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Ascesa straordinaria?

L’Angola, che ha ospitato l’ultima Coppa d’Africa, è uno dei Paesi più promettenti del continente. Tuttavia, rimangono grandi problemi economici e sociali

CRESCITA INARRESTABILE – Nel 2000 il Ministero delle Finanze angolano (MINFIN) registrava un PIL di 90,5 miliardi di Kwanza, mentre tra il 2007 e il 2008 i dati elaborati dallo stesso Ministero riportavano una cifra vicina ai 4.640 miliardi (circa 70 miliardi di dollari US). La Banca Mondiale ha calcolato che l’Angola godrà di una crescita sostenuta fino al 2012 (dal 2004 al 2007 c’è stata una crescita media del PIL del 15% annuo). Il Fondo Monetario Internazionale ha recentemente elogiato il governo di Luanda. Insomma, difficile non parlare di crescita esponenziale.Sfogliando le recenti statistiche del MINFIN e degli enti economici e finanziari internazionali a proposito dell’Angola, ci si chiede quale sia il segreto del boom angolano, e se sia realistico ipotizzare che il fenomeno stupefacente di questi anni si tramuti in sviluppo e stabilità. Riguardo al “segreto”, non c’è dubbio che i fattori che hanno contribuito a questo stato di cose siano da rintracciare nella fine della trentennale guerra civile (1975-2002), e nell’aumento del prezzo internazionale del petrolio (materia prima di cui il territorio angolano è ricco e di cui il governo di Luanda è esportatore). Quest’ultimo fattore pesa sul bilancio finale molto più del primo. Se è vero infatti che la fine del conflitto ha permesso il ritorno degli sfollati nelle aree di provenienza e ha facilitato l’accesso ai mercati, è vero anche che attività come la pastorizia o il piccolo commercio non possono essere considerate un vero e proprio volano di crescita. Almeno non in un mondo globalizzato, dove le aree rurali dei paesi in via di sviluppo (com’è il caso dell’entroterra angolano) sono tagliate fuori dai circuiti internazionali. Il business del petrolio, invece, si è rivelato un vero e proprio miracolo, grazie all’unione di due elementi chiave: l’aumento del prezzo del greggio (da 35 a 70$/barile nel triennio 2004-2007) e la scoperta di nuovi campi petroliferi al largo della costa. 

NON E’ TUTTO ORO… – Se si analizza attentamente la struttura dell’economia angolana, si vedrà con facilità che essa è rigida e poco diversificata, e che la crescita straordinaria degli ultimi anni riposa quasi esclusivamente sul comparto estrattivo del greggio. Questo dato porta con sé una dose considerevole di instabilità, dal momento che un’eventuale caduta dei prezzi del petrolio  potrebbe frenare l’ambizioso progetto di sviluppo nel quale l’Angola sta investendo dalla fine della guerra. Infatti è grazie alle rendite petrolifere che il paese sta lentamente risorgendo dalle ceneri, e un rallentamento dei programmi di ricostruzione gli sarebbe fatale. Gli spettri del deficit di bilancio e dell’indebitamento con l’estero rimangono dunque in agguato.

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SVILUPPO UMANO IN SOSPESO – La spesa pubblica si sta concentrando sul settore delle infrastrutture, e quasi tutti i proventi della vendita di oro nero finiscono in maxi-progetti quali opere pubbliche e creazione di reti di trasporti. Questa politica, però, ha il difetto di intervenire solo “a valle”, perché, pur creando occupazione, non risolve i problemi strutturali dell’Angola. Anche i posti di lavoro nel settore delle costruzioni dipendono dal petrolio, poiché è da lì che provengono i fondi necessari a finanziare tutti i progetti. Il governo dovrebbe piuttosto intervenire “a monte”, diversificando l’economia e puntando anche su altri settori. Ad esempio, un serio programma di rilancio dell’agricoltura potrebbe liberare il paese dal giogo dell’insicurezza alimentare. Attualmente, l’Angola produce meno della metà dei cereali necessari al fabbisogno della popolazione, e preferisce importarli, dal momento che può permettersi di pagare le importazioni grazie alle rendite petrolifere. Tuttavia, in questo modo, lega indissolubilmente alle oscillazioni del prezzo del greggio anche la sussistenza di migliaia di persone. Fortunatamente, qualcosa sembra cambiare, e alla fine dello scorso anno Luanda ha proclamato di volersi impegnare per diversificare l’economia e rendere il paese indipendente nella produzione di cibo entro il 2013. Curioso dettaglio: tra i finanziatori del progetto spicca la China Development Bank, che però non ha ancora chiarito se e in che misura saranno favoriti i piccoli coltivatori. L’Angola è un paese infinitamente ricco, ma ha indici di povertà e disuguaglianza sociale allarmanti. Basti pensare che secondo l’indice di sviluppo umano si posiziona al 157° posto su 179, e che l’aspettativa di vita alla nascita è pari a 42 anni. Dati che fanno rabbrividire, e che non possono non far riflettere su strategie e politiche alternative a quelle attuali, in grado di favorire uno sviluppo più armonioso. Dopo la vertiginosa crescita del PIL, l’Angola non può più rimandare la crescita umana, vero e proprio banco di prova della stabilità economica, politica e sociale. 

Anna Bulzomi

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