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Che cosa fa ISIS in Siria

L’IS, o Stato islamico, rappresenta l’evoluzione ultima di un movimento militante jihadista affiliato ad al-Qaida, nato in Iraq durante il conflitto civile e approdato poi a una sua dottrina militare e ideologica completamente distinta dai seguaci di bin Laden. In Siria i miliziani di questa nuova minaccia regionale sono riusciti a espandere la loro influenza grazie a un’ottima strategia organizzativa e alla propaganda.

SIRIA, IL TERRENO PRIVILEGIATO – È nel conflitto siriano che l’IS riesce ad acquisire nuove leve e dare al suo messaggio una visibilità internazionale. La guerra contro Bashar al-Assad aveva mostrato, già dal suo inizio, di essere profondamente diversa dalle altre insurrezioni popolari delle cosiddette Primavere arabe. Dietro la lotta al regime di Damasco ha proliferato una miriade di gruppi armati intenti a combattere una propria guerra, frantumando così il fronte d’opposizione siriano. All’Esercito libero si erano affiancati gruppi armati salafiti, finanziati dalle ricche Monarchie del Golfo, compagini islamiche estremistiche d’ispirazione qaidista come Jabat al-Nusra e in ultimo anche la formazione prima conosciuta come ISIS e poi semplicemente come IS (Stato islamico). Negli anni di lotta i gruppi moderati all’origine della rivolta hanno ceduto la scena ai più estremisti, meglio armati, organizzati e finanziati, che spesso hanno rivolto le armi l’uno contro l’altro invece che unicamente contro il regime. In questa polveriera l’IS è riuscito a prendere il controllo di una parte cospicua del territorio siriano settentrionale e centro-orientale, soprattutto attorno alla roccaforte di Raqqa, mentre il vaso di Pandora della violenza settaria è tornato a riesplodere in modo preoccupante e consistente nel perimetro siriano. A questo si aggiunga la tendenza di Assad a concentrarsi contro le forze moderate e non contro l’ISIS, almeno fino a poche settimane fa, per favorirne l’ascesa. Scelta politica questa che non deve far pensare a un’alleanza tra i due, ma semplicemente al tentativo di Assad stesso di presentarsi davanti all’Occidente come unica alternativa seria al terrorismo dell’IS e dunque far accettare un suo mantenimento del potere. Da qui le recenti offerte di “collaborazione” contro l’IS e la decisione di aprire finalmente anche questo fronte.

LA FORZA DELL’IS NELLA SUA PROPAGANDA – Il paradigma di qualsiasi attore terrorista è incutere timore nella popolazione, indurla con azioni violente ad abbandonare le proprie case, o piegarla alla furia ideologica che tiene in vita il movimento stesso. Per questo aspetto “teorico”, l’ISIS non apporta alcuna novità. La sua strategia è fortemente legata alla psicologia della popolazione locale. La pulizia etnico-religiosa che si sta consumando in Siria e Iraq non coinvolge soltanto le minoranze (sciiti, cristiani, yazidi), ma spesso colpisce anche popolazioni sunnite che non aderiscono al Califfato. Le frequenti esecuzioni a danno di uomini, donne e bambini sono rese pubbliche per intimorire il popolo, e diventano funzionali all’ISIS per espandere il suo controllo territoriale grazie a una sempre minore opposizione. Entro questa prospettiva bisogna leggere la tendenza a mostrare nelle vie dei villaggi corpi uccisi, teste decapitate e altre barbarie consumate a danno dei civili.
Il rapporto delle Nazioni Unite sulla Siria accusa lo Stato islamico di commettere gravi crimini contro l’umanità e crimini di guerra. Nella commissione d’inchiesta sulla Siria che copre il periodo tra il 20 gennaio e il 15 luglio di quest’anno, gli operatori dell’ONU hanno certificato che i miliziani jihadisti dell’IS stiano reclutando anche bambini di dieci anni, addestrati in campi di formazione situati nel Nord del Paese e indottrinati all’Islam più radicale e fanatico. Nonostante tale gesto sembri indicare un tentativo di ovviare a una mancanza di combattenti, la CIA ha reso noto che l’attuale numero di combattenti nell’intera area di Siria e Iraq sarebbe compreso tra i 20mila e i 31mila, con oltre 15mila aderenti stranieri.

