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Kenya, ancora una strage di al-Shabaab

In 3 sorsi − Ieri al-Shabaab ha colpito Garissa, in Kenya, attaccando il campus universitario e uccidendo 147 tra studenti, insegnanti e addetti alla sicurezza. I terroristi hanno separato gli ostaggi in base alla religione, massacrando i cristiani, come nell’attacco al centro commerciale Westgate di Nairobi (2013). La strage è da inserirsi nel turbolento quadro regionale del Corno d’Africa, fra terrorismo islamico e istanze nazionalistiche. In 3 sorsi.

1. I FATTI – All’alba di giovedì 2 aprile, intorno alle 4,30 italiane, un numero ancora non precisato di terroristi legati ad al-Shabaab è penetrato all’interno del campus universitario di Garissa, nel Nordest del Kenya. Gli armati, che probabilmente sono partiti da una vicina moschea, hanno eliminato le guardie al cancello del complesso, quindi hanno raggiunto gli alloggi degli studenti, uccidendo almeno 147 persone e ferendone circa 80. Secondo i testimoni – ma la notizia è stata confermata direttamente anche da fonti di al-Shabaab – i terroristi avrebbero separato gli studenti musulmani, lasciati liberi di andarsene o comunque risparmiati, da quelli cristiani, uccisi e, a quanto sembra, in alcuni casi decapitati. A riguardo è importante ricordare cha l’individuazione preliminare dei fedeli islamici è una dinamica già riscontrata nell’attacco al centro commerciale Westgate di Nairobi del 2013, sempre di matrice somala. Le forze di sicurezza keniote hanno condotto una lunga operazione, terminata nel tardo pomeriggio con l’uccisione di quattro assalitori, ma un sospettato sarebbe stato arrestato mentre tentava di fuggire. Nel campus erano presenti 815 studenti e 60 insegnanti.

2. L’IDEATORE – L’attacco è stato condotto da uomini del gruppo somalo al-Shabaab, che hanno agito secondo il piano elaborato da Mohammed Kuno (conosciuto anche come Mohamed Mohamud e Gamadhere), sul quale Nairobi ha imposto una taglia da 220mila dollari. Kuno opera da anni tra Somalia e Kenya: conosce bene le regioni tra i due Paesi sia per la lunga militanza in al-Shabaab, sia perché a fine anni Novanta ha lavorato come insegnante in una madrasa proprio di Garissa. Secondo il Governo keniota sarebbe stato lui a ideare anche l’assalto a un autobus nel novembre 2014 che costò la vita a 28 civili (ancora una volta scelti in quanto non musulmani). Kuno, infatti, sarebbe il comandante dei reparti di al-Shabaab nelle aree di frontiera della Somalia meridionale, con il duplice compito di colpire oltreconfine e sostenere parte delle operazioni per l’affermazione del gruppo in Kenya. In questo senso Gamadhere sarebbe molto impegnato in attività di radicalizzazione e arruolamento all’interno del campo profughi di Dadaab, struttura gestita dall’UNHCR a circa 100 chilometri dalla Somalia.

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Una fase delle operazioni

3. LA MANO DI AL-SHABAAB – Il massacro di Garissa è l’ultimo episodio della lunga scia di sangue causata da al-Shabaab. Il gruppo somalo è ben lontano dall’essere sconfitto, nonostante l’inopportuno ottimismo che una parte della comunità internazionale aveva mostrato negli ultimi due anni. In realtà è la struttura stessa di al-Shabaab che garantisce la resistenza dell’organizzazione, affondando saldamente le radici sia in un immenso bacino di arruolamento, sia nella capacità di tramutare in punto di forza quella che è anche la principale debolezza, cioè la litigiosità interna. I terroristi somali considerano il Kenya uno dei principali nemici, perché è dall’intervento militare di Nairobi nel 2011 (insieme a quello dell’Unione africana e dell’Etiopia) che è cominciato il progressivo ritiro del gruppo – ma non la sua caduta definitiva. Molti miliziani di al-Shabaab – complice anche l’errata gestione post-bellica – sono riusciti a fuggire all’estero, verso l’Ogaden etiope e la Provincia del Nordest keniota, dove si sono riorganizzati. La formazione somala, che è parte di al-Qaida dall’inizio del 2012 (Osama bin Laden, infatti, era contrario al suo ingresso nel network), ha sempre avuto due grandi correnti: quella nazionalistica, che intendeva il jihad come un dovere per la liberazione della Somalia dagli stranieri, e quella transnazionale, secondo la quale i somali dovevano integrarsi nella cornice più ampia della guerra mondiale per l’Islam. Per esempio l’operato dello stesso Kuno ha forti legami con i movimenti per l’indipendenza dell’Oltregiuba (Jubaland State). La diaspora di al-Shabaab ha favorito l’esaltazione dei caratteri propri di ciascuna fazione, al di là di duri scontri interni. Anche se le notizie non hanno grande rilievo in Occidente, si continua a combattere in Somalia, con atti terroristici e azioni di guerriglia a Mogadiscio e nelle zone di confine con il Kenya, mentre all’estero si procede all’arruolamento dei somali sparpagliati nei Paesi africani, in Europa e negli Stati Uniti da impiegare in missioni spettacolari, sul modello Westgate. Il tutto con una grande capacità di sostituire i leader eliminati, come avvenuto recentemente con Ahmed Umar, subentrato ad Ahmed Abdi Godane, ucciso da un drone statunitense a settembre. Un’azione di al-Shabaab sotto Pasqua era quindi attesa in qualche modo e altri attentati saranno inevitabili fintanto che la comunità internazionale non tornerà ad affrontare la questione somala senza paternalismi, né pregiudizi, ma con un approccio innovativo che integri il Corno d’Africa all’interno di una strategia di stabilizzazione del sistema Africa orientale-Oceano Indiano, confine occidentale del secolo indo-pacifico.

Beniamino Franceschini

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più

Sul sito del Council on Foreign Relations è consultabile una scheda su al-Shabaab, con una cronologia dei principali avvenimenti legati al gruppo.[/box]

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Beniamino Franceschini
Beniamino Franceschini

Classe 1986, vivo sulla Costa degli Etruschi, in Toscana. Laureato in Studi Internazionali all’Università di Pisa, sono specializzato in geopolitica e marketing elettorale. Mi occupo come libero professionista di analisi politica (con focus sull’Africa subsahariana), formazione e consulenza aziendale. Sono vicepresidente del Caffè Geopolitico e coordinatore del desk Africa. Ho un gatto bianco e rosso chiamato Garibaldi.

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