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Aiutati…che il Brasile t’aiuta

Si parla tanto di aiuti allo sviluppo da parte dei Paesi del cosiddetto “Nord” del mondo e delle strategie che bisognerebbe adottare per aiutare le nazioni più povere ad uscire dalla povertà. Si rischia di non accorgersi che anche altri attori si stanno distinguendo nel campo della cooperazione internazionale: è il caso del Brasile. Perchè gli aiuti non sono solo filantropia, ma anche e soprattutto espressione del soft power

CI PENSA LULA – E pensare che il Brasile fino a pochi anni fa era un destinatario, più che un donatore, di aiuti internazionali allo sviluppo. Un Paese in cui la maggioranza della popolazione sembrava condannata alla povertà e all'arretratezza che invece oggi si propone sullo scenario globale come una delle grandi potenze del futuro. In tutti gli ambiti: non solo dell'economia e della politica, ma anche per quanto riguarda la cooperazione internazionale. Già, perchè il colosso sudamericano si sta proponendo come uno degli attori di riferimento nel panorama degli aiuti allo sviluppo, di pari passo con il suo crescente peso a livello mondiale.

Di primo acchito, le statistiche ufficiali non sembrerebbero così lusinghiere: i fondi erogati dalla agenzia governativa preposta alla cooperazione internazionale, ABC, ammontano solo a 30 milioni di US$. Il Brasile però contribuisce al World Food Program con 300 milioni di dollari e ne destina 350 ad Haiti, dove è peraltro protagonista con le proprie truppe della missione MINUSTAH sotto l'egida delle Nazioni Unite. Il dato che è però più interessante è quello relativo ai prestiti destinati ai Paesi in via di Sviluppo, erogati dal BNDES (Banca Nazionale di Sviluppo Economico), che ammontano a 3,3 miliardi di dollari. Insomma, nel complesso Brasilia spende meno della Cina in termini assoluti, ma nella classifica globale dei maggiori “donatori” si trova appaiata alla Svezia, uno dei Paesi leader nel settore della cooperazione.

IL DIBATTITO SUGLI AIUTI – Sulla cooperazione internazionale c'è un ampio dibattito: da una parte, vi sono i sostenitori a spada tratta dell'aiuto allo sviluppo, che chiedono a gran voce che gli Stati più benestanti riservino quote sempre maggiori del proprio PIL per sostenere i Paesi più poveri. All'estremo opposto, vi sono altri che sostengono l'inutilità della distribuzione “a pioggia” di denaro, che spesso finisce nelle casse delle corrotte élites politiche che governano molti Stati, soprattutto africani. Come sempre, molto probabilmente, in medio stat virtus: gli aiuti allo sviluppo possono essere utili, a patto che vengano usati nel modo giusto, e cioè se vengono utilizzati per progetti concreti, nel rispetto delle peculiarità di ogni singola realtà ricevente di questi aiuti.

L'approccio del Brasile sembra essere vincente proprio perchè, al pari della Cina, non vincola i Paesi riceventi al rispetto di parametri macroeconomici o di standard democratici (il cosiddetto “tied-aid”, aiuto vincolato), come tendono a fare gli Stati Uniti e gli altri Paesi occidentali. Al contrario, rispetta maggiormente le comunità locali senza entrare nel merito della gestione politica di questi aiuti.

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BUONI? SOPRATTUTTO FURBI – Ovviamente va sgombrato il campo dal fatto che l'azione sempre più energica del Brasile in questo campo sia fatta per pura e semplice filantropia. L'espressione chiave per comprendere al meglio questo fenomeno è: “soft power”. Il “potere morbido” è una categoria molto utilizzata in politologia per studiare le azioni compiute da un attore al fine di accrescere la propria influenza facendo leva non sulla forza, bensì su altre risorse molto meno violente ma spesso più efficaci. Gli aiuti allo sviluppo rientrano proprio all'interno di questa categoria, e sono assolutamente funzionali alla crescita economica del Brasile e soprattutto al suo impressionante dinamismo per quanto riguarda gli Investimenti Diretti Esteri. Imprese come Petrobras e Vale, molto attive in Africa, conducono iniziative di promozione economica e sociale di pari passo con l'implementazione delle proprie attività. In questo modo il Brasile può riempire spazi molto importanti, guadagnando in prestigio internazionale e sicurezza per i propri interessi economici.

Davide Tentori

redazione@ilcaffegeopolitico.it

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Davide Tentori
Davide Tentori

Sono nato a Varese nel 1984 e sono Dottore di Ricerca in Istituzioni e Politiche presso l’UniversitĂ  “Cattolica” di Milano con una tesi sullo sviluppo economico dell’Argentina dopo la crisi del 2001. Il Sudamerica rimane il mio primo amore, ma ragioni professionali mi hanno portato ad occuparmi di altre faccende: ho lavorato a Roma presso l’Ambasciata Britannica in qualitĂ  di Esperto di Politiche Commerciali ed ora sono Ricercatore presso l’Osservatorio Geoconomia di ISPI. In precedenza ho lavorato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri dove mi sono occupato di G7 e G20, e a Londra come Research Associate presso il dipartimento di Economia Internazionale a Chatham House – The Royal Institute of International Affairs. Sono il Presidente del Caffè Geopolitico e coordinatore del Desk Europa

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