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Niente per noi, tutto per voi: la politica di Correa in Ecuador

È probabilmente il capo di Stato più amato dell’America latina e sta svolgendo il suo terzo mandato presidenziale. Classe 1963, PhD in Economia all’Università dell’Illinois e studi in Belgio, i suoi quindici milioni di connazionali lo assecondano in tutto quello che propone dal 2007.

IL SEGRETO DEL PRESIDENTE – Rafael Correa aveva promesso una rivoluzione e in sostanza sta mantenendo le aspettative. Nei primi anni del proprio mandato ha raddoppiato la spesa in istruzione e fatto precipitare la disoccupazione al 4%, il dato più basso degli ultimi 25 anni. La povertà è passata dal 32% al 27% della popolazione e gli interessi sul debito pubblico sono oggi pari all’1% del PIL, indici che i Paesi europei si sognano.
Secondo “The Economist” tutto questo è frutto di un pericoloso mix di fortuna, opportunismo e talento. Correa è Presidente di un Paese piccolo che ha due sole grandi voci nella propria economia, le rimesse dagli emigrati e la vendita di petrolio. Eppure i risultati raggiunti sono notevoli. La prima spinta, venuta dall’utilizzo strategico della leva fiscale come stimolo soprattutto per l’edilizia, ha prodotto 600 milioni di dollari di credito immobiliare portato avanti fino al 2011. Ma l’azione più coraggiosa (e vincente) del presidente Correa è stata la riforma della Banca centrale del piccolo Stato, che non ha neanche una moneta propria (dal 2000 in Ecuador c’è il dollaro statunitense): con puro decisionismo, l’Istituto centrale è stato costretto a riportare in patria ben due miliardi di dollari di riserve sparse per il mondo, soldi poi usati per le esigenze pubbliche e quindi destinate a finanziare infrastrutture, artigianato e agricoltura.
La mossa successiva è una di quelle che il buon economista di formazione classica, esattamente come Correa, non dovrebbe compiere, e che infatti nessuno in Occidente ha il coraggio di proporre. Ha imposto alle banche di detenere il 60% della disponibilità di contante in patria e ha abbassato il tasso d’interesse reale, aumentando l’imposizione fiscale per le rendite finanziarie.
L’impostazione socio-finanziaria è stata poi completata dalla creazione delle condizioni favorevoli ai micro-prestiti sociali, ispirati alla banca di Muhammed Yunus, che hanno prodotto iniziative private andate a migliorare le condizioni di vita della popolazione. Facile comprendere quanto il Presidente sia amato dal popolo e osteggiato dai conservatori e dai poteri forti. Ma c’è di più.

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Chavez, Correa e Maduro

CORREA E L’ALLEANZA SOCIALISTA – La vera spinta propulsiva è arrivata dopo il fallito golpe del settembre 2010. Superato quello, Correa ha perso ogni incertezza e si lanciato verso una politica decisamente anticapitalista. Il suo “cristianesimo sociale” è andato incontro al radicalismo militarista di Chávez e si è incontrato con il vecchio Fidel. Il risultato è stato, però, l’allontanamento di ogni eventuale investitore straniero e il varo dell’alleanza socialista del XXI secolol’Alianza bolivariana para America Latina y el Caribe. Il nuovo corso della socialdemocrazia sudamericana del 2000 porta con sé riscontri piuttosto contrastanti: in Brasile, Cile ed Ecuador ha condotto a un effettivo miglioramento delle condizioni di vita della popolazione e contestualmente a sviluppo e crescita economica, anche se le disuguaglianze non sono sparite. In Venezuela è però intanto sfociato nella repressione del malcontento, mentre il regime boliviano mostra evidenti segni di declino. Correa avrebbe potuto essere il trait d’union tra i vari Paesi sudamericani che si oppongono al neoliberismo e che hanno riguadagnato posizioni di autonomia rispetto ai puri dettami finanziari della Banca mondiale.

LA DEBTOCRACY – Correa si è inimicato ben presto le Istituzioni finanziarie mondiali cancellando il debito pubblico del suo Paese poiché ritenuto “immorale”: è stato uno dei fondatori della teoria delle Debtocracy che si richiama liberamente agli insegnamenti economici di Jeremy Rifkin. Vicino al popolo greco per il trattamento che ha ricevuto, il Presidente ecuadoregno non ha mancato di sottolineare la propria avversità alle varie Istituzioni finanziarie mondiali e ha anche evidenziato come i Governi dei PIIGS abbiano semplicemente sbagliato tutto applicando le politiche monetarie restrittive dettate dal Fondo Monetario Internazionale.

Impegnato anche a favore dell’ambiente, dopo il fallimento dell’accordo con le potenze occidentali per evitare le trivellazioni in Amazzonia, Correa ha perso l’appoggio degli ambientalisti e degli indigeni del suo Paese per avere stretto un patto (con la China Development Bank) per estrarre petrolio dalla foresta di Yasuni in Amazzonia e per la costruzione della strada che porta a Manta, già è costata cara a Evo Morales.

I DIRITTI UMANI E LA POLITICA ESTERA – Il fronte dei diritti umani si lega a doppio filo alla politica estera dell’Ecuador ed è consequenziale al suo fiero anticapitalismo. In polemica contro gli Stati Uniti (e i suoi alleati europei) ha riconosciuto lo status di rifugiato politico in quanto perseguitato al fondatore di WikiLeaks, Julian Assange ospitandolo per lunghi mesi nella sede della propria rappresentanza diplomatica a Londra.
Gesto ancor più eclatante, la concessione dell’asilo politico al dissidente Snowden. Correa ha dichiarato di essere pronto a farlo, ma l’ex spione ha preferito Mosca. Tuttavia, la mossa era certamente meditata e strumentale: «Il nemico del mio nemico è mio amico», recitava il vecchio brocardo.
L’anti-americanismo sembra essere il filo conduttore della politica estera del piccolo Ecuador e anche il suo più grande limite. Il rafforzarsi dell’ALBA diventerà il maggiore problema dello Stato andino non appena il ciclo economico mondiale cambierà e verranno meno gli effetti delle manovre monetarie attuate da Correa. Ora Chávez non c’è più e Maduro è nei guai; Raul Castro ha più di ottanta anni e non ha un delfino; Evo Morales è in caduta libera, come la Kirchner, e Dilma non gode più dell’assegno in bianco dei brasiliani. Se Correa avesse meno ideologia e lo stesso coraggio mostrato in politica interna, potrebbe davvero assumere la leadership continentale, Bachelet permettendo.

 Andrea Martire

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Andrea Martire
Andrea Martire

Appassionato di America Latina, background in scienze politiche ed economia. Studio le connessioni tra politica e sociale. Per lavoro mi occupo di politiche agrarie e accesso al cibo, di acqua e diritti, di made in Italy e relazioni sindacali. Ho trovato riparo presso Il Caffè Geopolitico, luogo virtuoso che non si accontenta di esistere; vuole eccellere. Ho accettato la sfida e le dedico tutta l’energia che posso, coordinando un gruppo di lavoro che vuole aiutare ad emergere la “cultura degli esteri”. Da cui non possiamo escludere il macro-tema Ambiente, inteso come espressione del godimento dei diritti del singolo e driver delle politiche internazionali, basti pensare all’accesso al cibo o al water-grabbing.

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