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L’influenza turca in Africa sub-sahariana: tra opportunità e sfide

Da oltre un decennio la Turchia ha avviato una serie di importanti investimenti in Africa sub-sahariana. Un approccio multidimensionale che ha consentito ad Ankara di ottenere significativi successi, ma che potrebbe rivelarsi troppo ambizioso nel medio-lungo periodo.

PERCHÉ L’AFRICA – Per una nazione che ambisce a ricoprire un ruolo sempre più influente nell’arena internazionale diventa fondamentale riuscire ad accrescere le proprie interazioni economiche e gli scambi commerciali tra le varie regioni del mondo, creando così solide relazioni con diversi continenti e Paesi. È in questa strategia globale che si collocano la decisione turca di iniziare a investire cospicuamente in Africa e, in generale, di operare un riposizionamento geopolitico – che è stato pensato dall’ex ministro degli Esteri Ahmed Davutoğlu. Secondo l’attuale Primo ministro, infatti, l’obiettivo della Turchia dovrebbe essere quello di affermarsi come attore centrale tanto in Medio Oriente e in Asia Centrale così come in Africa sub-sahariana, sfruttando la sua strategica collocazione geografica, crocevia di tre continenti, e insistendo sul recupero del passato multiculturale ottomano.
È comunque possibile individuare altre ragioni di tipo economico e politico dietro al crescente dinamismo extra-regionale turco. Innanzitutto, data la crisi dei mercati europei, si sono cercati nuovi sbocchi geografici per offrire alle imprese turche un’alternativa alla commercializzazione dei propri prodotti e la possibilità di effettuare investimenti redditizi. Inoltre, le difficili relazioni tra Ankara e Bruxelles hanno spinto la Turchia a guardare oltre il Vecchio continente: in futuro l’Europa continuerà a essere una della priorità della Turchia, ma difficilmente la più esclusiva. Infine, date le ambizioni internazionali di Ankara, diventa fondamentale garantirsi il sostegno degli Stati africani che rappresentano più di un quarto dei membri delle Nazioni Unite. Non a caso, infatti, la Turchia è stata eletta, per il biennio 2009-2010, membro non permanente del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, e proprio grazie ai voti africani. La Turchia ha potuto e potrà continuare a sfruttare la percezione positiva delle sue iniziative da parte dei Paesi del Continente nero, sia per la mancanza di un passato coloniale nella regione, sia per le simpatie che riscuote tra gli stati a maggioranza musulmana – soprattutto alla luce della tendenza islamizzante dell’azione di Erdogan.

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Fig.1 – Conferenza stampa di Africa Rising, meeting internazionale sul futuro e le potenzialità del Continente africano, 2014

SOFT POWER TURCO – Nei confronti dei Paesi dell’Africa sub-sahariana la Turchia ha deciso di adottare fin da subito un approccio multidimensionale, concretizzatosi nell’ampliamento della rete diplomatica e in interventi nel campo della cooperazione, dell’aiuto umanitario, fino a estendersi anche al settore logistico ed educativo. Le origini della strategia turca in Africa risalgono al 1998 con l’adozione dell’Africa Action Plan. Tuttavia, è con la proclamazione dell’ “Anno dell’Africa” e con le visite di Erdogan in Sudafrica ed Etiopia nel 2005 che il coinvolgimento di Ankara nel Continente si è fatto sempre più concreto. Un’importante svolta si è registrata nel 2008, quando la Turchia è stata dichiarata “partner strategico” da parte dell’Unione Africana, è diventata membro della Banca africana di sviluppo e si è tenuto il primo vertice Turchia-Africa per la cooperazione. Il successo della strategia turca è evidente se si pensa che il volume degli scambi commerciali tra Ankara e l’Africa ha quasi raggiunto, nell’ultimo decennio, i 50 miliardi di dollari. Una crescita importantissima, se si considera che nel 2003 le cifre erano pari a 600 milioni di dollari. Seguendo l’esempio di Brasile, Cina e India, la Turchia ha cercato di favorire i nuovi rapporti commerciali con i propri partner africani puntando soprattutto sull’ampliamento della rete diplomatica. A oggi in tutto il continente vi sono 35 ambasciate turche. Ciò ha consentito ad Ankara di intensificare gli scambi con quei Paesi che stanno sperimentando un’importante crescita economica, in primis Ghana e Angola. Inoltre è interessante sottolineare come ogni accordo politico sia stato accompagnato dall’apertura di un collegamento aereo, che ha facilitato la creazione di nuovi sbocchi commerciali in Africa. Un progetto imponente, che consentirà alla Turkish Airlines di raggiungere 45 destinazioni in tutto il continente entro la fine del 2015. Nel campo della cooperazione culturale, sono state aperte molte scuole coraniche legate al movimento Hizmet dell’influente predicatore turco Fethullah Gülen e finanziate dalla Confederazione degli industriali e imprenditori turchi (TUSKON). Inoltre, ogni anno, vengono erogate borse di studio per permettere agli studenti africani di frequentare corsi e seminari in Turchia. Non bisogna poi dimenticare come Ankara si sia fin da subito impegnata attivamente nella lotta alla malnutrizione e alle malattie infettive, finanziando la costruzione di ospedali. Infine, essa ricopre un ruolo di primo piano nel contribuire alle operazioni di peacekeeping e alla ricostruzione di Paesi dilaniati da sanguinosi conflitti civili nel Corno d’Africa. A tale proposito, sono emblematiche le iniziative intraprese dalla Turchia in Somalia.

