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Malala, il Nobel per la Pace e le verità nascoste

Malalai Yousafzai è la giovane ragazza pakistana dai grandi occhi neri che nel 2012 ha commosso il mondo intero. Proprio quegli occhi così profondi e quell’espressione a volte troppo adulta per la sua giovanissima età raccontano, più di tante parole, cosa voglia dire crescere in un Paese dove frequentare la scuola può significare correre seri pericoli per la propria incolumità fisica.

L’INFANZIA IN PAKISTAN – Nata in un piccolo villaggio pasthun di nome Mingora, Malala ha vissuto l’infanzia nella Valle dello Swat, tristemente nota per essere rifugio dei talebani pakistani. La vita di Malala, come di tante altre bambine e bambini di quella regione del Pakistan, è stata segnata dalla violenza dei talebani che da anni bombardano e incendiano le scuole, ritenute responsabili della diffusione dell’odiato modello culturale occidentale. Ma questa ragazza, a soli 17 anni, è diventata il simbolo universale del diritto all’istruzione. A 11 anni Malala inizia a scrivere, per conto della BBC, un blog in urdu, denunciando apertamente le difficoltà e i molteplici ostacoli per le donne pasthun a ricevere un’educazione scolastica. Queste le sue parole: «Era la scuola ad aiutarmi ad andare avanti nei momenti difficili. Quando ero per strada avevo la sensazione che tutti quegli uomini che mi passavano accanto potessero essere talebani. Nascondevamo gli zainetti e i libri sotto lo scialle. Papà diceva sempre che la cosa più bella che si può vedere in un villaggio di mattina è un bambino con l’uniforme scolastica, ma ormai avevamo paura ad indossarla».  (Io sono Malala). Nel 2011, Malala riceve il Pakistan National Youth Peace Prize per il suo impegno in favore dei diritti delle donne.

[box type=”shadow” align=”alignright” ] [/box]L’ATTENTATO DEI TALEBANI – Il 9 ottobre 2012, Malala, salendo sul pulmino scolastico che avrebbe dovuto riportarla a casa, va incontro al suo destino. Ad attenderla infatti c’è un talebano che le spara tre proiettili al volto e al collo, con il preciso obiettivo di fermare la penna e la voce di quella ragazza così giovane, ma così determinata a raccontare al mondo ciò che sta vivendo. Ridotta in fin di vita, Malala e la sua famiglia sono costretti ad abbandonare il Pakistan, trasferendosi definitivamente in Inghilterra, dove riceve le cure necessarie per vincere la sua battaglia contro la morte. La storia di questa giovane ragazza ha fatto il giro del mondo e nel 2012 è uscito un libro autobiografico di successo internazionale intitolato Io sono Malala.

LA GUERRA DEI ‘DRONI’… – Fin qui la storia che tutti noi conosciamo. In realtà esiste anche un’altra verità, spesso messa a tacere dai media occidentali e cioè che la vicenda personale di Malala suscita, da anni, reazioni controverse. Non può essere ignorato infatti che proprio in Pakistan, suo Paese natale, si è aperto in questi giorni un acceso dibattito sulla possibile strumentalizzazione della storia di Malala da parte dei mezzi di comunicazione occidentali. Se da una parte, infatti, i media europei e statunitensi hanno elevato la giovane attivista a simbolo dell’oppressione talebana, dall’altra parte gli stessi risultano colpevoli di tacere sulle vittime civili causate dai droni USA che hanno spesso bombardato proprio le aree dello Swat e della Frontiera nordoccidentale del Pakistan. Molti giornalisti e opinionisti pakistani hanno interpretato il Nobel a Malala come un’astuta mossa politica per giustificare, almeno in parte, le azioni militari statunitensi negli impervi territori del Nordovest. Un articolo pubblicato sull’Huffington Post (luglio 2013) ha sottolineato come possa risultare vincente, da un punto di vista dell’impatto mediatico, lo stereotipo della giovane donna asiatica, schiava di una cultura retrograda e maschilista, salvata dall’Occidente che le offre, al posto di una vita di stenti e di violenza, un futuro di libertà e di speranza. Questi sono gli interrogativi che riempiono le testate giornalistiche pakistane, che animano i dibattiti politici e che fanno discutere la gente comune: «Se Malala fosse stata colpita da un drone, avrebbe avuto lo stesso risalto nel mondo occidentale?».  «La toccante storia di Malala serve anche a giustificare l’uso dei droni militari USA in Pakistan?».

