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Bolivia, socialismo ore 9-17

Il Presidente Evo Morales si è impegnato molto per ridurre le disuguaglianze nel Paese sudamericano e per favorire l’integrazione sociale della maggioranza indigena. Le contraddizioni non sono ancora state sanate completamente, e permangono fratture con la ricca elite bianca

IL PRESIDENTE INDIGENO – «Todos somos iguales ante la ley», siamo tutti uguali di fronte alla legge. Questo motto, voluto da Evo Morales, il primo Presidente indigeno della Bolivia, campeggia su targhe esposte negli uffici pubblici, dentro i negozi, e all’ingresso della teleferica a La Paz, capitale governativa. La forza che gli conferisce il suo terzo mandato, ottenuto con oltre il 65% dei consensi nel 2014, lo rende il più longevo capo di Stato boliviano, anche in vista della possibile modifica costituzionale che allungherebbe la sua carica fino al 2020. Lo zoccolo duro del suo elettorato, composto dagli Indios Quechua (si pronuncia Chicua) e Aymara (le donne portano sulla testa la classica bombetta) costituisce il 50% della popolazione boliviana. Al di là dell’aspetto folkloristico, le etnie andine sono la spina dorsale della nazione, soprattutto a livello commerciale nella città, e per la raccolta della coca in campagna. Evo è uno di loro. La politica anti-yankee, l’adesione della Bolivia al Patto del’Alba (Alternativa Bolivariana per le Americhe), a fianco di Venezuela e Cuba, non compromette però la sua apertura alla piccola e media impresa; la pressione fiscale è bassa, dal 15% al 25% secondo il volume d’affari. Ciò non toglie che lo Stato sia inflessibile nella riscossione dei tributi; i commercianti fatturano anche importi minimi.

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Fig. 1 – Evo Morales, primo Presidente indio della Bolivia

LE CONTRADDIZIONI DEL MERCATO DEL LAVORO – A differenza di icone quali Fidel Castro e Hugo Chávez, Morales, così come Rafael Correa in Ecuador, è poco interessato al culto della personalità: la scelta di non eccedere con la propria immagine ben si coniuga al carattere indio, di natura schivo e poco propenso a entusiasmi sopra le righe. La Paz, una contraddizione urbana dove sono presenti una modernissima teleferica che congiunge la parte superiore della città, con capolinea a El Alto, un agglomerato di casupole e baracche appiccicate alle pendici del monte, con un minuscolo aeroporto. Allontanandosi dal centro, in direzione lago Titicaca, ci si rende conto delle reali condizioni di vita: i bordi delle strade transennate da perenni lavori in corso, un formicaio di molteplici micro-attività; cantieri, dove operai vivono accampati per non perdere il posto; ragazzini che trascinano carretti; chi vende carbone e chi compra metalli mentre le donne, onnipresenti, espongono frutta e verdura e preparano pietanze lungo il ciglio della carreggiata. Disoccupazione al 6%, ma la sottoccupazione è molto più alta, anche se difficile da stimare. I minori che aiutano in famiglia non si contano, ma in un quadro simile, ha senso parlare di sfruttamento del lavoro minorile? A fronte di un salario minimo di 200 dollari mensili (uno dei più bassi del continente) c’è chi accusa Morales di averlo ritoccato al rialzo troppe volte, nel corso degli ultimi due anni. Dotti economisti del ceto alto lamentano un eccessivo impiego di manodopera che rallenterebbe lo sviluppo di tecnologia applicata alla produzione, gravando sul debito pubblico. Una visione unilaterale del quadro sociale urbano, che proprio sul coinvolgimento massiccio della forza lavoro e costo della vita basso fonda i presupposti della sua sopravvivenza. Una povertà “dignitosa”, ammesso e non concesso che questo termine sia appropriato per definire la tara principale dell’umanità.

