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Un fiume in piena: idropolitica del Mekong

Il Laos, uno dei Paesi più poveri dell’Asia ma con un tasso di crescita del 7% annuo, è nelle ultime settimane al centro di un acceso dibattito che coinvolge interi apparati governativi, l’opinione pubblica mondiale, ambientalisti e organizzazioni non governative. A turbare gli equilibri regionali asiatici è il piano di costruzione della diga dello Xayaburi, sul fiume Mekong, punta di diamante del programma energetico del Laos

 

COMPETIZIONE SERRATA – La disputa sulla costruzione della diga dello Xayaburi (immagine sotto), 1260 megawatt e un costo di 3,5 miliardi di dollari, trova spiegazione nella competizione tra Stati per lo sfruttamento del Mekong, quindi nella dimensione geopolitica della risorsa idrica. Se, come molti affermano, l’acqua è “l’oro nero del XXI secolo”, allora la questione del Mekong afferisce alla sfera della idropolitica.

L’attuale capacità di generare energia idroelettrica del Laos è di 2,54 GigaWatt, che il governo mira ad accrescere almeno fino a 8,04 Gigawatt. Tenuto conto che la capacità idroelettrica totale prevista è stimata intorno ai 18 GW, e che 12,5 GW di tale potenziale energetico sono da ricavarsi dal Mekong, si chiarisce l’importanza dello sfruttamento del fiume per il Laos, che non ha sbocco sul mare.

A fronte dei preoccupanti attuali sviluppi della crisi nucleare in Giappone, l’energia idroelettrica è divenuta il baluardo del piano energetico regionale, registrando un tasso di crescita della domanda del 7% annuo.

Il Vietnam, la Cambogia e la Thailandia hanno espresso dubbi rispetto alla costruzione della diga e agli effetti negativi che potrebbero ripercuotersi sull’ecosistema del Mekong, sulla migrazione dei pesci e sull’acquacoltura, attività lavorativa praticata da 60 milioni di persone che vivono proprio grazie alle acque del grande fiume.

In armonia con quanto pattuito negli Accordi di cooperazione regionale sull’utilizzo del Mekong (1995), i tre Paesi hanno reclamato il loro diritto di indire consultazioni e maggiore approfondimento dei probabili effetti transfrontalieri prima che venga realizzato il progetto. Non potendo opporre alcun veto, potere non disposto negli Accordi, il Vietnam, la Cambogia e la Thailandia mirano ad ostacolare il progetto laotiano, rallentandone il piano esecutivo e mobilitando l’opinione pubblica internazionale ambientalista rispetto all’impatto ecologico della diga.

 

L’OPPOSIZIONE DEL VIETNAM – Il Vietnam, primo fra tutti, ha proposto in seno alla Commisione per il Mekong la sospensione della costruzione delle 11 dighe previste (9 nel Laos e 2 in Cambogia) per i prossimi 10 anni, che rischierebbero di abbassare il livello di acqua del Mekong, favorendo la siccità e riducendo la possibilità di utilizzo del fiume per l’irrigazione e la coltivazione agricola, essenziali per l’economia vietnamita.

Allo sviluppo idroenergetico del Laos è strettamente connessa la crescita economica del Paese, e quindi anche il suo affrancamento dal regime di dipendenza dalle economie regionali più forti, il Vietnam e la Thailandia, suoi maggiori partners commerciali.

La decisione del Laos di proseguire la realizzazione del programma idroelettrico, contravvenendo così alle raccomandazioni del suo storico partner vietnamita, potrebbe provocare una falla nelle relazioni bilaterali tra i due Paesi, creando un vuoto politico che la Cina sarebbe pronta a colmare, visto il valore degli interessi energetici laotiani.

D’altra parte, l’opposizione del Vietnam al programma energetico del Laos rischia di avvicinare inevitabilmente il Paese alla Cina.

 

GEOPOLITICA E IDROPOLITICA – Il confine territoriale del Laos, che confina con il Vietnam, la Cina, la Thailandia, il Myanmar e la Cambogia, attribuisce al Paese un considerevole valore geostrategico e geopolitico per la sua posizione geografica e per la sua morfologia, caratterizzata da un paesaggio prevalentemente montuoso, con altipiani, fiumi lunghi a navigabili e immense foreste che ricoprono la metà della superficie.

È proprio la geopolitica dei confini laotiani che ha reso il Paese, per secoli, il nodo focale delle mire espansionistiche ed egemoniche dei vari potentati dominanti in lizza per il controllo regionale, come i Cham vietnamiti, i Thai thailandesi e i Khmer cambogiani.

