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Beirut, nuovo attentato

Ieri, 27 Dicembre, Beirut è stata nuovamente scossa dall’esplosione di un’autobomba. La vittima numero uno è Mohamed Chatah, politico libanese che aveva ricoperto importanti incarichi istituzionali quali Ministro delle Finanze e ambasciatore presso gli Stati Uniti. Il bilancio, pesante, conta 5 morti e oltre 70 feriti. L’attentato non è stato rivendicato.

 

1. NUOVA ONDATA – Il Libano torna tristemente all’attenzione per la recrudescenza delle violenze di matrice politica. Dopo le tensioni a Tripoli e Sidone in estate e gli attentati di matrice jihadista (sunnita) di novembre, questo nuovo attacco conferma che l’instabilitĂ  nel Paese dei cedri sta prendendo il sopravvento. Questa volta la vittima, Chatah, è un esponente  della coalizione “14 Marzo”, un raggruppamento politico vicino agli Stati Uniti. Mohamed Chatah era un noto detrattore del leader siriano Bashar Assad, e nutriva manifesta avversione per il gruppo militante/partito/gruppo terroristico libanese Hezbollah, che considerava come elemento di disgregazione per il Paese e pericolo per la fragile democrazia. Il gruppo sciita ha però negato il coinvolgimento nella sua uccisione e, anzi, ha condannato l’attentato.

 

2. REMINESCENZE SIRIANE – La politica interna libanese è oggi imprescindibile dagli sviluppi in Siria. Nonostante il tentativo del governo di tenersi fuori, per quanto possibile, dalla guerra civile oltre il confine, l’intervento diretto di Hezbollah a favore di Assad e la presenza storica sul territorio della minoranza Alawita, la stessa del Presidente siriano, hanno riportato tensione e conflitto all’ordine del giorno. Le istituzioni sono deboli e risentono della grande varietĂ  di etnie che compongono la popolazione libanese (e la variopinta squadra di governo). Ciascuna etnìa esprime i propri esponenti politici, che ne sono rappresentanti. Il confronto politico si traduce quindi, il piĂą delle volte, in una competizione diretta tra un gruppo e un altro. In questa cornice il terrorismo politico non è infrequente. L’attentato di ieri, di difficile attribuzione, si colloca in questo contesto di incertezza, in cui i sunniti si sentono minacciati dalla presenza sempre piĂą ingombrante di Hezbollah, dalle ingerenze di Damasco e dall’esito della guerra civile siriana, che potrebbe risolversi con una vittoria di Assad. Sebbene Chatah e il leader sunnita Sa’ad Hariri (figlio di Rafik Hariri, Primo Ministro a sua volta assassinato nel 2005) abbiano mostrato posizioni moderate e conciliatorie, l’attacco terroristico di ieri rappresenta un disincentivo al dialogo e un pericolo di una nuova radicalizzazione delle posizioni politiche, con il rischio di innescare una pericolosa spirale di violenza.

 

3. PERICOLI ALL’ORIZZONTE – A distanza di sole 24 ore è ancora

Prime immagini dal luogo dell'attentato.
Prime immagini dal luogo dell’attentato.

difficile prevedere le conseguenze dirette dell’attentato. In questo caso, però, il pericolo piĂą grande è quello a medio termine della radicalizzazione delle posizioni politiche. La paura che posizioni moderate possano favorire un avversario agguerrito ha spesso portato la popolazione libanese a privilegiare le visioni radicali e totalizzanti, ciascuno secondo il gruppo etnico di appartenenza. L’estremismo diffuso in entrambe le declinazioni sciita e sunnita si è giĂ  manifestato in estate nelle fasi piĂą calde del conflitto siriano. Le maggiori cittĂ  libanesi sono state scosse da manifestazioni che hanno visto i gruppi radicalizzati ingrandirsi e fare proseliti tra la popolazione. Gli eventi di questo autunno dimostrano come la violenza politica non appartenga ad un solo schieramento ma sia comune a quasi tutte le fazioni. Nel contesto, il potenziamento di Hezbollah è sempre piĂą visto dai non-sciiti (il Libano comprende ben 18 diversi gruppi etnico-religiosi riconosciuti – nda) come la minaccia principale rispetto rispetto ai gruppi jihadisti sunniti e agli altri partiti estremisti, a causa della grande crescita politica e militare che il gruppo sta sperimentando negli ultimi anni. A ciò si aggiunge che attentati come quello di ieri, ancorchè non rivendicato, rappresentano un pericoloso incentivo per diversi soggetti politici ad abbracciare nuovamente la militanza aggressiva, alzando di molto i toni – giĂ  sostenuti – del confronto.

 

Marco Giulio Barone

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Marco Giulio Barone è analista politico-militare. Dopo la laurea in Scienze Internazionali conseguita all’Università di Torino, completa la formazione negli Stati Uniti presso l’Hudson Institute’s Centre for Political-Military analysis. A vario titolo, ha esperienze di studio e lavoro anche in Gran Bretagna, Belgio, Norvegia e Israele. Lavora attualmente come analista per conto di aziende estere e contribuisce alle riviste specializzate del gruppo editoriale tedesco Monch Publishing. Collabora con Il Caffè Geopolitico dal 2013, principalmente in qualità di analista e coordinatore editoriale.

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