Dabiq, la curatissima rivista edita dall'ISIS
Dabiq, la curatissima rivista edita dall’ISIS

SOSTEGNO LOCALE E ORGANIZZAZIONE – Il successo dell’IS va fatto anche risalire alle sue vittorie in battaglia, favorite dal sostegno logistico di parte della popolazione sunnita, dal controllo strategico di villaggi e vie di comunicazione, e da ingenti risorse finanziarie provenienti da numerose fonti (attività criminali, riscatti, risorse petrolifere, finanziamenti da Emiri del Golfo e soprattutto il denaro preso dalla Banca di Mosul) che garantiscono grande disponibilità economica. Per quanto riguarda gli armamenti, il 25 agosto il “Califfato” è riuscito a conquistare l’aeroporto militare di Tabqa, nella provincia di Raqqa, la sua roccaforte strategica, impossessandosi di un importante arsenale fornito di elicotteri, aerei da guerra, carri armati, cannoni e munizioni. In aggiunta, diversamente dai militari professionisti o dai ribelli anti-governativi, i combattenti dell’ISIS sono stipendiati e questo elemento favorisce certamente l’adesione al gruppo terrorista.

IL NODO INTERNAZIONALE – All’annuncio delle operazioni militari guidate dagli Stati Uniti rimangono da sciogliere alcuni nodi sulla composizione della coalizione anti-ISIS. Attorno alla Siria orbita un pluralismo di interessi che rende difficile pianificare una strategia condivisa da parte della comunità internazionale. L’Iran ha da poco dichiarato il proprio disaccordo nel partecipare al fianco degli Stati Uniti nella grande coalizione contro l’IS. Teheran, infatti, seppur stia combattendo la minaccia sunnita jihadista degli uomini di al-Baghdadi, non può tollerare bombardamenti aerei in Siria, un Paese alleato che definisce l’arco sciita del Medio Oriente. La Russia ha condannato la decisione della Casa Bianca ritenendola un grave atto di aggressione senza mandato dell’ONU. Washington, infatti, ha deciso di non includere Assad nella coalizione contro lo Stato islamico, scegliendo invece di finanziare i ribelli più moderati.

Giorgia Perletta

[box type=”shadow” ]Un chicco in più

Sono 27 i Paesi riunitisi a Parigi al vertice sulla pace e sicurezza dell’Iraq per definire una strategia condivisa nella lotta allo Stato islamico. L’assenza di Siria e Repubblica islamica dell’Iran, tra gli attori più interessati a eliminare la minaccia jihadista del Califfato, fa emergere dei dubbi sulle evoluzioni delle operazioni militari e del futuro equilibrio di potenza regionale. Tra i dieci Paesi arabi che hanno accordato appoggio politico, ma non militare, ci sono anche Egitto, Giordania e Arabia Saudita. Un nome, quest’ultimo, che non può non lasciare qualche perplessità. Riyadh, infatti, ha sempre sostenuto i gruppi sunniti che operavano in Siria e la sua aperta posizione di contrasto all’ISIS (nemico dell’Iran) rimane, al momento, dubbia alla luce di forti sospetti su come il Regno contribuisca al suo finanziamento.[/box]

Foto: Marc Veraart

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Giorgia Perletta
Giorgia Perletta

Accento abruzzese e occhi di mandorla, un mix che dalla nascita (un Martedì del 1990) mi ha tatuato addosso le forti radici e l’esotismo d’Oriente. Sono dottoranda in Istituzioni e Politiche presso l’Università Cattolica di Milano dove ho conseguito una laurea in Sociologia e Giornalismo, una (magistrale) in Relazioni Internazionali e, (non c’è due senza tre), un Master in Middle Eastern Studies. Ho vissuto per 5 mesi a Seul -quando da Nord schieravano i missili al confine dichiarando lo stato di guerra- e lavorato a Milano in una redazione tele-giornalistica nazionale. La mia rosa dei venti punta verso il Medio Oriente e, soprattutto, verso l’Iran, Paese che mi ha fatto innamorare di una molteplicità dei suoi aspetti; tra questi il Persiano, che ho iniziato a studiare un’estate all’Università di Teheran.

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