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L’Africa post ebola: oltre la crisi sanitaria

Il 15 gennaio 2016 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato ufficialmente “ebola free” l’Africa occidentale, colpita dalla più grande epidemia di ebola che il mondo abbia mai conosciuto. I casi di contagio registrati sono stati 28.637, di cui 11.315 decessi, con un tasso di mortalità del 68%. A pochi mesi dal termine dell’epidemia, il continente africano deve affrontare non solo le conseguenze della crisi sanitaria, ma anche i risvolti sociali ed economici

«UN’EMERGENZA SANITARIA INTERNAZIONALE» – L’epidemia di ebola che ha messo in ginocchio l’Africa occidentale è la più grave che il mondo abbia mai visto, e questo sia in relazione al numero dei casi che alla sua gestione. La sua diffusione ha colto impreparati Governi e sistemi sanitari locali: l’ultima volta che si era manifestato un contagio del virus era il 1976, nei territori africani dell’ex Zaire e del Sudan (331 vittime su 600 casi accertati). Nonostante i quarant’anni di studi e ricerche, ad oggi ancora nulla di certo si sa sull’origine, sui metodi di contagio e sul trattamento. L’organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha lanciato l’allarme solo nell’agosto 2014, ossia quando l’epidemia stava già raggiungendo il suo punto massimo di diffusione con quasi 1.444 casi e 826 vittime. La stessa OMS l’ha definita «un’emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale», chiamando i Governi e le istituzioni a collaborare per lo sviluppo di un vaccino capace di debellare definitivamente il virus.

LA DIFFUSIONE DELL’EPIDEMIA – Il ground zero dell’epidemia è stato identificato nel villaggio di Meliandou, nella Guinea meridionale, al confine con Liberia e Sierra Leone: i tre Paesi con il maggior numero di casi accertati. Come avviene il contagio e come ci si ammala non è ancora del tutto noto, ma diverse ipotesi sono state avanzate anche analizzando la situazione socio-economica dei territori colpiti. Guinea, Sierra Leone e Liberia sono tra i Paesi più poveri al mondo, sconvolti da anni di guerre civili, con un sistema di sanità pubblico carente: secondo l’Indice di sviluppo umano che considera reddito, istruzione e aspettativa di vita, su un elenco totale di 187 Paesi, essi si trovano rispettivamente al 179°, 183° e 145° posto. La popolazione è molto povera e le principali attività di sussistenza sono la raccolta di frutta e la caccia, tramandate come tradizioni familiari, ma oggi diventate una necessità: l’avvento delle grandi compagnie minerarie straniere, infatti, ha provocato il disboscamento e la vendita di grandi aree prima destinate all’agricoltura di sussistenza.
L’ebola ha origine animale: il virus è presente nei pipistrelli, ma anche in antilopi e scimpanzé, che si nutrono di frutta e abitano le foreste tropicali. Si diffonde tramite liquidi corporei infetti e può vivere per anni nell’organismo di questi animali senza alcun sintomo. I frutti che la foresta tropicale offre possono essere contaminati, così come le carni della selvaggina che vengono lavorate e poi usate per la sussistenza, oppure vendute nei mercati locali (il cosiddetto fenomeno del bush-meat). Lo stretto rapporto tra natura, uomo e animali sarebbe stato l’origine del contagio e l’alto tasso di migrazione in questa parte dell’Africa avrebbe favorito il resto. Altro fattore che ha contribuito al diffondersi dell’ebola è la pratica delle sepolture tradizionali: i cadaveri vengono lavati e toccati dai parenti, che potrebbero così venire a contatto con i liquidi infetti del deceduto. Ad ampliare il tutto, inoltre, l’inadeguatezza dei sistemi sanitari nazionali – totalmente impreparati –, che hanno riscontrato difficoltà a riconoscere i primi sintomi del virus, non provvedendo ad attuare le necessarie misure di prevenzione e isolamento.

