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Le forze corazzate in Europa occidentale: adeguamento ai tempi o declino?

Miscela Strategica – La riduzione delle forze corazzate nei quattro Paesi più importanti d’Europa rappresenta in parte un giusto adeguamento agli scenari geopolitici attuali. Tuttavia, l’eccesso di tale riduzione e l’assenza di una ratio comune con cui operarla potrebbe creare serie vulnerabilità per la difesa dell’intero continente.

IL GOTHA D’EUROPA? – La dicitura “Europa occidentale” risale alla Guerra Fredda ed identificava i Paesi del continente facenti parte del blocco NATO (ma includendo anche la Francia). L’avvento e l’espansione dell’Unione Europea ha modificato la geografia politica ed economica dell’Europa al punto che oggi è difficile determinare i confini dell’area così identificata. Alcuni Paesi, tuttavia, continuano a mantenere immutato il loro ruolo di primo piano negli affari europei e nelle relazioni tra Europa e resto del mondo. Allo stesso modo, il loro approccio alle tematiche di politica estera e difesa è cambiato, soprattutto in termini di minaccia percepita e pianificazione strategica. Uno degli effetti più evidenti di ciò sugli strumenti militari è la progressiva riduzione, da parte di Francia, Germania, Gran Bretagna e Italia, delle componenti corazzate. Nel corso del confronto bipolare, le forze corazzate sarebbero state grandi protagoniste delle operazioni e si sarebbero opposte ad analoghe forze del Patto di Varsavia. Il nerbo delle forze era quindi costituito da grandi unità corazzate e meccanizzate con elevata mobilità tattica e spesso già schierate a ridosso della prevedibile linea del fronte. Con il venire meno della minaccia sovietica e a causa del cambiamento radicale delle minacce che i Paesi in questione hanno dovuto fronteggiare dagli anni Novanta ad oggi, le caratteristiche delle Forze Armate privilegiano la rischierabilità in tempi brevi, la mobilità strategica e la contenuta impronta logistica. Forze più mobili, quindi, ma anche più leggere.

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Fig. 1 – Veicoli da combattimento per la fanteria (IFV) FV-432 inglesi in esercitazione

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Consistenza forze corazzate D, UK, FR, IT
al 1989 (cifre approssimative)
Carri principali – 6239
Veicoli trasporto fanteria – 11389
Artiglieria semovente – 1343
Consistenza forze corazzate D, UK, FR, IT
al 2015
Carri principali – 1100
Veicoli trasporto fanteria – 1425
Artiglieria semovente – 470[/box]

I GRANDI SEMPRE PIU’ PICCOLI – I quattro Paesi sotto esame hanno tradizionalmente abbinato la loro importante dimensione economica alla dimensione strategica con forze armate grandi e relativamente ben equipaggiate. Oggi questa proporzionalità è venuta meno sia per l’oggettiva riduzione della minaccia convenzionale che per scelte di opportunità politica che tendono a privilegiare voci di spesa diverse dalla difesa.
Per quanto riguarda l’impiego dei corazzati, la riduzione delle forze russe e l’allineamento dei Paesi europei ex-sovietici alla NATO ha sancito un calo della minaccia. Inoltre, fino al 2010, il riavvicinamento tra Paesi europei e Russia allontanava l’ipotesi di confronto strategico. Con la recente crisi ucraina il problema della deterrenza convenzionale si è riproposto, trovando però scarsa reattività da parte dei Paesi considerati. In effetti, al di là delle dichiarazioni dure, la Russia non ha impegnato le proprie forze corazzate ed ha utilizzato in Crimea e ai confini ucraini assetti motorizzati e meccanizzati. Un confronto classico è improbabile perché i Paesi europei quanto la Russia non sarebbero in grado di sostenerlo né economicamente né militarmente con i numeri oggi in gioco. Certo, maggiore rilevanza politica e militare avrebbe permesso di parlamentare con Putin senza dover far leva sul deterrente statunitense, sancendo l’autonomia strategica che è invece mancata nel corso della crisi.
Ma il fronte caldo più esteso per il continente europeo è quello meridionale, dall’Africa settentrionale e sub-sahariana al Medio Oriente. Francia, Gran Bretagna e Italia sono impegnati in teatri multipli e al servizio di coalizioni diverse, ma il loro operato è poco incisivo sia sul piano politico che su quello militare. Ciononostante è possibile che questi Paesi – e perfino la Germania – saranno chiamati ad un impegno crescente a sud. In quei teatri la proiezione di potenza avviene di solito tramite il largo ricorso a forze medio-leggere supportate da limitate cellule meccanizzate. Questo mix di forze viene spesso reputato il più adeguato a contrastare un nemico sfuggente e organizzato in piccoli gruppi e risulta sostenibile anche per periodi prolungati. In effetti, mezzi ed equipaggiamenti più leggeri sono più semplici ed economici da trasportare in teatro mentre l’elevata mobilità strategica in loco data da veicoli gommati permette di coprire distanze lunghe con limitato impatto logistico. Seppure con notevoli differenze, i quatto Paesi stanno orientando i loro apparati militari per essere leggeri e flessibili, con Francia e Gran Bretagna che scompongono la componente corazzata in complessi più piccoli da distribuire su pedine operative pluriarma, disgregando la specialità come a sé stante. Tuttavia l’esperienza statunitense nell’area dimostra che, nel caso di campagne di maggiori dimensioni o a più alta intensità, un complesso meccanizzato/corazzato offre volume di fuoco, resistenza e mobilità tattica ineguagliate. Considerando che i conflitti mediorientali e africani continuano a crescere in gravità e intensità, non è da escludere a priori che interventi maggiori possano rendersi necessari e improcrastinabili in futuro.