A rendere straordinariamente rilevante il Laos, nel contesto del sud-est asiatico, è proprio il limite naturale costituito dal fiume Mekong, l’undicesimo fiume più lungo al mondo (4880 km), che discende dalle sorgenti dei monti tibetani e attraversa il Laos per 1898 km, separandolo dal Myanmar e dalla Thailandia, percorrendo anche il Vietnam e la Cambogia. Quello che laotiani e thailandesi chiamano Maè Nam Khong, ossia “madre di tutti i fiumi”, è lo spazio territoriale nel quale si riflettono le ambizioni e gli interessi strategici regionali, nel quale si consolidano le intese e le contese intrastatali.

La posta in gioco è lo sfruttamento di un bacino di 800.000 km cubici di acqua, volano dell’economia interna degli Stati rivieraschi e bene comune per questi paesi, per il quale essi si sono impegnati già negli accordi del 1954 “ad astenersi da ogni misura suscettibile di arrecare danno direttamente o indirettamente alla navigabilità”.

 

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IL MEKONG, UN FIUME INTERNAZIONALE – Secondo quanto disposto dal diritto internazionale, un fiume che attraversa i territori di due o più stati, quale il Mekong, è un fiume internazionale. Il riconoscimento dello status internazionale del corso d’acqua condiziona la dimensione dei diritti e dei limiti, che disciplinano l’azione degli Stati rivieraschi rispetto all’utilizzo della risorsa idrica. Tutti gli Stati attraversati dal fiume internazionale godono dei medesimi diritti sulle acque; è concesso lo sfruttamento della risorsa energetica per usi di navigazione, industriali, per la pesca, per usi idroelettrici, agricoli e domestici, per l’irrigazione e il controllo delle inondazioni, ciascuno Stato secondo i propri bisogni.

Nel tempo si è cercato di bilanciare gli interessi degli stati attraversati dal fiume con degli accordi (Accordo di cooperazione stipulato il 5 aprile 1995 tra Laos, Thailandia, Cambogia e Vietnam): gli Accordi ribadiscono non solo la libertà di navigazione ma prevedono anche il disciplinamento, la prevenzione e la cessazione degli effetti transfrontalieri dovuti allo sfruttamento unilaterale del Mekong.

 

EQUILIBRI REGIONALI E SFERE DI INFLUENZA – Alle fondamenta dell’esercizio dell’influenza del Vietnam sul Laos, oltre alla tradizionale influenza culturale, vi è anche una esperienza coloniale comune, quali parti dell’Indocina francese dal 1899.

Dopo una sofferta guerra di indipendenza (1954) e una violenta guerra civile, il Laos divenne il teatro delle contese dei due blocchi, filoamericani e filosovietici, in piena guerra fredda. Nel 1975 il Pathet Lao, il partito comunista laotiano, conquistato il potere, proclamò la nascita della Repubblica Popolare Democratica del Laos (RPDL), regime ispirato al modello nordvietnamita.

La gestione del governo, la strutturazione dell’apparato amministrativo e l’organizzazione del Pathet Lao venne ricalcata sull’esempio del Vietnam.

 

LA CINA COME POTENZA REGIONALE – A partire dal 1986, il Laos iniziò a svincolarsi dall’egemonia politica vietnamita, avvicinandosi sempre più alla Cina, con cui ristabilì i rapporti diplomatici interrotti nel 1979, adottandone anche parte del modello economico.

Attualmente la Cina è il più grande investitore nel Laos. La liberalizzazione economica è stata la pietra angolare del progressivo rafforzamento delle relazioni cino-laotiane, e conseguentemente la causa dell’indebolimento dell’influenza vietnamita.

Uno degli obiettivi strategici della Cina è quello di stabilirsi come potenza egemonica regionale: in tal senso, la Cina mira anzitutto a rinforzare le relazioni economiche e politiche con i Paesi dell’Asia sud-orientale, attraverso gli investimenti diretti nel settore infrastrutturale, la concessione di ingenti aiuti allo sviluppo, la formazione del personale tecnico e il passaggio di tecnologia, il supporto militare e di intelligence, la cooperazione nel settore della sicurezza.

La conquista di un posto al sole nella regione è fondamentale per la Cina, che guarda al sud-est asiatico come ad un enorme bacino di risorse energetiche e naturali, molte delle quali ancora inesplorate, necessarie per garantirgli la costante crescita economica, per neutralizzare il rapporto di interdipendenza economica che lega quei Paesi a Stati Uniti e Giappone, per contrastare la crescita indiana.

 

Dolores Cabras

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