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La Fratellanza Musulmana, ‘comoda’ spina nel fianco di el-Sisi

Le promesse economiche da rispettare, l’instabilità libica, il flusso di profughi siriani, la ridefinizione dei rapporti con gli alleati sauditi, lo Yemen, l’azione nel Sinai di Anṣār Beīt al-Maqdis e altre formazioni variamente legate al Califfato, il disastro dell’airbus della Metrojet con l’ulteriore crollo del turismo. Questi sono i fantasmi di el-Sīsī.
Eppure, per quanto usciti dall’occhio del ciclone, anche i Fratelli Musulmani continuano a rappresentare una spina nel fianco del Presidente, il quale ha però imparato a sfruttarla meglio di quanto si creda.

LA FRATELLANZA OGGI – Non esistono dati certi sui sostenitori della Fratellanza Musulmana nelle carceri egiziane, ma quelli accessibili parlano di quarantamila persone.
Le condanne a morte già emesse sono centinaia, per lo più scaturite da accuse di terrorismo, mentre pene minori sono state comminate a chi ha infranto la legge anti-protesta del 2013, che vietava gli assembramenti di più di dieci persone. Lo scontro totale tra el-Sīsī e Ikhwan, illegali dal settembre 2013, ha riacceso all’interno del gruppo lo spinoso dibattito circa l’uso della violenza politica.
A seguito della deposizione di Mohamed Morsi, la condanna agli atti di terrorismo è arrivata compatta dalla Fratellanza, cosa che non è però avvenuta relativamente alla violenza contro i militari in scontri aperti, sulla quale non c’è una posizione unanime.
Proprio le differenti dislocazioni ideologiche dei Fratelli sulla violenza anti-golpe sono state usate per rinforzare la retorica sul gruppo, fondata sull’affermazione dell’assoluta coincidenza tra Fratellanza e jihadismo. Interessante è notare anche le modalità con le quali gli stessi avvenimenti vengono dipinti sul versante degli Ikhwan, ormai consapevoli almeno quanto il Presidente del potere della parola.
A proposito degli eventi dell’estate 2013, infatti, la maggior parte dei membri dell’organizzazione incentra la propria narrazione storica non sul termine ğihād, bensì sulla parola “intifada” e questa scelta ha un duplice scopo.
In primo luogo, allontana provvisoriamente da sé la connotazione religiosa, sostituendola con un vocabolo a valenze in gran parte laiche. Secondariamente, scegliendo di parlare di intifada si fa riferimento a una delle cause più intensamente vissute tanto nella Umma musulmana quanto dall’insieme dei Paesi arabi, a suggerire che la presa di potere da parte dell’esercito sia un sopruso cui ribellarsi alla stregua dell’occupazione israeliana.

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Fig. 1 – L’ex presidente Morsi segue dalla cella il processo che lo vede imputato

LA NUOVA LEGGE ANTITERRORISMO – A metà dello scorso agosto è entrata in vigore la nuova, controversa legge anti-terrorismo, salutata da più parti come ennesima iniziativa liberticida di el-Sīsī.
Interessanti sono le pene previste per chi diffonde notizie difformi da quelle ufficiali riguardo ad attacchi jihadisti e operazioni di sicurezza: un’ammenda tra duecento e cinquecentomila lire egiziane.
A questo proposito è evidente, ancora una volta, come nell’arena politica egiziana il peso della parola stia crescendo vertiginosamente, e come questo provvedimento comporti il rischio di chiusura per le testate più piccole, che difficilmente potrebbero pagare le salate penali.
Ancora a proposito della stampa, noti al mondo sono i casi di incarcerazione per alcuni giornalisti dell’emittente qatarina al-Jazeera, storicamente avversa al potere militare egiziano e vicina alla Fratellanza.
Mohamed Fahmy e Baher Mohamed sono stati rilasciati a settembre in occasione del tradizionale perdono dell’ʿId al-Adḥa, la Festa del Sacrificio, ma restano aperti anche casi in absentia, come quello dell’australiano Peter Greste, condannato a tre anni in primo grado, ma rimpatriato lo scorso febbraio, come gli altri accusato di aver supportato la Fratellanza.
All’inizio di novembre, inoltre, il quotidiano al-Masry al-Youm ha riportato una dichiarazione del portavoce della Presidenza secondo cui i Fratelli Musulmani «Sono egiziani, la violenza che hanno commesso li ha estromessi dalla vita politica, ma l’unico che deciderà quale sarà il loro ruolo futuro sarà il popolo». Il portavoce ha poi ribadito che le condanne a morte hanno superato solo il primo grado e che quando si tornerà in tribunale verranno giudicati di nuovo.
Nello statement non è riscontrabile un vero e proprio passo indietro, anche perché spetterebbe alla magistratura compierlo, ma l’atteggiamento è significativamente più morbido, secondo il pattern intransigenza-decompressione ricorrente tra Presidenza e Fratellanza.
Il potere sta dunque alternando sapientemente pugno di ferro e distensione: i processi subiscono accelerazioni e rinvii, vengono ordinate nuove retate, ma si ottempera al tradizionale perdono per la festività ed è verosimile che questa alternanza risponda al sempre più intenso bisogno di gradimento, più che di effettivo consenso, nutrito da el-Sīsī,
Indubbio è, però, che i casi più celebri si stiano volgendo al meglio anche per il sostegno di gran parte dell’opinione pubblica e per le prese di posizione di organizzazioni come Amnesty International.
Più preoccupanti restano le sorti delle centinaia di sconosciuti nelle carceri, sempre più places of vulnerability alla radicalizzazione individuale e di gruppo, dato che non sono noti programmi di contro-radicalizzazione, né strategie per il trattamento della delicata relazione tra prigionieri politici e criminali comuni.

