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Gli USA non finanzieranno più l’Egitto

A tre mesi dalla deposizione del presidente egiziano Mohamed Morsi, Washington ha bloccato gli aiuti economici e militari previsti dagli accordi di pace del 1978. Le motivazioni sono il cambio di Governo e la repressione violenta dei manifestanti. Ma l’Egitto ormai non ha più bisogno dei dollari americani.

 

LA FINE DEI FRATELLI MUSULMANI IN EGITTO – Nel luglio scorso alcune manifestazioni popolari e il fondamentale intervento dell’esercito hanno portato alla rimozione del presidente Mohamed Morsi e dei membri del suo partito politico, i Fratelli Musulmani, che guidavano il Governo egiziano. Ad appena un anno dalla sua elezione, Morsi era accusato di aver dirottato il Paese verso una deriva religiosa eccessiva, in particolare con l’approvazione della nuova Costituzione. Oggi l’Egitto è retto di fatto dal generale Abdel Fatah al-Sisi, Presidente del Consiglio Supremo delle Forze Armate e probabile candidato alle prossime elezioni presidenziali. Il Presidente ad interim è Adli Mansur, già a capo della Corte Costituzionale, che per mesi si era opposta alle riforme istituzionali di Morsi, giudicate troppo vicine al fondamentalismo religioso. Lo stesso Morsi è agli arresti domiciliari da luglio e il suo partito – che aveva ottenuto la maggioranza alle ultime elezioni – è stato sciolto e dichiarato fuorilegge. Il prossimo 4 novembre Morsi si presenterà alla Corte d’Assise per rispondere dell’omicidio di alcuni manifestanti durante il proprio mandato, anche se da molti il processo è ritenuto politico.

 

5898391836_1b5aee5293_oNIENTE PIÙ ARMI AMERICANE PER I MILITARI EGIZIANI Gli eventi dell’estate hanno attirato l’attenzione degli Stati Uniti, che forniscono all’Egitto circa 1,3 miliardi di dollari l’anno: è il risultato degli accordi di Camp David del 1978, quando il presidente egiziano Sadat firmò la pace con Israele e stabilì le modalità del ritiro dal Sinai, che gli israeliani avevano occupato nella Guerra dei sei giorni. Recentemente il Dipartimento di Stato ha annunciato la sospensione di questi aiuti, in particolare per quanto riguarda il rifornimento di armamenti: carri armati M-1 “Abrams”, cacciabombardieri F-16, elicotteri d’attacco “Apache” e missili antinave “Harpoon”. La decisione è stata poco apprezzata dal Governo egiziano, con un forte indebolimento del ruolo del presidente Obama nella regione. Gli Stati Uniti inoltre si sono trovati nell’imbarazzo di dover fornire una valutazione politica agli eventi egiziani: una legge del 2006 – il Foreign Operations, Export Financing and Related Programs Appropriations Act – vieta esplicitamente il finanziamento dei Paesi nei quali un capo di Governo viene deposto con un colpo di Stato, come nel caso egiziano.

 

ARRIVANO I PETROLDOLLARI – Tuttavia, il vuoto lasciato dagli Stati Uniti è stato colmato in poco tempo. Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Kuwait hanno promesso cifre molto più importanti – si parla di 12 miliardi di dollari complessivi. Il loro intento è tornare a ricoprire un ruolo fondamentale in Egitto, influenzato nell’ultimo anno dai Fratelli Musulmani, finanziati invece dal Qatar. L’Egitto affronta da alcuni mesi una crisi economica feroce, con un bilancio statale appesantito dai sussidi per i beni alimentari e i carburanti. L’ingente prestito dei Paesi del Golfo ha permesso all’Egitto di evitare una richiesta di contributo da 4,8 miliardi di dollari al Fondo Monetario Internazionale: il ministro delle Finanze Ahmed Galal ha confermato che il Paese non è più interessato all’aiuto della comunità internazionale.

 

Simone Massi

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Simone Massi
Simone Massi

Nato a Milano un quarto di secolo fa, ho preso una laurea in Archeologia a Roma e studio Scienze Politiche a Torino.

Mi occupo soprattutto di Medio Oriente e Nord Africa, scrivendone un po’ ovunque.

Ho fatto anche il web developer, ho studiato a New York e ho partecipato a diverse conferenze, da Firenze a Hong Kong.

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