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Fig. 2 – Bambini somali durante la carestia del 2011

IL CASO SOMALO – Le relazioni tra la Turchia e la Somalia hanno conosciuto una svolta nell’estate del 2011, quando Ankara ha avviato un importante intervento umanitario – una donazione di 300 milioni di dollari – per aiutare a risolvere la drammatica carestia che aveva colpito il Paese. Molto significativa è stata, nello stesso anno, la visita di Stato di Erdogan, primo leader non africano a recarsi nel Paese dal 1991. La Turchia ha successivamente riaperto la sua ambasciata (tra l’altro poi colpita, nel 2013, da un attentato del gruppo islamico al-Shabaab), contribuito alla ricostruzione dell’aeroporto di Mogadiscio, inaugurato un nuovo ospedale e istituito borse di studio nelle università turche che hanno permesso di accogliere migliaia di studenti somali. Dal punto di vista politico e della sicurezza, Ankara ha offerto un importante contributo al processo di riconciliazione nazionale somalo e alla messa in sicurezza delle infrastrutture chiave, fornendo aiuti in coordinamento con la missione AMISOM. Inoltre la Turchia collabora attivamente al processo di consolidamento delle forze di sicurezza locali e alla lotta alla pirateria. Nell’assumersi questi impegni, Ankara ha deciso di optare per un modello di cooperazione inclusiva e di non condizionalità degli aiuti concessi. Ciò dimostra la volontà della Turchia di porsi come un interlocutore moderno, dall’economia in crescita e relativamente autonomo rispetto alle potenze tradizionali. Tuttavia, ciò genera altissime aspettative tra la popolazione somala che si aspetta molto dalla Turchia, soprattutto per quanto riguarda il processo di consolidamento della pace e di ricostruzione dello Stato.

INCERTEZZE FUTURE – In conclusione, dunque, Ankara ha avviato un ambizioso programma di rafforzamento delle sue relazioni con l’Africa, puntando molto sullo sviluppo dei rapporti commerciali e sul suo ruolo di mediatore politico. In modo analogo, l’insistenza sull’affinità religiosa e la volontà di riscoprire profondi legami culturali hanno contribuito a rafforzare le relazioni tra la società africana e quella turca. Questa strategia ha sicuramente dato i suoi frutti: oggi i principali Paesi partner sono Eritrea, Etiopia, Gabon, Gibuti, Sudan, a cui si aggiungono Sudafrica, Kenya, Nigeria e Somalia. Proprio la Somalia potrebbe rappresentare per la Turchia la chiave di volta per affermarsi definitivamente in Africa. Infatti, qualora Ankara riuscisse a ricoprire un ruolo di primo piano nella stabilizzazione del Paese, si aprirebbero nuovi scenari di riassestamento dell’influenza nella regione. Tuttavia, un possibile limite all’iniziativa turca in Africa deriva dalla sua dimensione economica. È vero che oggi Ankara gode di una certa libertà di movimento nel Continente, ma nel lungo periodo Cina, Stati Uniti e Unione Europea potrebbero mettere in campo molte più risorse, contro le quali difficilmente Ankara potrebbe competere. La Turchia non deve dunque commettere l’errore di promettere più di quanto non sia effettivamente in grado di offrire. Infine non bisogna dimenticare come, attualmente, il partito di governo turco (AKP) si trovi indebolito dai recenti risultati elettorali, dopo aver perso per la prima volta dal 2002 la maggioranza parlamentare assoluta. Ciò induce a pensare che esso si veda costretto a rivedere almeno in parte la sua politica estera. Le elezioni anticipate del prossimo novembre faranno dunque chiarezza su chi governerà in Turchia e, di conseguenza, su quanto si sarà disposti a continuare a investire in Africa nei prossimi anni.

Mattia Bovi

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Un chicco in più

Tra gli attori impegnati in prima linea nell’espansione economica turca in Africa spicca la Confederazione degli industriali e imprenditori (TUSKON), gruppo diventato economicamente potente durante il governo dell’AKP e che opera principalmente nei mercati esteri. Questa confederazione è strettamente legata al movimento Hizmet dell’ex imam Fetullah Gülen e ha contribuito a finanziare l’apertura di scuole coraniche di oltre 40 scuole in Africa. Gli imprenditori della TUSKON utilizzano questi istituzioni scolastiche per allargare la rete dei loro contatti anche in quei paesi in cui il governo turco non ha ancora stabilito rappresentanze ufficiali.

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Mattia Bovi
Mattia Bovi

Laureato in Lingue e Relazioni Internazionali con una tesi sul ruolo del potere aereo nei conflitti asimmetrici, vince una borsa di studio che gli permette di studiare presso l’Università di Stellenbosch in Sudafrica, approfondendo le dinamiche legate allo sviluppo socio-economico del Paese dalla fine dell’apartheid a oggi.
Le sue principali aree di interesse sono il Medio Oriente, l’Asia Centrale e la Turchia. Ama la fotografia, viaggiare e conoscere nuove culture. Quando non si dedica alla geopolitica, lo troviamo ad arbitrare tornei di tennis a livello nazionale.

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