Bombetta

Fig. 2 – Donne Aymara con indosso la classica bombetta (foto dell’autore)

MASTICANDO COCA – Grazie al “New Deal del Presidente indigeno la situazione nelle campagne migliora. Evo era un cocalero, cioè un coltivatore di coca, prima di essere sindacalista e poi candidato politico. Dagli anni Ottanta fino al ’95, sotto amministrazioni filo-statunitense, i cocaleros sono stati perseguitati, e molti uccisi, dalla famigerata Umopar, la forza di polizia speciale incaricata della distruzione dei raccolti e finanziata dalla DEA. Morales, leader del movimento, fu picchiato quasi a morte. Una volta al potere dichiarò la coca, oltre che parte della cultura indigena, indispensabile per le entrate dei campesinos ai quali concesse la libertà di produzione e vendita autonoma, pur vietando il commercio con i narcotrafficanti. Il principio attivo ricavato dalla foglia, un alcaloide che allo stato puro non produce gli effetti della cocaina, ottenuti solo dopo il processo di solventi chimici, bensì una resistenza alla fatica e alla fame e un rafforzamento del sistema immunitario. La sua azione più importante, per provata esperienza, riguarda l’altitudine. Gli Stati andini sono all’interno di montagne che arrivano fino a 6.270 metri. La Paz è la città più alta del mondo, quasi 4.000 metri. All’atterraggio si viene accolti con una bomboletta di ossigeno; l’oppressione al petto e le difficoltà respiratorie sono sempre presenti, sia camminando, che coricati. Masticare una foglia, e in alternativa succhiare caramelle che la contengono, o bere un infuso (mate de coca)  è pratica comune in Bolivia, così come Ecuador, Perù e nel Nord dell’Argentina. Il beneficio è immediato, il senso di soffocamento svanisce.

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Fig. 3 – Piantagione di coca in Bolivia. Il Governo ha annunciato che offrirà delle foglie anche a Papa Francesco in occasione della sua imminente visita

UGUALI DALLE 9 ALLE 17 – Grazie alla depenalizzazione e l’incremento della produzione di coca, oltre al controllo statale sull’estrazione del gas naturale, con l’imposta elevata al 50%, Morales ha trovato i fondi per ridurre il tasso di povertà del Paese, finanziare una campagna per l’alfabetizzazione, e far crescere il PIL al 7%, il tasso più alto del Sud-America. Eppure, per comprendere lo stato reale della società boliviana nella capitale, basta scendere a valle la sera. La scala sociale qui è invertita. Difatti, mentre sui monti di El Alto si vive in alveari di mattonato grezzo, dove la sera la gente va a letto presto, il nuovo settore residenziale di San Miguel brilla di movida notturna, con ristoranti e locali aperti fino a tardi. Qui gozzoviglia la Bolivia che conta, imprenditori e professionisti, tutti rigorosamente blancos. Di giorno, gli unici bianchi in giro sono i turisti, ma la notte è loro. Indios y morenos, a servire e pulire. Nulla di nuovo sotto il sole americano. Così a Cuenca in Ecuador, cuore della cultura andina, a Salvador, la città più nera del Brasile, e Kingston in Giamaica, perla afro-caraibica. Ma solo dalle 9 alle 17. Il problema del razzismo secolare, che ha scientificamente costruito un sistema a caste basato sul colore della pelle, evitando incroci sconvenienti e riservando cibo, istruzione e impieghi di qualità a una minoranza eletta, è purtroppo ancora acuto.

Flavio Bacchetta

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Un chicco in più

Questo articolo è stato pubblicato originariamente sul “Fatto Quotidiano“.

Evo Morales ha recentemente visitato EXPO Milano dove ha incontrato il Presidente del Consiglio Matteo Renzi.

Papa Francesco sarà in Bolivia da martedì 7 luglio, dove si fermerà fino al 10 e incontrerà il Presidente Evo Morales.

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Foto: Cesar Catalan

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Flavio Bacchetta
Flavio Bacchetta

Ho lavorato come agente di commercio in Italia, alternando la mia attività con il lavoro di fotoreporter free lance. Ho collaborato con il settimanale L’Espresso, Panorama, Oggi e altri ancora, tramite l’agenzia di Milano Laura Ronchi. Dal 1994 ho aperto nei Caraibi una mia azienda, che si occupa della produzione e distribuzione di prodotti grafici ricavati dalle mie immagini. Ho collaborato anche con quotidiani caraibici, quali The Gleaner in Giamaica, fornendo loro testi e foto. Scrivo sulla politica e i problemi sociali delle Americhe, dal 2010, come collaboratore esterno di quotidiani nazionali italiani, quali il Manifesto, e magazine online. Il Fatto Quotidiano ospita anche un mio blog di opinioni.

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