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Modi-nomics e il ruggito della tigre indiana

Secondo le stime, l’economia indiana quest’anno crescerà più di quella cinese. Al Primo Ministro Modi, al Governatore della Banca centrale indiana e ad alcuni fattori strutturali viene dato il merito di questa brillante performance

IL GIGANTE SI RISVEGLIA – Dopo anni di crescita modesta, ben al di sotto delle sue potenzialità, l’India sembra essersi risvegliata dal suo lungo sonno grazie alla presidenza di Narendra Modi. Da quest’anno, infatti, l’economia indiana dovrebbe crescere più di quella della Cina, compagna dei BRICS e rivale asiatico, sorpassare l’economia Russa nel 2015 ed eguagliare il Brasile nel 2016. Con le borse in continuo rialzo, una Rupia forte e multinazionali interessate a delocalizzare nel Paese, il modello di crescita del Governo promette guadagni – quasi – per tutti.

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IL MODELLO GURAJAT – Conosciuto come uno degli stati più business-friendly dell’India, il Gujarat è stato governato dal 2003 da Modi. Il successo economico del Paese, che è cresciuto a ritmi del 10% annui, è alla base della vittoria del Primo Ministro Modi nelle elezioni del Maggio 2014. Lo stato di Gujarat, infatti, ha solo il 5% della popolazione totale dell’India su un territorio che copre circa il 6% del Paese, ma un PIL che vale il 7.6% del totale e ben il 22% delle esportazioni indiane.
Il successo di Modi – sia economico che politico – deriva dalle caratteristiche stesse delle riforme da lui implementate: costruzione di strade, sviluppo di rete idrica ed energetica ed altre infrastrutture base hanno reso la vita più facile alla popolazione, nonché attivato un – politicamente profittevole – passaparola tra i lavoratori migranti.
Inoltre, Modi ha posto l’accento su un’amministrazione smart che permette di ottenere facilmente licenze e permessi su internet con risparmio di tempo (la burocrazia indiana soffre di lentezza proverbiale – ndr) e, allo stesso modo, ridurre la corruzione e migliorare la governance. L’uso delle risorse elettroniche è stato enfatizzato per controllare il pagamento delle tasse, le spese degli uffici governativi e lo stato delle finanze. Il focus sulle infrastrutture, l’anticorruzione e la smart governance hanno reso Gujarat una delle aree più business-friendly dell’India, in grado di attirare multinazionali da tutto il mondo.

LE ASPETTATIVE ELETTORALI – Sull’onda del successo economico di Gujarat, Modi è stato eletto per replicare il successo nel resto del Paese. I piani del Governo riflettono ciò che è stato già fatto a Gujarat: costruzione d’infrastrutture essenziali, riduzione dei costi per fare business, la creazione di un’infrastruttura economica nazionale piuttosto che legata ad i singoli Stati e riduzione della corruzione. Inoltre, il Governo sta ponendo l’accento sull’industria manifatturiera come motore della crescita, attraverso l’iniziativa “Make India” e, pertanto, sta invogliando università, istituzioni e industria alla cooperazione per evitare un altro caso “Cina” – dove le risorse sono state concentrate su produzione di beni di bassa qualità senza considerazioni per l’inquinamento. Su questo fronte, infatti, il governo Modi vorrebbe mantenere un approccio più sano di quello cinese, favorendo da subito le fonti di energia alternativa. Tuttavia, la crescente richiesta di energia da parte del Paese mantiene la struttura energetica fortemente legata al carbone, creando non pochi problemi sulla sua posizione complessiva in sede internazionale.

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L’India, inoltre, gode di una serie di vantaggi a lungo termine rispetto alla Cina che possono essere determinante nei percorsi delle due economie. Innanzitutto, le riforme di Modi sembrano avere definito un momentum positivo nell’economia, creando lavoro e generando investimenti sul lungo termine. Molte multinazionali, infatti, stanno ri-allocando industrie nella semplificata India per approfittare del clima economico favorevole. Inoltre, importante fattore che contribuisce a questa transizione è la crescita dei salari cinesi a fronte di livelli di produttività non dissimili da quelli indiani. Inoltre, l’età media indiana è di 29 anni a fronte dei 37 cinesi, dando un notevole dividendo al subcontinente indiano in termini di forza lavoro. Altro fattore di notevole centralità è la crescita della classe media, la quale conta circa 250 milioni di persone al momento, che fornisce sia lavoratori educati, giovani e tecnologici, ma anche un mercato in continua espansione, dove prodotti e servizi non hanno ancora raggiunto un’alta penetrazione della società. Esempio indicativo è quello del mercato dell’auto: in India ci sono solo 11 automobili ogni 1000 persone, contro le 34 in Cina e le 400 negli USA. Ultimo, ma non per importanza, l’India è una democrazia – relativamente – funzionante, che assicura stabilità sul lungo termine.
Fattore non trascurabile, di portata internazionale, è la caduta del prezzo del petrolio, commodity che l’India importa dall’estero in grandi quantità per soddisfare i bisogni delle sue industrie e della sua popolazione. L’abbassamento del prezzo del petrolio è, infatti, legato ad ovvi risparmi di capitale che possono essere adesso liberati e indirizzati ad usi più efficienti. Allo stesso tempo, non solo il costo delle importazioni sarà minore, ma sarà possibile per il Paese risparmiare riserve estere.

