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Il Burundi sull’orlo di una nuova guerra civile

In tre sorsi – In un clima caratterizzato da forti tensioni politiche e sociali, il 21 luglio si sono tenute in Burundi le elezioni presidenziali che hanno visto la conferma di Pierre Nkurunziza giunto al terzo mandato consecutivo: eletto per la prima volta nel 2005, rimarrà in carica fino al 2020

1. LA CRISI POLITICA – Pierre Nkurunziza ha vinto le elezioni presidenziali in Burundi con il 69,41% dei voti contro il 19% ottenuto dall’opposizione, secondo i dati resi noti dalla Commissione elettorale del Paese: su una popolazione totale di 3,8 milioni di abitanti, il tasso di partecipazione si è attestato intorno al 73%. L’esito delle consultazioni appariva scontato giĂ  in partenza dopo che il partito del Presidente, il Consiglio nazionale per la difesa della democrazia – Forze per la difesa della democrazia (CNDD-FDD), aveva vinto le elezioni amministrative e politiche del 29 giugno scorso. D’altra parte, seppur tra molte critiche per il suo regime dittatoriale, Nkurunziza è una figura costante nella vita politica del Burundi fin dagli anni successivi alla guerra civile tra le due etnie dominanti, Hutu e Tutsi, che ha sconvolto il Paese tra il 1993 e il 2005. Dopo aver preso le redini del CNDD-FDD, nel 2005 ricevette il suo primo mandato come Presidente del Burundi dal Parlamento e lo stesso anno fu emanata la nuova Costituzione: sembrò che il Paese dopo anni di instabilitĂ  si avviasse verso una transizione democratica e, soprattutto, verso un’apertura del dialogo tra  Hutu e Tutsi che avrebbero dovuto governare insieme il piccolo Stato africano, come prevedevano gli accordi di pace di Arusha. Nel 2010, Nkurunziza fu eletto con mandato popolare per una seconda volta, ma le speranze che avevano accompagnato la prima elezione erano svanite: le condizioni economiche erano disastrose (il Burundi è uno dei Paesi piĂą poveri del mondo) e il suo regime si è dimostrato fortemente discriminatorio nei confronti dei Tutsi. Infatti, Nkurunziza appartenente all’etnia Hutu, a differenza degli accordi di pace che prevedevano un’alternanza al potere tra le due etnie ed elezioni democratiche, ha cercato piĂą volte di modificare la Costituzione per escludere i Tutsi dal governo del Paese. In un clima giĂ  fortemente teso e critico nei confronti del governo, il 26 aprile Nkurunziza ha ufficializzato la sua intenzione di candidarsi per un terzo mandato consecutivo, notizia che non è stata ben accolta dalla popolazione e dalle forze dell’opposizione che hanno ritenuto questa decisione incostituzionale, poiché la Costituzione stabilisce un massimo di due mandati, ciascuno di cinque anni. Tuttavia la Corte Suprema del Burundi ha avallato la sua proposta non considerando valido il primo mandato, essendo derivato da nomina parlamentare e non dal voto popolare.

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Fig. 1 – Il Presidente del Burundi, Pierre Nkurunziza, arriva al seggio elettorale

