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Le spese militari in tempo di crisi

Nel 2012 sono stati più di 1750 i miliardi di dollari destinati alle spese militari nel mondo. Il picco raggiunto negli ultimi anni, ben al di sopra del precedente toccato nel 1988, è stato alimentato da un mercato che, al contrario dell’economia globale, non sembra conoscere crisi.

 

IL TREND ANTI-CRISI – Dal 2009 la spesa militare globale è cresciuta a tal punto da superare il picco che caratterizzò la conclusione della Guerra Fredda, segnando un trend assolutamente inverso alla recente crisi economica globale. È per tale ragione ancora prematuro dichiarare che la lieve diminuzione registrata rispetto al 2011 (-0,5%) sia da considerarsi un’inversione di tendenza che porterà all’imposizione di un nuovo trend nel medio-lungo termine.

D’altro canto, la crisi economica globale ha influito sui budget militari dei paesi più industrializzati, in particolare in Europa, dove più di metà degli Stati (tra cui Francia, Germania, Italia e Spagna) sono stati costretti a imporre pesanti tagli anche nel settore militare.

Le politiche di austerità europee non sono tuttavia state sufficienti a scalzare il continente, che attualmente copre quasi il 20% delle spese militari globali, dalla top ten dei paesi con le spese più alte al mondo. Nel 2012 quattro Paesi su dieci sono europei: Inghilterra al quarto posto, segue Francia al sesto, chiudono Germania e Italia rispettivamente al nono e decimo posto.

 

HEY BIG SPENDER – Gli Stati Uniti d’America si riconfermano in vetta alla classifica con un budget destinato al comparto militare pari a 682 miliardi di dollari, corrispondente a circa il 40% della spesa globale.

Così come per i Paesi europei, la sensibile diminuzione della spesa americana rispetto all’anno precedente è stata determinata da una politica fiscale di austerità, imposta dal Budget Control Act nell’estate del 2011, i cui tagli sono destinati a incidere sul budget del Dipartimento della Difesa statunitense anche negli anni futuri. Un altro importante fattore che ha influito sul calo di 6 punti percentuali della spesa militare americana è il ritiro previsto per il 2014 delle truppe dall’Afghanistan, teatro di una guerra costata agli USA fino a ora più di 2000 miliardi di dollari.

La flessione della spesa statunitense è stata bilanciata nel continente dall’incremento delle spese militari di Sud e Centro America. Mentre in America Centrale è stato il Messico ad aumentare più significativamente (+10%) il proprio budget militare per affrontare le sfide poste alla sicurezza dalla criminalità, in America Latina guidano la crescita Paraguay, Venezuela e Colombia, nel tentativo generale di ammodernamento delle proprie forze armate.

 

LA SPIRALE ASIATICA – Dopo le Americhe, è l’Asia il continente in cui si è registrato l’incremento più significativo delle spese militari, un aumento guidato dalla Repubblica Popolare Cinese, al secondo posto dopo gli Stati Uniti nella classifica dei big spender 2012.

La Cina negli ultimi dieci anni ha triplicato il proprio budget destinato alle spese militari, passando da circa 53 miliardi di dollari nel 2002 a 166 miliardi nel 2012.

Circa il 2,2% del PIL cinese è destinato alle spese militari

La modernizzazione delle capacità militari cinesi, che da tempo sta seguendo di pari passo l’ascesa economica del Paese, non è tuttavia ancora in grado di colmare il gap con le forze militari americane presenti nel Pacifico e competere al rango di nuova potenza regionale.

Le preoccupazioni generate dalle crescenti capacità militari dell’Esercito Popolare di Liberazione, unite ad una politica regionale cinese sempre più assertiva, in linea con gli obiettivi di proiezione marittima espressi lo scorso autunno durante il XVIII Congresso nazionale del Partito Comunista Cinese, hanno contribuito a generare una spirale competitiva che coinvolge tutti gli attori presenti nell’area. Nel 2012 sono lievitati i budget destinati alle spese militari non solo di Vietnam e Filippine, i più coinvolti nelle controversie per il possesso delle isole del Mar Cinese Meridionale, ma anche di Corea del Sud, Singapore, Thailandia e Indonesia, con particolare riguardo al settore navale.

 

L’ULTIMO GRADINO DEL PODIO – Si è aggiudicata il terzo posto in classifica la Federazione Russa, che così come Cina ha registrato un costante aumento delle proprie spese militari nel corso dell’ultimo decennio, fino a superare nel 2012 i 90 miliardi di dollari. L’aumento di budget russo resta però da interpretarsi alla luce dello State Armaments Program, un piano che attraverso l’impiego di 700 miliardi di dollari ha l’obiettivo di raggiungere entro il 2020 la completa modernizzazione delle forze armate russe.

Infine, anche l’andamento del continente africano, che continua a registrare un incremento significativo del budget destinato alle spese militari, resta allineato al trend delle regioni in via di sviluppo. In particolare, continuano ad aumentare le spese di Algeria e Marocco, trainate negli ultimi vent’anni da una forte pressione competitiva per raggiungere lo status di potenza egemone del Maghreb. Grazie agli elevati proventi dell’attività petrolifera l’Algeria è riuscita a triplicare il proprio budget destinato alle spese militari, superando nel 2012 i 9,3 miliardi di dollari. Tale incremento è stato giustificato dalla necessità di dare una risposta militare al problema della sicurezza nella regione, destabilizzata dal rafforzamento delle attività terroristiche.

 

CONCLUSIONI – Sebbene sia ancora precipitoso affermare che la diminuzione del 2012 sia l’inizio di una virtuosa inversione di trend, è possibile ipotizzare che nel prossimo futuro continueranno a calare le spese militari nei Paesi industrializzati, sulla linea dei grandi tagli stabiliti dalle politiche di austerità anti-crisi. Al contrario, è altamente probabile che la crescita continui nei Paesi emergenti, secondo le logiche delle attuali strategie di sicurezza nazionali, a prescindere dalla concretizzazione o meno delle dispute attualmente in corso. Tenendo sempre presente le parole di Sun Zi (Sun Tzu) secondo cui la miglior strategia militare non è ottenere cento vittorie su cento battaglie, ma sconfiggere il nemico senza bisogno di combattere.

 

Martina Dominici

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Martina Dominici
Martina Dominici
Instancabilmente idealista e curiosa per natura, il suo desiderio di scoprire il mondo l’ha spinta a studiare lingue straniere presso l’Università Cattolica di Milano e relazioni internazionali tra l’Università di Torino e la Zhejiang University di Hangzhou. Le esperienze lavorative presso l’Ambasciata d’Italia a Washington DC e Confindustria Romania a Bucarest hanno contribuito a forgiare il suo spirito girovago e ad affinare la sua arte nel preparare la valigia perfetta. Dopo quasi due anni di analisi strategica, si è occupata di ricerca per l’Asia Program dell’ISPI, prima di partire per la Thailandia come Casco Bianco per Caritas italiana in un programma di supporto ai migranti birmani. Continua ad essere impegnata nell’umanitario in campo di migrazioni.

 

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