…E QUELLA SULLE NEWS – Certo è che i mezzi di informazione, sempre solerti nel riportare le atrocità commesse dai talebani, spesso sono latitanti o comunque non attribuiscono lo stesso peso e risalto mediatico all’impatto devastante che la guerra dei droni ha sulle vite dei bambini pakistani e afghani situati al confine dei due Paesi. Amnesty International ha pubblicato nel 2013 un documento intitolato Will I be the next? US drones strikes in Pakistan (Sarò io il prossimo? Gli attacchi con i droni USA in Pakistan). Nel documento, presentato a Londra lo scorso anno, si sottolinea come i droni utilizzati nelle aree tribali nel Nordovest del Pakistan abbiano provocato terrore e morte tra i civili (tra le vittime ci sono numerosi bambini).  L’accusa di Amnesty alle Autorità politiche e militari USA è devastante: «I droni sono come l’angelo della morte. – Ha detto ad Amnesty Nazeer Gul, un commerciante di Miram Shah. – Soltanto loro sanno quando e dove colpiranno». (Il fatto quotidiano, 22 ottobre 2013). Dal 2008 a oggi gli attacchi con i droni in Pakistan sono stati circa 300.

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Abdul Sattar Edhi

PERCHÉ MALALA E NON EDHI? – Altro motivo che ha sollevato molte polemiche è poi legato al fatto che un importante e noto filantropo pakistano, da noi quasi sconosciuto, era stato segnalato dal primo ministro di Islamabad Nawaz Sharif per l’ambito riconoscimento internazionale. Si tratta di Abdul Sattar Edhi, fondatore di un’importante organizzazione umanitaria chiamata Edhi Foundation e amatissimo dal popolo pakistano. Schivo per natura e poco incline a mostrarsi in pubblico, quest’uomo di 86 anni ha dedicato l’intera esistenza alla cura dei più deboli. Si calcola che a oggi la Edhi Foundation abbia aiutato e salvato dalla povertà più di 70mila bambini. Edhi ha poi creato negli anni, insieme a sua moglie Bilquis, 30 centri ospedalieri situati sia nelle aree rurali del Pakistan, sia nei centri urbani, grazie ai quali tutti coloro che vivono al di sotto della soglia di povertà possono ricevere gratuitamente cure mediche. Insignito di numerosi riconoscimenti nel suo Paese e all’estero per il suo straordinario impegno umanitario, ha ricevuto, tra gli altri, un dottorato dall’Institute Administration of Business in Pakistan per i servigi resi all’umanità.

IL RUOLO DI MALALA – Malala attualmente abita a Birmingham, Inghilterra, frequenta regolarmente la scuola e vive la propria vita da adolescente in un Paese straniero, poiché le è impossibile, almeno per il momento, tornare in Pakistan a causa delle minacce ricevute. Ma l’impegno umanitario di Malala non è mai venuto meno: continua infatti la lotta quotidiana per il diritto all’istruzione di tutti i bambini. Grazie alla sua innata dote oratoria, unita a una incredibile maturità, rappresenta sicuramente un simbolo e un punto di riferimento e speranza per le giovani generazioni che vivono in aree di crisi e di conflitto. Lasciando quindi da parte interrogativi, polemiche e verità nascoste, a Malala va sicuramente riconosciuto il merito di essere una straordinaria portavoce di tutte quelle donne che lottano per il diritto allo studio e per una vita libera dagli stereotipi di genere.

Barbara Gallo

[box type=”shadow” align=”aligncenter” ]Un chicco in più
Secondo i dati riportati da Amnesty International, nel 2013 gli attacchi con i droni nelle aree tribali pakistane sono state 330. Hanno provocato 2.200 vittime, di cui tra 400 e 600 sono vittime civili. Il Documento Will I be the next è scaricabile dal sito di Amnesty International.
Un’organizzazione di artisti chiamata Notabugspla ha dato vita quest’estate a un’iniziativa nella regione del Khyber Pakhtunkhwa. È stata esposta la foto gigante, visibile quindi dall’alto, di una bambina che ha perso l’intera famiglia dopo l’attacco di un drone.
Per avere più informazioni su Abdul Sattar Edhi: Edhi, National Hero.[/box]

Foto: DFID – UK Department for International Development

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Barbara Gallo
Barbara Gallo

Ha conseguito la Laurea in Sociologia con una Tesi sulle donne afghane. E ciò non ha fatto che aumentare la sua passione e il suo amore per quelle terre belle e selvagge e per quelle popolazioni fiere e coraggiose. Collabora con Archivio Disarmo perché sogna la pace e con la Fondazione Pangea perché sogna un futuro migliore per le donne. Attualmente vive e lavora come giornalista pubblicista a Roma.

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