ASPETTATIVE TROPPO ALTE? – Tuttavia, un quadro completo dell’economia indiana necessita un giudizio severo sulle azioni intraprese da Modi nel quadro dell’azione parlamentare. Molti analisti speravano che l’assertività politica di Modi si traducesse in un’effettiva rottura con la caotica democrazia indiana, caratterizzata da gruppi di potere e lobby pronte a bloccare ogni azione legislativa contraria ai loro interessi. Nonostante il mandato democratico assicurato a Modi e alla sua strategia economica, il Governo non è riuscito a semplificare la burocrazia, la quale è la maggiore responsabile dei rischi d’investimento nel Paese. Continuano a persistere, inoltre, barriere per gli investitori stranieri – importante risorsa di capitale e tecnologia – i quali si trovano circondati da una ragnatela di clausole legislative mirate a spostare le “colpe” su di loro nel caso di rottura dei contratti e non dando alcuna protezione rispetto alla proprietà intellettuale.

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LA BANCA CENTRALE – Dal Settembre 2013 la Banca Centrale indiana è guidata da Raghuram Rajan, ex economista del Fondo Monetario Internazionale al quale va riconosciuto parte del merito per la ripresa indiana. Fin dalla sua designazione a governatore, Rajan si è fortemente impegnato per stabilizzare il valore della Rupia al fine favorire la ripresa dei mercati finanziari e diminuire il rischio per gli investitori stranieri. In pochi mesi, il governatore Rajan è riuscito a restituire credibilità alla moneta e ad invertire il flusso di capitali. Figura chiave della ripresa al pari di Modi, Rajan ha rimpinguato le riserve indiane per prepararsi ad eventualità di ulteriori fughe di liquidità. Inoltre, il governatore ha spinto le istituzioni bancarie a rinnovare il proprio management per assicurare una migliore gestione delle risorse finanziarie a livello nazionale e diminuire al contempo l’erogazione delle risorse ai “soliti noti”. Tutte queste manovre hanno contribuito a ricostruire la fiducia degli investitori e dei consumatori, migliorando la situazione finanziaria complessiva, come dimostrato, tra l’altro, dal recente upgrade di rating da parte di Moody’s.

CONCLUSIONI – Gli sforzi della Banca Centrale indiana hanno assicurato a Modi una piattaforma perfetta per lanciare la sua presidenza e le riforme ad esso collegate. Grazie ad una congiuntura economica favorevole, prezzi del petrolio in ribasso e aumento dei salari cinesi, l’India sta attraversando il momento perfetto per la sua crescita. Inoltre, i fattori positivi di lungo termine assicurano una buona prospettiva all’economia indiana, dando così la possibilità al governo di fare riforme difficili con poche ripercussioni negative sull’economia. È, quindi, nelle mani di Modi la scelta di come utilizzare il mandato elettorale a sua disposizione ed effettivamente liberare le forze dell’economia indiana.

Federico G. Barbuto

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Un Chicco in più

In un recente studio sui percorsi di crescita dei BRICS è stato previsto che solo Cina e India riusciranno con successo a mantenere una forte crescita ed influenza nei prossimi vent’anni; gli altri tre Paesi del quintetto, invece, dovrebbero rapidamente uscire dal gruppo delle economie emergenti per i loro problemi interni e l’incapacità di fronteggiare le sfide della globalizzazione – finora alla base del loro successo.

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Federico G. Barbuto
Federico G. Barbuto

Laureato in Scienze Politiche alla LUISS di Roma, dove ho anche conseguito un MA in International Relations, mi sono trasferito in Cina nel 2012 dove ho ottenuto un MA in Economics presso la Renmin University of China. Dopo aver lavorato in una compagnia di investimenti mi sono trasferito prima in Colombia e poi in Belgio, dove lavoro nel mondo dell’UE.

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