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L’industria europea della difesa: il canto del cigno?

Miscela Strategica – Tra giugno e luglio la Commissione Europea ha lanciato l’allarme: l’industria europea della difesa sta perdendo competitivitĂ  sia sul mercato interno che all’estero. Se non si corre ai ripari gli Stati Uniti e i Paesi emergenti potrebbero rimpiazzare le aziende europee del settore sui mercati fino ad oggi loro appannaggio. Vediamo perchè

 

FATTI E MISFATTI – Negli ultimi trent’anni i principali gruppi industriali europei hanno spesso congiunto sforzi e risorse per dare vita ad ambiziosi ed avanzati programmi di armamento terrestri, aerei e navali. Programmi come il caccia Eurofighter e le fregate classe FREMM hanno dimostrato come il comparto industriale europeo possieda know-how di alto livello, oltre a una capacitĂ  produttiva di tutto rispetto. Tuttavia la depressione economica e i conseguenti tagli al settore difesa da parte dei Paesi europei che ospitano i maggiori gruppi industriali ha comportato una diminuzione sensibile delle commesse, con conseguente aumento dei costi per unitĂ  di prodotto e la riduzione delle risorse destinate alla ricerca e lo sviluppo (R&D – Research & Development). Come se non bastasse, programmi come l’F-35 e lo scudo missilistico NATO – che si basa sul sistema missilistico statunitense SM-2/SM-3 –  stanno drenando ulteriori risorse finanziarie dai risicati bilanci europei a favore di aziende e programmi al di fuori del territorio dell’Unione.

Se dal punto di vista finanziario ed occupazionale questi programmi continueranno a garantire ritorni economici per le aziende europee coinvolte, dal punto di vista della competitività il settore europeo, scarso di innovazioni proprie, si troverà a breve incapace di competere sui mercati internazionali. Da una parte, diverse aziende stanno ancora facendo molto bene e compensano la riduzione dei budget con le esportazioni e la doppia produzione civile/militare. Ad esempio i prodotti elettronici, il settore spazio e l’aviazione civile sono in crescita e stanno addirittura ampliando il proprio business. Dall’altra parte, però, se i prodotti della generazione corrente sono ancora adeguati a competere, non ci sono progetti di sviluppo per la prossima generazione di armamenti, principalmente a causa degli eccessivi tagli. La spesa aggregata per la difesa è passata dai 251 miliardi di Euro del 2001 ai soli 194 del 2012, e il trend è destinato a perpetuarsi nei prossimi anni, assottigliando ulteriormente il margine di risorse disponibili per le attività di R&D. Nel lungo periodo, il trend attuale potrebbe portare ad una riduzione drammatica delle dimensioni e dell’importanza della base industriale Europea del settore difesa.

 

MORS TUA, VITA MEA – Se la previsione di cui sopra dovesse rivelarsi corretta, anche la ricerca di commesse estere per compensare le insufficienze interne si rivelerà infruttuosa. Questo soprattutto perchè l’industria statunitense  si sta trasformando da fido alleato in competitor sempre più accanito per le aziende europee. Infatti, dopo aver boicottato o comunque osteggiato i prodotti europei che si stavano affermando sul mercato americano (alcuni già selezionati dalle forze armate USA , tra cui anche gli italiani C-27J ed EH-101, ad esempio), le grandi corporations americane partono ora all’assalto dei mercati esteri europei. Tuttavia le ipotesi e le voci di complotto statunitense ai danni del comparto europeo potrebbero essere infondate. Piuttosto, anche gli Stati Uniti soffrono da qualche anno di pesanti tagli che, in proporzione, hanno messo in crisi alcune aziende maggiori, le quali sono a loro volta in cerca di opportunità estere, cozzando con l’analoga strategia europea. Al contrario dell’industria europea però, quella statunitense non manca di forte supporto politico, mirato ad aiutare il settore privato nel cercare valide alternative alle commesse nazionali e ridurne la dipendenza. La frammentarietà della politica europea, invece, rende le industrie più deboli e spesso in competizione tra loro (es.: Rafale vs. Eurofighter in India, Fincantieri vs. DCNS in Brasile, addirittura proponendo lo stesso prodotto). Inoltre le dimensioni limitate delle aziende europee riducono notevolmente la possibilità di sfruttare grandi economie di scala per ridurre i prezzi. Di conseguenza il prodotto europeo si trova spesso ad essere più costoso degli avversari ed al tempo stesso non disponibile in tempi brevi: in pratica, i programmi europei sono mediamente più costosi e più lenti.

