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Le vie del gas: l’accordo sullo status del Mar Caspio tarda ad arrivare

Il 18 novembre si è tenuto a Baku, capitale dell’Azerbaijan, l’ultimo dei Summit sullo status legale del Mar Caspio, che ha visto riuniti i cinque Stati bagnati dalle sue acque: Russia, Azerbaijan, Iran, Turkmenistan e Kazakistan. Il nodo della contesa riguarda la natura di mare o di lago del bacino idrico in questione, cambiando, a seconda della definizione, le regole per la divisione delle sue ingenti risorse naturali.

IL SUMMIT DEL MAR CASPIO – Il vertice di novembre si è concluso senza che il nodo principale fosse sciolto, rimandando la sua risoluzione a successivi incontri. La questione dello status legale del Mar Caspio affonda le sue radici nel tempo, ma solo nell’ultimo decennio gli Stati costieri hanno deciso di riunirsi con regolarità per trovare delle soluzioni concertate (nella foto i leader dei Paesi partecipanti all'ultimo summit). Due sono gli accordi che regolano lo sfruttamento delle risorse del Caspio, risalenti uno al 1921, stipulato dall'URSS e dalla Persia, e l’altro del 1940, tra URSS e Iran.

Detti accordi stabilivano che lo sfruttamento del Caspio dovesse essere condiviso tra i due Paesi. Ovviamente, all’epoca non era possibile immaginare la nascita di nuovi Stati indipendenti che avrebbero avuto mire di sfruttamento su questo mare interno. Il Summit di Baku è l’ultimo in ordine di tempo, infatti prima Ashgabat in Turkmenistan nel 2002 e poi Teheran in Iran nel 2007 hanno ospitato altri incontri dei capi di Stato dei Paesi costieri, senza trovare, neanche in quelle occasioni, soluzioni concrete. Tuttavia, da ciò non deriva un immobilismo diplomatico nella zona, infatti gli Stati hanno preferito percorrere la strada degli accordi bilaterali per la delimitazione dei rispettivi settori di competenza. Se un accordo non c’è stato per quanto riguarda lo status del Caspio, si è trovato, d’altro canto, un punto d’incontro sulla questione sicurezza, riguardante soprattutto il traffico di droga, il crimine organizzato e il terrorismo. Dalla necessità di garantire una maggiore sicurezza nell’area ne deriverebbe una presenza navale più massiccia, in particolar modo di Russia ed Iran già di stanza nel mare, dal quale, ricordiamo, dovrebbe partire il gas destinato ai futuri gasdotti europei Nabucco e White Stream, questione della quale parleremo più avanti in questo articolo.

QUALE STATUS PER IL MAR CASPIO? – Varie sono le prospettive che si aprono, riproposte a fasi alterne dagli Stati interessati. Si è parlato di un regime di utilizzo condiviso del bacino, di mare o di lago interno. Ognuna di queste opzioni dà vita a possibilità di sfruttamento diverse. Se il Caspio venisse dichiarato un mare, allora le sue acque sarebbero divise in base a quanto previsto dalla Convenzione di Montego Bay del 1982 sul diritto del mare, e quindi ogni Paese avrebbe la sua Zona Economica Esclusiva, sulla quale potrà esercitare il diritto di sfruttamento esclusivo delle risorse. Se, invece, fosse dichiarato un lago, i profitti derivanti dagli idrocarburi in esso presenti dovrebbero essere divisi in parti uguali tra gli Stati costieri. La difficoltà nel trovare un accordo risiede nella disomogenea distribuzione dei giacimenti di idrocarburi, la maggior parte dei quali, infatti, è concentrata nei settori di competenza delle repubbliche caucasiche, in particolar modo nella zona di competenza del Kazakistan, il quale, insieme con l’Azerbaijan, spinge affinché venga adottata la nozione di mare, potendone così sfruttare liberamente le risorse ivi presenti; ciò a svantaggio dell’Iran, il quale, in questo caso, avrebbe diritto allo sfruttamento del solo 13% delle risorse del bacino. La Russia, dal canto suo, cerca di affermare la propria sovranità sulle acque caspiche, cercando di attirare l’Azerbaijan e il Turkmenistan nella propria sfera di influenza, sottraendoli ai tentativi di inglobamento da parte dell’Unione Europea nei suoi progetti di approvvigionamento energetico mirati all’affrancamento dalla dipendenza dalla Russia. 

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ALTRI INTERESSI IN GIOCO – Le vicende dello sfruttamento delle risorse del Caspio non riguardano solo gli Stati costieri, ma si intrecciano al problema degli approvvigionamenti energetici della Russia e dell’Unione Europea, sempre più decisa a cercare una via autonoma da Mosca per il trasporto del gas e a differenziare la propria politica energetica, dando l’impulso a vari progetti di gasdotti tra cui quello del Nabucco, che dalla Turchia dovrebbe arrivare in Austria passando per la Bulgaria, la Romania e l’Ungheria, e quello del White Stream, che dovrebbe trasportare il gas del Mar Caspio all’Europa Orientale (Polonia, Romania, Ucraina) partendo da Tbilisi in Georgia e passando per Supsa nel Mar Nero, in diretta concorrenza con il russo South Stream. La possibilità di trovare una via alternativa a quella russa ha spinto Paesi come la Romania, la Georgia e l’Ucraina a trovare accordi con gli Stati che si affacciano sul Caspio. In particolare, nell’aprile 2010 è stato firmato un Memorandum d’Intesa tra Azerbaijan, Romania e Georgia per il trasporto nel Mar Nero di gas naturale che ha portato alla creazione dell’AGRI (Azerbaijan – Georgia – Romania Interconnector) con il compito di valutare i vari aspetti del progetto per poi arrivare ad una sua effettiva realizzazione che porterebbe ad unire il Mar Caspio direttamente all’Europa Centrale senza passare per la Russia. Il Turkmenistan, poi, sembra orientato a supportare la costruzione del Nabucco, offrendosi come fornitore di gas e petrolio e proponendo la creazione di un gasdotto trans-caspico direttamente collegato con il Nabucco.

EQUILIBRI PRECARI – La soluzione dello status legale del Mar Caspio, quindi, non riguarda solo gli attori direttamente coinvolti, ma anche Stati le cui coste non sono bagnate dalle sue acque. Inoltre, gli equilibri della zona caucasica non sono dei più stabili: non bisogna dimenticare, infatti, che la parte di Russia che si affaccia su questo bacino è quella della Repubblica del Daghestan, regione nella quale dal 2000 c’è un clima di guerriglia le cui vicende sono intimamente connesse a quelle della vicina Cecenia. Non si tratta, dunque, di una mera delimitazione di zone di sfruttamento marino ma di riuscire a salvaguardare i delicati equilibri dell’area.

Anna Grieco redazione@ilcaffegeopolitico.net

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