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Fig. 2 – Una manifestazione della Fratellanza Musulmana in favore di Morsi

COMODA, MA PUR SEMPRE SPINA NEL FIANCO – L’ipotesi secondo cui la Fratellanza rappresenta un contraltare necessario al potere si fonda su una considerazione primaria: i Fratelli Musulmani, decimati da arresti e spasmodica attività di intelligence, rappresenteranno ancora per qualche tempo un capro espiatorio facilmente strumentalizzabile ed el-Sīsī potrà continuare a parlare di e non con la Fratellanza.
Al tempo stesso, il radicamento sociale degli Ikhwan, inevitabilmente sopravvissuto a quello politico, resta una spina nel fianco del Presidente per due ragioni.
La prima è il fatto che gli arresti hanno suscitato una attenzione mediatica inizialmente sottovalutata dai militari. Si chiede a gran voce di rendere conto dei cosiddetti desaparecidos egiziani e i tanti, troppi processi saranno da portare a termine: ciò significherà sbilanciarsi tra l’almeno apparente tolleranza e l’imperativo alla securitizzazione totale.
Il secondo aspetto che fa sì che la Fratellanza resti un problema per il potere è il progressivo indebolimento dell’equazione Fratellanza-terrorismo di ‘Abd el-Fattah el-Sīsī.
Analizzare le ragioni per le quali la suddetta equazione risulta fragile richiederebbe una trattazione a sé stante, ma le principali sono il successo degli Ikhwan nell’inserirsi nel contesto politico, la loro condanna del terrorismo e il fatto che gli Ikhwan non nutrano alcun interesse per lo smantellamento coatto delle istituzioni statali in vista di una loro riedificazione islamica alla stregua dello Stato Islamico.
Sicuramente nell’organizzazione, accanto a una robusta corrente islahi – riformista – ribolle ancora un gruppo thawri – rivoluzionario –, ma ciò non significa che la sua demonizzazione possa reggere a lungo.

Sara Brzuszkiewicz

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Un chicco in più

La Sorellanza Musulmana

La branca femminile dell’organizzazione venne fondata a Ismailia nel 1933, cinque anni dopo la nascita della Fratellanza. Da subito, pur avendo una responsabile donna, rimase in ultima analisi sotto la leadership del fondatore Hassan al-Banna.
Attraverso incontri periodici, conferenze e attività collettive la Sorellanza si impegnò nella promozione dei valori islamici e nella lotta alle superstizioni tradizionali diffuse tra le egiziane.
Negli anni immediatamente successivi alla propria nascita la sezione femminile venne poi ampliata divenendo divisione nazionale grazie all’opera di Labiba Ahmed, sempre favorita da al-Banna.
Oggi, nonostante il loro impegno nelle campagne elettorali, le donne non sono autorizzate a votare nelle elezioni interne alla Fratellanza.
Nel 2007 la docente di medicina Rasha Ahmed fece circolare nel web una lettera destinata alla Guida Suprema, al tempo Mohammed Mahdi Akef, nella quale protestava per le discriminazioni di genere in materia di politica interna al movimento.
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Foto: Abode of Chaos

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Sara Brzuszkiewicz
Sara Brzuszkiewicz

Sono nata nel 1988 e ho cominciato a conoscere il mondo molto presto grazie a due folli amanti dei viaggi, i miei genitori. Laureata in Mediazione Linguistica e Culturale nel 2010 ed in Lingue e Culture per la Comunicazione e la Cooperazione Internazionale nel 2012, sono junior researcher su Nord Africa e Medio Oriente alla Fondazione Eni Enrico Mattei e dottoranda in Istituzioni e Politiche all’Università Cattolica di Milano. Nutro una smisurata passione per la lingua araba, una delle più ricche al mondo, e per la cultura arabo-musulmana in tutte le sue forme: dalla storia alla cucina, dalla geopolitica alla letteratura, dall’attualità alla danza orientale. Appena ho potuto, per migliorare il mio arabo o per piacere personale, ho viaggiato tra Egitto, Marocco, Siria, Tunisia, Emirati Arabi Uniti, Oman. Cittadina del mondo troppo sensibile, mi lego per sempre ad ogni luogo vissuto, che poi è immancabilmente difficile lasciare.

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