2. IL CLIMA PRE-ELEZIONI – La decisione di Nkurunziza di candidarsi per un terzo mandato presidenziale ha scatenato un profondo malcontento all’interno della popolazione: manifestazioni e scontri tra i manifestanti antigovernativi e la polizia hanno caratterizzato gli ultimi mesi con una vera e propria escalation di violenze. L’opposizione ha accusato il governo di aver ordinato di sparare sui manifestanti e di aver armato alcuni membri del movimento politico Imbonerakure, l’ala giovanile del CNDD-FDD. Da parte sua, il partito di maggioranza ha respinto le accuse ritenendo che sia stata l’opposizione a fomentare le rivolte allo scopo di impedire il legittimo svolgersi delle elezioni e di destabilizzare il governo. Secondo dati ufficiali, sarebbero piĂą di 70 le vittime degli scontri e oltre 120 mila le persone, che in seguito all’ondata di violenze, si sarebbero riversate nei Paesi vicini: Tanzania, Ruanda, Repubblica Democratica del Congo. L’opposizione non aveva reali possibilitĂ  di competere con Nkurunziza: tre dei sette candidati hanno boicottato formalmente le elezioni; lo sfidante principale, Agathon Rwasa, esponente delle Forze Nazionali di Liberazione, ha lamentato che è stato impedito agli altri partiti di svolgere una leale campagna elettorale; il leader di uno dei principali partiti d’opposizione, Zedi Feruzi, guida dell’Unione per la Pace e lo Sviluppo, è stato ucciso in circostanze misteriose. Durante le proteste che hanno coinvolto soprattutto la capitale, Bujumbura, dove il consenso nei confronti del Presidente è maggiore, il governo ha interrotto le trasmissioni radiofoniche che raccontavano gli scontri e bloccato l’accesso ai servizi di telefoni che consentivano l’uso dei principali social network e dei servizi di messaggistica istantanea ritenendoli strumenti nelle mani dell’opposizione. A rendere ancora piĂą instabile la situazione, un tentativo di colpo di Stato da parte del generale Godefroid Niyombareh, ex capo dei servizi segreti, per destituire Nkurunziza e il suo governo è stato duramente represso dalle forze militari rimaste fedeli al Presidente.

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Fig. 2 – Il Burundi è uno dei Paesi piĂą poveri al mondo

3. CONCLUSIONI– La Missione d’Osservazione Elettorale dell’Onu ha concluso che il voto per le presidenziali “non è stato libero, credibile e inclusivo, ma macchiato da impedimenti alla libertĂ  d’espressione e di stampa”. La situazione resta molto tesa egli scontri sono ripresi all’indomani delle elezioni nelle zone periferiche del Paese, mentre le autoritĂ  stanno procedendo con gli arresti degli oppositori. La crisi che ha investito negli ultimi mesi il Burundi e che si configura come la piĂą violenta dopo la fine della guerra civile ha messo in allerta la comunitĂ  internazionale: si teme che i rifugiati in fuga verso gli Stati confinanti e gli scontri all’interno del Paese possano destabilizzare la regione dei Grandi Laghi giĂ  messa a dura prova dalle guerre in Sud Sudan, Somalia e Rwanda. La paura è che le proteste possano diffondersi causando un clima di forte instabilitĂ  in una regione con un equilibrio politico e sociale molto debole.

Irene Dell’Omo

 

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in piĂą

Monarchia costituzionale dal 1962, anno dell’indipendenza dal Belgio, la storia degli ultimi 50 anni del Burundi è caratterizzata da continui scontri per la conquista del potere tra le due etnie dominanti, gli Hutu (che rappresentano l’85% della popolazione) e i Tutsi (14%) sfociati nella guerra civile che ha dilaniato il Paese tra il 1993 e il 2005. Le tensioni hanno dato luogo a disordini e colpi di Stato: nel 1966, Michel Micombero, Tutsi, soppresse la monarchia e proclamò la nascita della Repubblica autonominandosi Presidente. Nel 1993, venne eletto il primo Presidente Hutu del Burundi, Melchior Ndadaye, ma sia lui che il suo successore, Cyprien Ntaryamira, furono uccisi nel giro di pochi mesi. Fu nel 2000 che Hutu e Tutsi raggiunsero un accordo ad Arusha (Tanzania): fu stabilito il limite di due mandati presidenziali e definito un periodo transitorio di tre anni dove Tutsi e Hutu si sarebbero alternati al potere (18 mesi ciascuno) per poi avviare elezioni libere e democratiche nel Paese. [/box]

Foto: Igor R. Photography

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Irene Dell'Omo
Irene Dell'Omo

Sono laureata in Scienze Politiche, indirizzo Cooperazione internazionale, con una tesi sulla cooperazione tra Unione europea e Paesi del Maghreb per le risorse energetiche rinnovabili. Vivo a Roma, dove lavoro in un’organizzazione umanitaria nell’area marketing e comunicazione. Le mie passioni: scoprire posti e cose nuove, viaggiare, leggere (soprattutto romanzi a sfondo storico e di attualità) e scrivere.

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