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Sudan, proteste e sangue contro al-Bashir

A Khartoum si ampliano le manifestazioni contrarie ad al-Bashir, con la reazione del Governo che resta ancora caratterizzata da fatti di sangue. Nel frattempo, però, alcuni membri della maggioranza al potere chiedono al Presidente un passo indietro.

 

1. I FATTI – In Sudan continuano ormai da lunedì gli scontri tra manifestanti e forze di sicurezza. Le proteste erano esplose dopo che il Governo aveva deciso di ridurre i sussidi per il carburante, causando un aumento dei prezzi considerevole in un contesto gravemente provato dalla crisi economica e con un’inflazione preoccupante. Già nel 2011 e nel 2012, Khartoum aveva subìto grandi contestazioni, con scioperi in tutto il Paese e categorie (soprattutto avvocati, giornalisti e medici) direttamente esposte nelle proteste. Per di più, con l’indipendenza del Sudan del Sud, il Sudan ha perso circa il 75% delle proprie risorse petrolifere, trovandosi al contempo ad affrontare col nuovo Stato sia la questione della gestione del transito dell’oro nero (le uniche infrastrutture al momento disponibili sono verso nord), sia un conflitto armato per il controllo della regione di Abyei e del distretto estrattivo di Heglig. Il tutto, mentre nel Darfur e nel Kordofan riprendevano vigore gli scontri.

 

2. LE VIOLENZE – La reazione del Governo alle manifestazioni, concentrate soprattutto nell’area di Khartoum e nelle regioni centrali del Paese, è stata dura e violenta: le forze di sicurezza, che hanno impiegato su vasta scala gas lacrimogeni e pallottole di plastica, hanno anche sparato sulla folla, causando un numero di vittime che potrebbe oscillare tra 100 e 150. Con la rete internet oscurata da mercoledì a venerdì e alcune redazioni di testate internazionali occupate dall’esercito, le notizie giungevano – a fasi – soprattutto da Twitter, tramite gli hashtag #SudanRevolts e #Abena. I manifestanti hanno preso d’assalto nei primi giorni le pompe di benzina e alcune sedi della formazione al Governo, il Partito del Congresso Nazionale, però non si segnalano altri atti di violenza. La polizia ha compiuto oltre 700 arresti e, sulla base di immagini e testimonianze dirette, sarebbe stata coadiuvata da bande di armati reclutate con lo specifico compito di pattugliare le strade, impiegando anche metodi brutali. Le proteste si sono pertanto trasformate in breve in marce contro al-Bashir, Presidente del Sudan sul quale grava un mandato di cattura da parte della Corte penale internazionale per crimini contro l’umanità (non per genocidio, come invece spesso riportato). Nella giornata di sabato, mentre per Khartoum sfilava una marcia di 3mila persone (compresi i giornalisti in sciopero) e dopo che la polizia aveva aperto il fuoco sul funerale di un manifestante anti-governativo, il farmacista 34enne Salah Sanhoury, il Partito del Congresso Nazionale e alcuni esponenti islamisti hanno chiesto ad al-Bashir di revocare le misure di austerità economica.

 

3. È POSSIBILE LA CADUTA DI AL-BASHIR? – Al momento non è semplice tentare una previsione sull’esito degli eventi. Il punto principale è riuscire a capire se il Governo sudanese possa subire un serio contraccolpo e quale dimensione possano assumere gli scontri. Per esplicita ammissione di uno degli organizzatori delle marce contattato direttamente dal Caffè Geopolitico, il numero dei manifestati è ancora basso rispetto al bacino potenziale di oppositori ad al-Bashir anche nella sola Khartoum. Gli appelli rivolti sia tramite internet, sia dalle comunità della diaspora (che ieri hanno organizzato manifestazioni davanti alle ambasciate del Sudan a Londra e Washington) sono soprattutto per coinvolgere coloro che sono definiti «indifferenti», ma che, in realtà, sono disillusi oppure desiderosi di non compromettersi con le Autorità. Rispetto alle rivolte precedenti, però, questa serie di proteste non è coordinata da capi politici di primo piano o da gruppi noti, avendo, invece, componenti eterogenee e una pressoché totale dimensione urbana. Proprio quest’ultimo aspetto potrebbe essere la discriminante: il Governo, infatti, ha sempre fronteggiato crisi, anche belliche, nelle regioni periferiche, restando più forte nelle città del Nord e del Nordest. La diffusione delle reti informatiche, inoltre, consente una pervasività e una capacità di mobilitazione mai viste prima. Le prossime ore, quindi, saranno decisive per comprendere quale direzione possa assumere la vicenda, tenendo presente, comunque, che molti manifestanti sul campo abbiano l’impressione di essere a un punto di svolta decisivo.

 

Beniamino Franceschini

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Beniamino Franceschini

Classe 1986, vivo sulla Costa degli Etruschi, in Toscana. Laureato in Studi Internazionali all’Università di Pisa, sono specializzato in geopolitica e marketing elettorale. Mi occupo come libero professionista di analisi politica (con focus sull’Africa subsahariana), formazione e consulenza aziendale. Sono vicepresidente del Caffè Geopolitico e coordinatore del desk Africa. Ho un gatto bianco e rosso chiamato Garibaldi.

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