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La Colombia ha detto “no”, il popolo non approva il referendum sulla pace con le Farc

Nella giornata di ieri il popolo colombiano ha risposto con un chiaro “no” alla domanda: “¿Apoya usted el acuerdo final para la terminación del conflicto y la construcción de una paz estable y duradera?” nel referendum convocato dal Presidente della Colombia Juan Manuel Santos, per sancire la pace con le FARC.

COLOMBIA, SALTA IL PROCEZO DE PAZ CON LE FARC – La Corte Costituzionale Colombiana aveva approvato il meccanismo di partecipazione popolare diretta per dare legittimità all’accordo di pace con la guerrilla più antica e sanguinaria del Paese sudamericano, ovvero le FARC: (Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia) guidate da Rodrigo Londoño Echeverri; per dare validità formale si richiedevano 4,5 milioni di voti validi, ovvero almeno il 13% dell’intero corpo elettorale abilitato al voto. Alle urne si sono presentati poco più di un terzo dei 35 milioni chiamati a rispondere. L’accordo è stato respinto per una differenza minima, pari allo 0.5%, un margine strettissimo che rende evidente lo stato di grande incertezza che attualmente attanaglia il popolo colombiano.
Con il referendum si doveva porre fine a 52 anni di conflitti armati interni e divisioni sociali, politiche e umane che hanno insanguinato il Paese e destabilizzato la popolazione colombiana; si contano purtroppo oltre 260.000 vittime, 16.000 sequestrati, 11.500 minori reclutati e decine di migliaia di esiliati e rifugiati all’estero. Santos era stato rieletto nel 2014 proprio con la promessa di ottenere un accordo pacifico e nelle scorse settimane era riuscito a conseguire tale obiettivo attraverso un patto con le Forze Armate Rivoluzionarie (denominato “Fin del Conflicto”), siglato ufficialmente all’Avana (Cuba) il 24 agosto scorso, dopo quasi quattro anni di negoziazione. Lo scorso 26 settembre, invece, si erano riuniti a Cartagena de Indias (Colombia), lo stesso presidente colombiano e il comandante delle Farc, Londoño, nome di battaglia Timochenko, allo scopo di firmare lo storico e definitivo accordo (che prevede ben 297 pagine) con un “baligrafo“, una pallottola trasformata in penna.
Simbolico il fatto che la firma dell’accordo sia giunta proprio nell’isola caraibica; Castro ha sempre appoggiato la guerriglia clandestina colombiana sin dai suoi albori, quando un piccolo gruppo di contadini comunisti decise, nel 1964, di armarsi e scendere nel campo di battaglia per combattere i forti squilibri economici e sociali e dunque fronteggiare il governo che voleva reprimere l’insurrezione di qualsiasi focolaio d’ispirazione marxista.

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Fig.1 – Raul Castro pone simbolicamente le proprie mani su quelle del presidente Santos (a sinistra) e di Timochenko (a destra). 

PACE ORA PIÙ LONTANA? – Dunque, una grande occasione persa? Il referendum avrebbe dovuto confermare il passo in avanti verso la pace, una risoluzione diplomatica impensabile fino a qualche anno fa, da ricordare per la sua complessa realizzazione politica. Si è recato alle urne solo il 40% degli aventi diritto, e questo è il primo dato su cui vale la pena spendere una riflessione politica. Il 50,2% si è espresso per il no contro il 48,8% che ha detto sì. Nella regione di Antioquia, la cui capitale è Medellìn, zona in cui le milizie sono molto presenti, per due terzi la gente ha bocciato l’accordo. Segno che la ritorsione fa paura e che il popolo, cui Santos si appellava, non si è fidato. Le coste e le zone più lontano hanno assecondato il piano del presidente, la parte interna, i grandi complessi rurali, cioè le zone maggiormente colpite dalla violenza delle FARC, invece, no.
Proprio il presidente è il maggior sconfitto. Ha forse osato un po’ troppo nel concedere alle FARC sia lavoro socialmente utile (come lo sminamento) sia una parziale amnistia, e questo ha reso l’accordo inviso a tanti. Poi ha sottovalutato l’opposizione, in primis quella dell’ex presidente Uribe, meglio organizzata di quanto non avesse pensato. Infine ha personalizzato troppo la consultazione referendaria. Santos paga probabilmente anche la crisi di leadership politica del momento. Ora in realtà il cessate il fuoco rimane in vigore, così come la smilitarizzazione della giungla e l’obbligo della consegna delle armi da parte delle milizie. Ma Santos non ha più strumenti per indurre i paramilitari al rispetto di quanto negoziato e nell’incertezza che si è venuta a creare non sarà agevole ottenere il rispetto delle condizioni già accettate, come quella della consegna delle armi. Ora Santos è molto più debole (Uribe ha già chiesto di sedere al tavolo per le trattative) e Timochenko è più forte, non esattamente le condizioni ideali per stringere un nuovo accordo di pace.