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Fig. 2 – Compagnia di carri francesi LeClerc rischerata al servizio di UNIFIL in Libano

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LA PAROLA ALL’EUROPA ORIENTALE – Sul continente europeo, la diminuzione della capacità di condurre conflitti ad alta intensità da parte dei quattro Paesi più rilevanti modifica gli equilibri strategici in seno alla NATO e all’Unione Europea. Infatti, i Paesi dell’Europa dell’Est, Polonia in primis, sono in controtendenza rispetto ai membri occidentali e le loro forze pesanti crescono a ritmo serrato. Dal punto di vista politico questo sancisce uno spostamento dell’asse geostrategico verso est, con attenzione rivolta ai membri orientali ed alla Russia. Sul piano militare, il peso ponderato che Francia, Germania, Gran Bretagna e Italia esercitavano diminuisce in favore di Paesi che accolgono volentieri basi e truppe statunitensi e contribuiscono in maniera sempre più congrua alla difesa del continente. Di conseguenza, le priorità strategiche verranno decise sempre meno da Berlino, Parigi o Roma e sempre più da Varsavia.
Dal punto di vista strettamente operativo, al momento attuale le capacità congiunte dei quattro Paesi rimangono nel complesso adeguate, ma si è vicini alla soglia al di sotto della quale una preziosa capacità operativa potrebbe dissiparsi. In particolare, ciascun Paese ha adottato un approccio diverso, con la sola Germania che adotta una dottrina conservativa delle capacità core. Questo comporta quattro diversi impianti dottrinali che frammentano la specialità in sottoprodotti eterogenei e non direttamente aggregabili, ma ciascuno con peso specifico molto basso.
Infine, la perdita di know-how dovuta a numeri ridotti e scarso addestramento degrada irrimediabilmente le capacitĂ  acquisite nel settore. La loro ricostruzione ex novo richiederebbe molto tempo e denaro, fattori non sempre disponibili quando una minaccia si palesa alle porte.

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Fig. 3 – AttivitĂ  di smaltimento presso l’azienda specializzata tedesca Battle Tank Dismantling GmbH Koch. Ad oggi ben 15000 veicoli corazzati obsoleti o ritenuti in eccesso sono stati smallentati presso questo ed altri impianti.

I POSSIBILI IMPREVISTI – Le forze armate sono costruite sempre intorno al “what if” e la loro struttura rispecchia la minaccia attesa. Di conseguenza il detrimento delle forze corazzate comporta una rimodulazione dei punti di forza e di debolezza dello strumento difesa dei quattro Paesi in esame.