Sierra Leone, Guinea e Liberia sono stati i tre Paesi maggiormente colpiti dal virus. Anche in Mali, Nigeria e Senegal sono stati accertati diversi casi, ma l'epidemia è stata tenuta sotto controllo.
Fig. 1 – Sierra Leone, Guinea e Liberia sono stati i tre Paesi maggiormente colpiti dal virus. Anche in Mali, Nigeria e Senegal sono stati accertati diversi casi, ma l’epidemia è stata tenuta sotto controllo


L’AFRICA È DAVVERO “EBOLA FREE“?
– Il culmine dell’epidemia è stato raggiunto tra agosto e dicembre 2014: i casi continuavano ad aumentare, la cooperazione regionale e lo scambio di informazioni tra i Paesi colpiti erano insufficienti, nonostante l’alto tasso di migrazione dell’area. Con l’avvento del 2015 è iniziata la fase discendente, con la diminuzione progressiva dei casi accertati: l’OMS ha dichiarato ebola free la Liberia il 9 maggio, la Sierra Leone il 7 novembre e la Guinea il 29 dicembre 2015. Affinché un Paese possa essere dichiarato “libero” dall’OMS devono essere trascorsi 42 giorni senza contagi da quando l’ultimo caso accertato è risultato negativo per due volte alle analisi del sangue oppure è deceduto. La stessa OMS aveva comunque invitato a non abbassare la guardia per il possibile verificarsi di altri episodi: infatti lo scorso marzo sono stati registrati due casi nella Guinea meridionale e otto in Liberia, che ha immediatamente chiuso le frontiere per evitare un’ulteriore diffusione del virus. Inoltre, terminata l’epidemia, è iniziato lo studio della sindrome post-ebola: molti dei pazienti curati hanno riscontrato sintomi del virus e sono risultati positivi ai controlli, ma ad oggi non è certo se ciò dipenda da sistemi immunitari fortemente indeboliti o dalla persistenza del virus all’interno dell’organismo. L’avvertimento dell’OMS è di rimanere su livelli di allerta, continuando le campagne di sensibilizzazione e informazione. Inoltre, è necessario attuare misure preventive come il monitoraggio per almeno un anno dei pazienti guariti e la profilassi obbligatoria per i partner delle persone contagiate.

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Fig. 2 – Per contenere la diffusione del virus è stato necessario attuare misure di isolamento dei pazienti, di sorveglianza e controllo. I sistemi sanitari locali si sono mostrati impreparati e inadeguati a fronteggiare la situazione

I COSTI DELL’EBOLA – Al termine dell’epidemia, la Guinea contava 3.804 casi e 2.536 decessi, la Liberia 10.675 casi e 4.809 decessi e la Sierra Leone 14.122 casi e 3.955 decessi. L’OMS ha definito l’epidemia di ebola una crisi umanitaria, sociale ed economica. Purtroppo il continente africano dovrà fare i conti non solo con le enormi perdite umane, ma anche con le ripercussioni negative sull’economia, sulla stabilità sociale e sulla sicurezza alimentare. Secondo le stime della Banca Mondiale, l’ebola costerà alla Sierra Leone 163 milioni di dollari (il 3,3% del PIL) e alla Liberia 66 milioni (il 12%): le economie dei tre Paesi maggiormente colpiti sono state paralizzate. La chiusura delle frontiere ha provocato l’interruzione del commercio transnazionale, così come del commercio marittimo – con le navi straniere che rifiutavano di avvicinarsi alle coste per paura del contagio. Il settore trainante dell’economia, l’agricoltura, è stato duramente colpito sia dalla grande perdita di risorse umane occupate, sia dall’alto tasso di campi abbandonati proprio nel periodo della semina. Le attività minerarie sono state sospese: le compagnie straniere hanno abbandonato gli impianti di estrazione. Le scuole sono state chiuse per mesi e l’accesso all’assistenza sanitaria è stato difficile, soprattutto per la distribuzione di medicinali e vaccini per il trattamento e la prevenzione di malattie infettive croniche.
La FAO e il World Food Programme appaiono molto preoccupati: il calo della produzione agricola potrebbe portare a una scarsità di cibo, con il conseguente aumento dei prezzi dei beni essenziali e lo scoppio di una crisi alimentare. Inoltre, la paura di un’eventuale diminuzione degli investimenti e degli aiuti stranieri potrebbe causare una contrazione dello sviluppo sociale ed economico che il continente africano ha già vissuto per anni.

