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Che guerra fa a Minsk?

Al momento in cui scriviamo è in fase di svolgimento il secondo negoziato di Minsk, in Bielorussia. Il vertice vedrà seduti al tavolo dei alcuni importanti protagonisti della crisi ucraina: Russia, Ucraina, Germania e Francia.

Se il negoziato si rivelasse risolutivo della crisi sarebbe un risultato davvero storico, perchĂ© le premesse fanno presagire, nella migliore delle ipotesi, una conferma dello status quo e forse una sua indiretta istituzionalizzazione. Un risultato che permetterebbe a tutti i convenuti di non rimetterci, con la popolazione ucraina come unica sconfitta. Soprattutto se i rappresentanti dei ribelli filo-russi non presenzieranno all’incontro, incrementando i timori che saranno proprio loro a non rispettare quegli accordi, in quanto parti non contraenti. PerchĂ©? In primo luogo, gli Stati Uniti stanno giocando questa fase della partita a distanza, provvedendo solo il deterrente strategico agli alleati europei, che altrimenti si presenterebbero al vertice di Minsk con le armi spuntate. Washington non ha però minacciato di mettere in campo le sue forze, bensì di equipaggiare quelle di Kiev. L’atteggiamento statunitense e la mancanza di una vera alternativa europea che metta d’accordo la Polonia o l’Estonia con la Germania o la Gran Bretagna comporta de facto un rafforzamento della strategia delle “guerre per procura”. In Ucraina – come in Siria o Libia – nessuno vuole intervenire apertamente, sapendo di non poter affrontare i costi e le conseguenze di un vero conflitto e questo vale per tutti i convenuti a Kiev. Ma nessuno vuol far la figura dell’inetto e quindi i toni si mantengono alti, con il rischio di innescare una escalation che nessuno in realtĂ  vorrebbe. Guardando i singoli attori, un approccio razionale, che in termini politologici definiremmo “realista”, e che permette di mirare ad obiettivi minori e sostenibili rispetto al peso dell’intera crisi. Ciascuno a suo modo, beninteso, e senza capire le esigenze degli altri, da cui i periodici corto circuiti nella gestione di una crisi che si preferisce mantenere locale per quanto possibile.

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Fig.1 – François Hollande e Angela Merkel arrivano al vertice di Minsk 

Al tavolo di Minsk siederanno, per l’Europa, Germania e Francia. Ma a che titolo? L’Unione Europea ha un alto rappresentante, Federica Mogherini, ma non ha potere negoziale reale. Senza l’input politico da parte degli Stati membri, ciò che possono fare le istituzioni dell’Unione è conteggiare e quantificare in termini di convenienza economica i possibili scenari e sperare che Francia e Germania ne tengano conto. Il nostro Paese sembra regolarsi in maniera analoga, focalizzando l’attenzione su quanti soldi si possono fare o perdere a seconda dei risultati di Minsk e ignorando completamente le motivazioni di carattere strategico e di visione geopolitica cui i russi e gli ucraini in primis – e gli statunitensi a seguire – sottendono invece tutto il resto. In questo modo, l’Unione Europea quanto l’Italia attribuiscono alle controparti russa e ucraine una razionalità di natura economica che in realtà non hanno. Insomma, sotto i colpi della crisi economica è difficile accettare, per molti Paesi europei, che per qualcuno la politica possa venir prima dell’economia. Con parziali eccezioni, Francia e Germania appunto, che hanno invece afferrato una parte di questa narrativa e, difatti, siedono al tavolo dei negoziati. Eppure anche Berlino è spinta da elementi economici sostanziosi, le relazioni tra Germania e Russia erano forti fino a pochi anni fa, quelle con gli Stati Uniti in via di degrado. Ma la crisi Ucraina mette la signora Merkel di fronte alla necessità di fare una scelta di campo oppure congelare il tutto cercando poi di aggiustare le cose un po’ per volta, risultato auspicato a Minsk. Ma se François Hollande mette in campo qualche sfumatura di grandeur provando ad usate il risibile deterrente francese, per Angela Merkel la soluzione militare non è stata mai tra le opzioni valutate. D’altronde, una delle dinamiche costanti della crisi, compresa la fase aperta in queste settimane, è il tentativo di trascinare l’avversario su un piano di azione sfavorevole. La Russia gioca la carta militare sapendo di trovare i Paesi europei renitenti o impreparati (e la NATO fratturata, eccezion fatta per le poche rassicurazioni provviste ai Paesi orientali in fibrillazione), Europa e Stati Uniti provano a trascinare il confronto sul piano economico. Fin dall’inizio, nessuno ha ovviamente accolto il guanto di sfida dell’altro, non volendoci rimettere.
Cosa cambia a Minsk? Le sanzioni economiche fanno male alla Russia, ma anche i Paesi europei ne stanno soffrendo, e la Germania è tra i primi. Germania e Francia siederanno quindi a Minsk con in mano poche carte sul piano economico e con la sola deterrenza statunitense – in sostituzione di quella europea, inesistente – sul piano militare. Deterrenza che però serve interessi statunitensi e non europei. La volontà di interloquire con la Russia senza rendere conto a Washington, la linea politica che l’Europa ebbe fino al 2010, ne è gravemente inficiata. E l’insofferenza di Putin per la difficoltà a trovare un interlocutore europeo indipendente per negoziare sull’Ucraina sempre più evidente.

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Fig.2 – Vladimir Putin giunge al vertice di Minsk

In conclusione, a Minsk non ci si aspettano grandi novità se non la risistemazione degli elementi sul terreno che potrebbero mettere pressione ai protagonisti internazionali della crisi. Possiamo anche aspettarci una terza Minsk o qualcosa di simile tra qualche settimana/mese. Infatti, una volta esaurito il tavolo politico, la palla torna nuovamente al livello tattico, dove Poroshenko fronteggia i ribelli filo-russi. Ciascuno dei due, al contrario dei loro sponsor, la guerra vuole vincerla quanto prima, e quindi è difficile che rimarranno fermi a lungo. In questo modo si creano dei corto circuiti ciclici: ogni volta che una delle due parti sembra prevalere sull’altra, la crisi riaccende la sua dimensione internazionale e si profila un nuovo confronto e un nuovo tavolo dei negoziati palliativo.

Marco Giulio Barone

 

Foto: streetwrk.com

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Marco Giulio Barone
Marco Giulio Baronehttps://ilcaffegeopolitico.net

Marco Giulio Barone è analista politico-militare. Dopo la laurea in Scienze Internazionali conseguita all’Università di Torino, completa la formazione negli Stati Uniti presso l’Hudson Institute’s Centre for Political-Military analysis. A vario titolo, ha esperienze di studio e lavoro anche in Gran Bretagna, Belgio, Norvegia e Israele. Lavora attualmente come analista per conto di aziende estere e contribuisce alle riviste specializzate del gruppo editoriale tedesco Monch Publishing. Collabora con Il Caffè Geopolitico dal 2013, principalmente in qualità di analista e coordinatore editoriale.

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