[one_half]Minaccia inattesa – Una minaccia inattesa di tipo convenzionale troverebbe i quattro Paesi più significativi d’Europa con organici non adeguati al rischieramento operativo di unità corazzate organiche dal livello brigata in su, con l’eccezione della Germania. Se da un lato il palesarsi di una simile minaccia non sarebbe repentino e richiederebbe periodi medi (2-5 anni), dall’altra questi tempi potrebbero non essere sufficienti per la rimodulazione degli strumenti militari per la guerra convenzionale.[/one_half][one_half_last]Proiezione di potenza – In caso di lenta recrudescenza di una o più crisi ormai alle porte d’Europa la proiezione di potenza potrebbe non più espletarsi con l’invio di truppe medie e leggere. Questa ipotesi viene considerata lontana dalle cancellerie dei quattro Paesi in esame, ma un’eventuale accelerazione di questo trend nel breve periodo rappresenterebbe un elemento di spinta verso ripensamenti sull’attuale ruolo delle forze corazzate ed una loro rivalutazione nelle agende strategiche delle rispettive forze armate.[/one_half_last]

 

[one_half]Rimescolamento sistema di alleanze – Nonostante le rassicurazioni che gli Stati Uniti hanno fornito ai Paesi dell’Europa orientale ed al dispiegamento delle poche truppe americane rimaste in Europa sul loro territorio, è chiaro che per Washington il teatro operativo europeo è e sarà di secondaria importanza. Questo potrebbe portare due opposte conseguenze: la responsabilizzazione dei Paesi europei più volte auspicata dall’alleato americano, pur all’interno del meccanismo NATO, oppure il declino progressivo delle capacità militari dell’Europa nel suo complesso, dal momento che la componente corazzata continua a rappresentare la spina dorsale degli eserciti strategicamente rilevanti. I Paesi dell’est, in virtù della controtendenza evidenziata, potrebbero anche scegliere formule di sicurezza collettiva alternative ai framework NATO e/o UE noncuranti del peso economico di Parigi, Roma, Berlino e Londra.[/one_half][one_half_last]Perdita capacità industriali – Il trend attuale provocherà una perdita di capacità di progettazione di corazzati (soprattutto carri) nel medio termine. Infatti non sono previsti programmi congiunti per la realizzazione di un carro unico o di una famiglia di IFV cingolati. Per contro ciascun Paese non dispone delle risorse per procedere in autonomia, ed ha un fabbisogno tanto limitato da non consentire economie di scala o ritorni industriali di rispetto. Se questa perdita sia un elemento positivo o negativo nel panorama industriale e strategico dipenderà dall’evoluzione dello scacchiere geopolitico europeo e dalle relative decisioni in materia di difesa e politica estera.[/one_half_last] 

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Fig, 4 – APC (Armoured Personnel Carrier) italiano VCC-1 “Camillino”  in Iraq nel 2006

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RISCHI

In elenco puntato, una lista dei rischi comuni cui Francia, Germania, Gran Bretagna e Italia vanno incontro secondo il trend attuale.

  • Perdita di capacitĂ  operative e industriali considerate non piĂą importanti ma che si rivelassero vitali nel medio temine.
  • IncapacitĂ  di ricoprire un ruolo militare commisurato alla dimensione politico-economica nei teatri operativi principali (es.:Ucraina, Mediterraneo, Oceano Indiano, Artico).
  • Limiti capacitivi eccessivi nella proiezione di potenza fuori area.
  • Ridimensionamento del ruolo politico in seno alle alleanze.
  • VulnerabilitĂ  a minacce convenzionali inattese.

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VARIABILI

In elenco puntato, una lista delle variabili che influenzeranno il trend attuale corroborandolo o indebolendolo, secondo i casi

  • Futuro della PESC e, piĂą in generale, dell’EEAS. In pratica, l’esistenza o meno di una vera politica estera e di sicurezza comune a livello europeo.
  • Andamento economico dei Paesi considerati e conseguenti risorse assegnate ad esercizio ed investimento nel settore difesa.
  • Tipo e livello di minacce percepite nello spazio geopolitico prossimo.
  • Andamento ed esigenze dei teatri operativi attuali in Europa orientale, Medio Oriente e Africa.
  • Orientamento politico generale di Francia, Germania, Gran Bretagna e Italia.

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Marco Giulio Barone

Foto: PzBrig15

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Marco Giulio Baronehttps://ilcaffegeopolitico.net

Marco Giulio Barone è analista politico-militare. Dopo la laurea in Scienze Internazionali conseguita all’Università di Torino, completa la formazione negli Stati Uniti presso l’Hudson Institute’s Centre for Political-Military analysis. A vario titolo, ha esperienze di studio e lavoro anche in Gran Bretagna, Belgio, Norvegia e Israele. Lavora attualmente come analista per conto di aziende estere e contribuisce alle riviste specializzate del gruppo editoriale tedesco Monch Publishing. Collabora con Il Caffè Geopolitico dal 2013, principalmente in qualità di analista e coordinatore editoriale.

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