Dulcis in fundo, per accaparrarsi commesse in mercati emergenti e in Paesi ambiziosi come India, Brasile, Turchia ed altri, i trasferimenti di tecnologia e le licenze di produzione sono conditio sine qua non per firmare i contratti più importanti. Ai successi nel breve periodo, quindi, potrebbero seguire sonore batoste se, dopo aver ceduto le proprie conoscenze più avanzate, l’Europa non fosse capace di innovare e acquisirne di nuove per conservare la competitività.

 

Il missile aria-aria Meteor, prodotto dalla MBDA
Il missile aria-aria Meteor, prodotto dal consorzio MBDA

VISIONE EUROPEA? NO, GRAZIE – Il contesto politico nel quale l’industria europea della difesa (ma non solo) opera non aiuta di certo a reperire nuove risorse nĂ© ad ottimizzare quelle disponibili. In particolare non esiste una visione europea condivisa del mercato della difesa – interno e internazionale –  e delle dinamiche che lo regolano. Gli Stati membri non mettono in pool gli investimenti ed acquistano per conto proprio, senza tener conto degli altri. Inoltre le principali aziende europee continuano ad essere a forte partecipazione statale. Questo rende le industrie europee meno appetibili per gli investitori privati, che non vogliono rimanere imbrigliati nelle interminabili bagarre politiche che spesso guidano le acquisizioni di armamenti piĂą della competizione reale.

Altra diretta conseguenza della massiccia partecipazione statale è che gli Stati europei non sembrano rassegnarsi al fatto che una misura non va bene per tutto e continuano a spendere le poche risorse esclusivamente nei grossi gruppi industriali nazionali di cui sono co-proprietari, nella vana speranza di primeggiare sugli altri (una specie di guerra dei poveri). In poche parole i singoli gruppi industriali risultano spesso troppo grandi e macchinosi per il mercato interno, troppo piccoli per quello estero.

 

OLTRE IL DANNO LA BEFFA – Negli ultimi anni le maggiori innovazioni del settore difesa provengono, un pò a sorpresa, dalla media impresa, specialmente dal settore in piena crescita dei teleguidati (UAV, UUV, UGV ecc.). Ma lungi dal cavalcare tale innovazione e far crescere dimensionalmente i settori di eccellenza, gli Stati europei hanno continuato a sovvenzionare i soliti inadeguati pachidermi (che partoriscono i topolini in termini di innovazione), spesso perchè i ritorni occupazionali sono stati considerati piĂą importanti di innovazione e competitivitĂ . A farla breve, in tempo di crisi gli Stati europei hanno privilegiato strategie che tenessero in considerazione esclusivamente le ristrettezze economiche piuttosto che un approccio orientato al futuro del settore. Una scelta molto poco lungimirante e decisamente incurante dalla realtĂ  nella quale le industrie della difesa si muovono e si trovano a competere oggi.

 

PROSPETTIVE FUTURE – Come anticipato, la Commissione Europea è già in apprensione per la situazione corrente ed ha avvertito che, se non si cambierà atteggiamento, il settore difesa patirà tempi duri. Una serie di studi commissionati ad hoc hanno individuato alcune misure da prendere. Tra queste, le fusioni e le joint ventures tra i grandi gruppi europei sono tra gli interventi più auspicati. Ma la formula è poco gradita agli Stati membri, i quali sono ormai scettici verso queste forme di collaborazione perchè ormai insofferenti all’eccessiva lievitazione dei costi e al ritardo accumulato dai principali programmi europei in corso (es.: NH-90, Eurofighter, A-400M). Quindi, nonostante la crescente preoccupazione, nessuno ha realmente raccolto le istanze della commissione. Piuttosto, le aziende che possono, stanno cercando di fare da sè, accentuando così la carenza di coordinamento a livello europeo, principale pecca dell’attuale sistema industriale.

 

Marco Giulio Barone
m.barone@ilcaffegeopolitico.it

I principali gruppi industriali della difesa nell'UE.
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Marco Giulio Barone è analista politico-militare. Dopo la laurea in Scienze Internazionali conseguita all’Università di Torino, completa la formazione negli Stati Uniti presso l’Hudson Institute’s Centre for Political-Military analysis. A vario titolo, ha esperienze di studio e lavoro anche in Gran Bretagna, Belgio, Norvegia e Israele. Lavora attualmente come analista per conto di aziende estere e contribuisce alle riviste specializzate del gruppo editoriale tedesco Monch Publishing. Collabora con Il Caffè Geopolitico dal 2013, principalmente in qualità di analista e coordinatore editoriale.

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