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Fig.3 – Festeggiamenti in Liberia per celebrare la fine dell’epidemia nel Paese

LA RISPOSTA DELLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE – Il 18 settembre 2015 il Consiglio di Sicurezza dell’ONU aveva adottato all’unanimità una risoluzione in cui si leggeva che l’epidemia di ebola doveva essere considerata «una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale». La risoluzione era incentrata sulla necessità urgente di fornire aiuti e assistenza ai Paesi più colpiti e auspicava una collaborazione internazionale. L’Unione Europea, tra ricerca clinica e copertura di misure di supporto a lungo termine, ha contribuito con oltre 414 milioni di euro, una parte stanziati tramite programmi di finanziamento alla ricerca scientifica. Gli Stati Uniti hanno inviato tremila soldati nelle regioni più colpite dal virus per aiutare nel contenimento dell’epidemia e contribuito – così come Cina, Gran Bretagna, Canada e Russia – alla sperimentazione della cura. Infatti, d’accordo con l’OMS, Governi, istituti di ricerca, ministeri della Salute e organizzazioni hanno provato trattamenti sperimentali sui pazienti, riducendo al minimo le conseguenze negative per questi ultimi. Ad oggi non esiste una cura per l’ebola, ma i vaccini sperimentati durante l’epidemia hanno avuto buoni risultati soprattutto sui pazienti con i primi sintomi del virus. Terminata l’epidemia, la sperimentazione continua: il dubbio sollevato è a quale prezzo i vaccini verranno immessi sul mercato e se saranno accessibili ai Paesi più poveri. La Cina ha inviato centinaia di operatori umanitari, destinato 38 milioni di dollari in aiuti medici e donato 6 milioni di dollari al World Food Programme per contrastare la scarsità di cibo. Pechino è il primo partner commerciale africano: acquista soprattutto petrolio e altre risorse minerarie in cambio di finanziamenti e infrastrutture. L’epidemia ha rappresentato l’occasione per dimostrare che il rapporto con l’Africa va oltre gli interessi economici cinesi. L’aiuto degli Stati Uniti è stato però più ingente di quello cinese: al momento l’Africa non è l’area di maggior interesse per gli americani, che però mantengono sul territorio una forte presenza economica e strategica.

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Fig. 4 – Sensibilizzazione e informazione: per combattere l’epidemia di ebola è stata fondamentale l’azione in prima linea delle organizzazioni umanitarie come Croce Rossa e Medici senza Frontiere

OLTRE LA CRISI SANITARIA – Ad oggi la situazione nell’Africa occidentale è preoccupante: quasi un milione di persone che si trovano in stato di insicurezza alimentare in Guinea, Liberia e Sierra Leone. L’intera catena produttiva è entrata in crisi a causa delle profonde restrizione imposte nei mesi dell’epidemia. Fondamentale ora è concentrarsi sulle misure di prevenzione, sensibilizzazione e miglioramento dell’assistenza medica. I sistemi sanitari locali hanno bisogno di aiuti urgenti non solo per riprendersi, ma anche per fronteggiare quelle loro carenze che hanno permesso al virus di diffondersi. La cooperazione sanitaria tra gli Stati dovrà continuare tramite un sistema di controllo e sorveglianza a livello globale, così da rispondere in modo celere alle eventuali emergenze. Infine sarà necessario mantenere una costante attenzione sulla “salute” generale del continente africano, cercando di combattere le cause di povertà estrema e le debolezze strutturali che hanno favorito la diffusione del virus ebola.

Irene Dell’Omo

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più

Approfondimenti, analisi e aggiornamenti sull’epidemia si possono trovare sul sito internet delle Nazioni Unite dedicato all’emergenza ebola.  [/box]

Foto: UNMEER

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Irene Dell'Omo
Irene Dell'Omo

Sono laureata in Scienze Politiche, indirizzo Cooperazione internazionale, con una tesi sulla cooperazione tra Unione europea e Paesi del Maghreb per le risorse energetiche rinnovabili. Vivo a Roma, dove lavoro in un’organizzazione umanitaria nell’area marketing e comunicazione. Le mie passioni: scoprire posti e cose nuove, viaggiare, leggere (soprattutto romanzi a sfondo storico e di attualità) e scrivere.

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