REFERENDUM, REAZIONI E SCHIERAMENTI INTERNAZIONALI – Anche la massima autorità delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon, aveva partecipato attivamente alla cerimonia del 26 settembre, garantendo l’impegno da parte dell’ONU per favorire la pace in Colombia. Il Segretario Generale aveva assicurato la più alta attenzione alla questione. Il tutto era stato ufficializzato tramite la risoluzione 2307 del Consiglio di Sicurezza; il disarmo della guerriglia di matrice socialista da parte dell’Organizzazione con sede a New York sarebbe dovuto essere monitorato e guidato con molta accuratezza direttamente dall’Organizzazione delle Nazioni Unite. Le spinte verso il “si” erano arrivate anche dallo Stato Pontificio. La Santa Sede, infatti, ha sostenuto fortemente il processo di mediazione, incoraggiando in questi 4 anni di trattative l’accordo di pace raggiunto. Anche l’Unione Europea si era espressa al riguardo, eliminando le FARC dalla lista delle organizzazioni terroristiche.

GLI OBBLIGHI DERIVANTI DAL TRATTATO DI PACE – In primo luogo, ovviamente, il trattato prevedeva la fine delle ostilità da entrambe le parti, successivamente, in base all’accordo, le FARC avrebbero dovuto iniziare a trasferire i migliaia di combattenti, che attualmente si trovano nella giungla, nei campi creati ad hoc dall’ONU per il disarmo; gli ex-combattenti, dunque, sarebbero stati reintegrati per divenire una forza politica pacifica, ma senza avere diritto di voto fino al 2018, per poter poi essere coinvolti esclusivamente su questioni inerenti al processo di pace. Inoltre, le armi che per anni hanno insanguinato il paese, sarebbero state fuse per creare tre simbolici monumenti alla pace. Tribunali speciali avrebbero dovuto giudicare i reati commessi durante gli anni di crudeltà e barbarie. Infine, l’accordo prevedeva un progetto per ridistribuire le aree rurali tra gli agricoltori, che nel corso degli anni furono allontanati con la forza dalle loro terre.

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IL FRONTE DEL NO – L’ex Presidente della Colombia Álvaro Uribe Vélez, in carica dal 2002 al 2010, rappresenta, come detto, la prima opposizione all’accordo. Ha accusato Santos di consegnare la Colombia al “Castro-chavismo“, sottolineando come l’unica via d’uscita venga rappresentata dalla eliminazione finale delle Farc. Uribe al contrario dell’attuale Presidente, infatti, preferì misure ben più repressive durante i suoi due mandati, dimostrando un approccio fermo e duro nei confronti della lotta ai gruppi armati, decimando i combattenti da 24.000 uomini a 7.000.

RITORNO AL TAVOLO DELLE NEGOZIAZIONI? – Quando gran parte del mondo si preparava a salutare con gioia la fine del conflitto in Colombia, i dati dell’esito finale hanno mostrato uno scenario più complesso. L’iniziale entusiasmo internazionale deve ora rapportarsi con la bocciatura da parte del popolo colombiano, che sicuramente vuole la pace, ma non a queste condizioni. In base alla pronuncia della Corte, una votazione negativa implica che lo storico accordo debba essere rivisto e rielaborato. Con una differenza di pochissimi voti, circa 65 mila, si ripiomba dunque in uno stato confusionario che allungherà di certo i tempi di normalizzazione.
Per ironia della sorte, il prossimo 7 ottobre verrà assegnato a Stoccolma il premio Nobel per la Pace 2016, e proprio gli artefici dello storico accordo risultavano essere tra i favoriti ad aggiudicarsi l’ambito premio. La Colombia ha nei fatti segnato un passo in avanti significativo verso la riconciliazione tanto attesa, ma la vera pace deve ancora arrivare. Poteva essere il momento del riavvicinamento, ma è invece di nuovo tempo di trattative.

Damiano Greco

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più

Ma come è  iniziato il conflitto interno più longevo e feroce dell’America Latina?  Vi consigliamo di visitare la pagina web della BBC Mundo per approfondire le origini delle violenze (in lingua spagnola)  [/box]

Foto di copertina di kozumel Rilasciata su Flickr con licenza Attribution-NoDerivs License

 

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Damiano Grecohttps://ilcaffegeopolitico.net/

Dottore Magistrale in Relazioni internazionali e cooperazione allo sviluppo (Tesi di laurea – Le conseguenze delle Rivolte Arabe – Un mosaico economico, politico, sociale e digitale”).

Appassionato da sempre di relazioni internazionali e di comunicazione politica, con la finalità di intuire sempre quali scenari futuri ci aspettano. Spiccato interesse nelle tecnologie e nelle nuove forme di comunicazione che di fatto hanno creato innovativi modi di fare diplomazia, con peculiare attenzione sull’impatto e uso dei social network nella dimensione politica.

Nato in Sudafrica da madre argentina e padre italiano, un’infanzia passata da un continente all’altro ad osservare il mappamondo in attesa della prossima meta e avventura. In età adulta molti viaggi, varie esperienze lavorative, tra cui un tirocinio molto importante con la Camera di Commercio italiana nella Repubblica Argentina.

Oltre che con “Il Caffè Geopolitico”, collabora con altre testate giornalistiche e riviste. Relazioni transatlantiche, America Latina, Mediterraneo e Medio Oriente principali focus di interesse.

Vigile del Fuoco Volontario.

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