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Difendere i diritti umani in Iran: il caso di Nasrin Sotoudeh

In 3 Sorsi – La recente condanna dell’avvocata iraniana Nasrin Soutoudeh a causa del suo attivismo a difesa dei diritti umani è un campanello d’allarme sulla preoccupante situazione di controllo e repressione vigente in Iran.

1. CHI È NASRIN SOTOUDEH?

Avvocata iraniana conosciuta in tutto il mondo per il suo lavoro in difesa dei diritti umani in Iran, Nasrin Sotoudeh si impegna da anni a fianco soprattutto di donne e bambini. Tra le svariate cause per cui l’avvocata si è battuta durante la sua carriera, l’abolizione della pena di morte in Iran, con speciale attenzione ai minori condannati, e l’eliminazione della discriminazione sessuale nelle leggi iraniane attraverso la campagna “One million signatures“.
Sotoudeh ha rappresentato in tribunale numerosi oppositori politici del regime, in particolar modo dopo le elezioni del 2009, quando la vittoria di Mahmoud Ahmadinejad causò numerose proteste e accuse di brogli, presto sfociate nella repressione. Il suo primo arresto risale al 2010, quando fu condannata a undici anni di reclusione con le accuse di propaganda contro il sistema e cospirazione volta a minare la sicurezza dello Stato. Contestualmente le venne anche vietato l’esercizio della professione legale. La sua carcerazione non sfuggì certo all’opinione pubblica internazionale: nel 2012 fu insignita, congiuntamente al regista iraniano Jafar Panahi, del Premio Sacharov per la libertà di pensiero assegnato dal Parlamento Europeo.
Dopo tre anni di carcere e lunghi scioperi della fame per protestare contro le restrizioni al diritto di visita della sua famiglia, Nasrin venne infine rilasciata nel 2013, in occasione del viaggio del neo-eletto presidente Rouhani presso la sede delle Nazioni Unite. Si ipotizza che tale scarcerazione, insieme a quelle di altri prigionieri politici, potesse essere un voluto segnale dell’attenzione di Rouhani verso i diritti civili. Tornata a esercitare la sua professione nel 2014, l’avvocata si è schierata a favore delle donne di Enghelab Street, che a inizio 2018 si sono tolte pubblicamente l’hjiab per protestare contro l’obbligo del velo imposto dal regime iraniano. Nello stesso anno, Sotoudeh criticò pubblicamente l’introduzione da parte del Governo iraniano di una lista di soli venti avvocati selezionati per difendere i detenuti con accuse di tipo politico. Pochi giorni dopo, il 13 giugno 2018, l’avvocata è stata arrestata una seconda volta e portata nuovamente presso il carcere di Evin a Teheran, dove tuttora si trova.

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Fig. 1 -Nasrin Sotoudeh

2. LA CONDANNA 

Lo scorso 11 marzo è stato reso noto il verdetto del giudice relativo alla condanna di Nasrin Sotoudeh. Nonostante le fonti riguardanti questo caso si siano moltiplicate, le informazioni diffuse si sono spesso dimostrate incomplete, superficiali o fuorvianti. Secondo la nostra ricostruzione, l’avvocata sarebbe stata giudicata colpevole di ben sette capi di accusa. Tra questi, l’istigazione alla corruzione e alla prostituzione, l’apparizione in pubblico senza l’hijab, l’interruzione dell’ordine pubblico e il disturbo dell’opinione pubblica sarebbero reati direttamente legati alla sua attività di difesa e sostegno al movimento femminile di protesta contro l’obbligo del velo. I restanti capi di accusa riguarderebbero invece la minaccia alla sicurezza nazionale, l’appartenenza a un’associazione contro la pena di morte e la propaganda anti-sistemica.
La somma complessiva delle condanne per questi sette reati totalizzerebbe trentatré anni di reclusione, da aggiungere eventualmente ai cinque che l’avvocata sta già scontando per reati di spionaggio, per i quali sarebbe stata peraltro condannata in absentia. La sentenza prevede inoltre che l’avvocata cinquantacinquenne sia sottoposta a 148 frustate, nello specifico 74 per essersi presentata in pubblico senza l’hijab e 74 per il disturbo della pubblica opinione. È questa un’arcaica pratica ancora in voga nel regime iraniano, che nel solo 2017 avrebbe emesso 100 sentenze del genere – e cinquanta sarebbero state effettivamente compiute.
Tuttavia, secondo l’art. 134 del Codice penale islamico iraniano, in caso di appello la donna dovrà servire esclusivamente la condanna che prevede la pena più lunga tra le sette, che corrisponde a dodici anni di reclusione per istigazione alla corruzione e alla prostituzione.
L’avvocata avrebbe però comunicato, tramite il marito Reza Khandan, che non intende fare appello, poiché tale azione servirebbe solamente a legittimare l’ingiusto sistema giudiziario iraniano. Pertanto, la sua sorte rimane in dubbio. 

