare e non sia più gestibile solo con strumenti e mentalità militari. La minaccia principale alla sicurezza degli Stati e delle popolazioni non risiede più nelle potenze belliche ascendenti dei c.d. stati canaglia e nemmeno nel terrorismo internazionale, ma in fattori di natura ambientale quali instabilità climatica, conflitti per le risorse naturali, insicurezza alimentare, rifugiati ambientali, ecc. (cfr. Daclon, 2008, che parla di passaggio dalla “geopolitica degli spazi” alla “geopolitica dei flussi”). La recessione globale in atto dal 2008, con il suo portato di crescente delegittimazione dei sistemi economici e politici, non fa che acuire questa simbiosi ambiente-sicurezza, mentre si diffonde a scala planetaria il fenomeno delle proteste popolari in rete, come Occupy Movement, il movimento degli Indignados e quelli della Primavera Araba.

 

 

STATI UNITI – Un chiaro segnale di evoluzione negli equilibri e nelle componenti strategiche planetarie nonché dell’incidenza dell’ambiente sugli assetti geopolitici ed economici è, ad esempio, la notevole attenzione del Dipartimento della Difesa USA alla questione climatica, sia in termini di studi che di strategie e di stanziamenti. A fine febbraio 2013 è stato diffuso l’aggiornamento della Tabella di marcia per l’Adattamento ai Cambiamenti Climatici (CCAR); il Piano strategico del Dipartimento della Difesa per sviluppare strumenti di valutazione dei cambiamenti climatici per le installazioni militari, avviato nel 2010, rimarca che gli effetti dei cambiamenti climatici avranno conseguenze geopolitiche, come l’aumento dei conflitti, la concorrenza per il cibo, l’acqua e le altre risorse necessarie per vivere, ma anche il dirottamento di risorse, prima previste per le spese militari, a favore di aiuti umanitari e di sforzi per la ricostruzione dopo catastrofi, come l’uragano Sandy nel 2012.

 

 

ECONOMIA – Ma la rilevanza economica si scorge anche in una prospettiva rovesciata, ovvero di influsso dei mercati internazionali sullo stato dell’ambiente. Il mercato rappresenta una “dimensione” in cui si muovono ed interagiscono molti fattori di impatto all’ambiente. Dunque, se non è opportuno delegare al mercato tutte le risposte alla crisi ambientale, nemmeno si può ignorarlo. In questo senso occorre aprire una strada per “ecologizzare il mercato senza privatizzare l’ambiente” (cfr. Cafagno, in Dell’Anno e Picozza, 2012, p. 530-533; vedi ivi anche la citazione di Esty in W.I., State of the world 2008: è “saggio passare il testimone dell’azione alla comunità imprenditoriale”, ma preservando anche il ruolo chiave dei governi, che devono in particolare fissare il prezzo da pagare per i disastri ambientali). In definitiva, la partita della sostenibilità e del recupero del grave degrado ambientale in atto si gioca su un lavoro capillare di “microdecisioni” quotidiane e non solo di grandi pronunciamenti globali, secondo il classico principio di integrazione ambientale come diffusione dell’attenzione ambientale in tutti i processi decisionali pubblici e privati. Si tratta di adottare una flessibile ed adattiva combinazione di rimedi qualitativamente diversi, capaci di compensare reciprocamente i rispettivi limiti. Sul tema si tornerà anche più avanti.

 

 

COOPERAZIONE – Nel perimetro caratteristico della cooperazione allo sviluppo, è utile indagare più da vicino le interazioni causali fra sostenibilità ambientale, degrado ambientale, conflitti sociali, povertà e vulnerabilità. Il tema annovera, oltre che numerosi studi e pubblicazioni, anche pronunciamenti istituzionali autorevoli. In particolare, mette qui conto riportare taluni passi della Dichiarazione di Rio+20: “… Sradicare la povertà è la più grande sfida globale che il mondo deve affrontare ed un requisito indispensabile per lo sviluppo sostenibile… Riconosciamo pertanto la necessità di ulteriormente diffondere lo sviluppo sostenibile a tutti i livelli, integrando gli aspetti economici, sociali ed ambientali e riconoscendo le loro interconnessioni, in modo da raggiungere lo sviluppo sostenibile in tutte le sue dimensioni… Riaffermiamo inoltre il bisogno di raggiungere lo sviluppo sostenibile… promuovendo una gestione integrata e sostenibile delle risorse naturali e degli ecosistemi che supportano fra l’altro lo sviluppo economico, sociale ed umano”.

È oramai di palmare evidenza ed universalmente riconosciuta la catena causale biunivoca fra degrado ambientale e povertà. Quasi un miliardo di persone, particolarmente i poveri delle zone rurali, si appoggiano direttamente alle risorse naturali per i loro mezzi di sussistenza. Ma le minacce ambientali globali stanno logorando questa base di risorse: la perdita di biodiversità procede con un tasso rapido in molti paesi, come l’aumento di sostanze chimiche tossiche; la desertificazione e la siccità sono problemi di dimensioni globali, che colpiscono tutte le regioni; le emissioni di gas serra espongono a rischi il clima mondiale ed i Paesi in Via di Sviluppo sono i più vulnerabili agli impatti (cfr. OECD, 2002). Sebbene tutti i paesi siano colpiti, i più poveri sono i più minacciati perché hanno meno risorse per affrontare le cause radicali delle minacce ambientali e adattarne gli impatti; inoltre perché sono altamente dipendenti dalle risorse naturali per i loro mezzi di sussistenza. Simili minacce ambientali impattano sui mezzi di sussistenza rurale, sulla sicurezza alimentare e sulla salute, mentre moltiplicano l’effetto di disastri naturali, come alluvioni e siccità. Una vulnerabilità del genere rischia di intensificare i conflitti per la terra e le risorse idriche e di compromettere gli sforzi per ridurre la povertà. La riduzione della povertà è pertanto strettamente correlata ad una corretta gestione ambientale, condotta a ciascun livello: locale, nazionale, continentale e globale.

(estratto da M. Zortea, Integrazione ambientale nei progetti di sviluppo, Franco Angeli, Milano, 2013)

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