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Fig. 2 – Manifestazione a New York a sostegno delle donne incarcerate in Iran per le proteste contro l’hijab, gennaio 2018

3. IL CONTESTO

Per comprendere a pieno il significato di questa vicenda, è necessario contestualizzarla nel più ampio panorama socio-politico iraniano: in generale, l’arresto di Nasrin Sotoudeh si inquadra in un’ondata di repressione del regime contro le varie fonti di protesta e dissenso che si sono diffuse nel Paese nel corso del 2018.
Nel Rapporto Onu sulla situazione dei diritti umani nella Repubblica islamica dell’Iran pubblicato a gennaio 2019, il Relatore Speciale ha messo in evidenza la progressiva e violenta repressione delle proteste da parte del Governo, riportando violazioni del diritto alla vita, del diritto alla libertà, del diritto a un giusto processo e della libertà di espressione, opinione e associazione.
Secondo Amnesty International, il 2018 è stato un «anno della vergogna»,  in cui ben 7mila tra studenti, attivisti, giornalisti, avvocati, ambientalisti e sindacalisti sono stati arrestati. 
Come già anticipato è stata in particolare attuata una strategia di repressione contro gli avvocati che difendono i diritti di attivisti, dissidenti e oppositori politici. Oltre alla riduzione di ogni forma di opposizione, tale tattica mira anche a privare gli accusati del diritto alla difesa. In questo modo il regime starebbe tentando di minare l’evoluzione di una società civile capace di esprimere e veicolare il dissenso in modo costruttivo e lungimirante.
Tra le misure adottate nel settore legale, oltre agli arresti di alcuni avvocati, la Nota all’articolo 48 della procedura penale iraniana impone che in tutto il Paese solo venti avvocati approvati dal capo della magistratura possano difendere i detenuti accusati di reati che minano la sicurezza interna o esterna del Paese. Tuttavia sono state sollevate numerose critiche quanto all’identità e all’orientamento dei professionisti dichiarati idonei: tra loro non figurerebbe peraltro nessuna donna, né nessun avvocato difensore dei diritti umani.
Al fine di completare questo quadro che vede l’Iran prendere una direzione tutt’altro che positiva in materia di tutela dei diritti umani è doveroso sottolineare come la condanna di Sotoudeh coincida con i primi giorni di Ebrahim Raisi come nuovo capo della magistratura. Esponente ultraconservatore molto vicino al rahbar Khamenei, Raisi è conosciuto per avere condannato a morte numerosissimi oppositori del regime negli anni Ottanta. Nel 2017 perse le elezioni presidenziali contro Rouhani, tuttavia questo nuovo ruolo gli conferirà in ogni caso un certo potere in materia di diritti civili e politici e di libertà della popolazione iraniana. 

Lorena Stella Martini

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Lorena Stella Martini
Lorena Stella Martini

Nata a Milano nel 1993, scrivo di area MENA per il Caffè Geopolitico dal 2017. Ho conseguito una laurea triennale in Scienze Linguistiche per le relazioni internazionali, specializzandomi in lingua araba, un Master di I livello in Middle Eastern Studies e una laurea magistrale binazionale in Analyse Comparée des Sociétés Mediterranéennes tra l’Italia e il Marocco. Mi interesso in particolar modo di tematiche legate ai diritti umani, alle questioni di genere e ai movimenti sociali nella regione MENA.

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